(1) Per Vygotskij il linguaggio interiore è più o meno un linguaggio privo di parole che permette di esprimere con una sola parola contemporaneamente pensieri, sensazioni, emozioni.
7 marzo 2008
Lo spazio tattile di Mark Rothko
Lo spazio è un dilemma, una rappresentazione artefatta della realtà, un modo per rappresentare il mondo ma anche le emozioni. E la prospettiva è solo uno dei metodi, una grande conquista certo, ma l’idea di rappresentare matematicamente la realtà tridimensionale su un piano a due dimensioni non è una condicio sine qua non, ma è un valore estetico, anche se la cultura cristiano-occidentale, dal Rinascimento in poi, si identifica nella rappresentazione prospettica, nonostante il concetto spaziale si sia trasformato nel tempo. Non intendo trattare una storia della prospettiva, ma solo sostenere che quando guardo un film rimango sì affascinato dal movimento e dalla profondità di campo, dall’illusione tridimensionale, ma ancor di più vengo colpito da uno spazio interiore, mentale, che si forma “al mio interno” e che comprende movimento, azione, ma anche tempo, staticità e sogno. Lo spazio che amo è insomma uno spazio immaginario che si ricollega ad una visione arcaica, ma anche orientale e antiprospettica. Non ripudio la prospettiva, ma credo che non esista uno spazio dominate nell’immagine riprodotta, bensì uno spazio emozionale mentale. A questo proposito riporto e commento alcuni brani scritti da Mark Rothko.
Rothko individua due tipologie differenti di spazio: spazio tattile e spazio illusorio. “In un dipinto tattile l’aria è rappresentata come una sostanza reale piuttosto che come un vuoto quanto possiamo cogliere più facilmente se ci immaginiamo una lastra di gelatina se non di stucco tenero, in cui sono impressi una serie di oggetti a diverse profondità”. Lo spazio illusorio serve all’artista che è interessato a trasmettere un’apparenza, ma l’artista non “può attribuire alcuna forma di esistenza effettiva all’aria, per la ragione che non è possibile vedere un gas. Abbiamo così una parvenza di peso per gli oggetti stessi ma nessuna per l’aria che li circonda […] Di conseguenza , l’apparenza che l’artista illusorio ottiene è quella delle cose che evolvono in un vuoto”. E l’unico modo, prosegue Rothko, per intravedere l’aria come un solido, consiste nell’inserire alcuni gas visibili nel quadro (nuvole, fumo, nebbia, foschia). Oppure si può rendere l’esistenza dell’aria attraverso la conoscenza della prospettiva atmosferica, ossia tenendo conto del fatto che la distanza rende gli oggetti man mano più grigi. Un esempio di spazialità plastica è per Rothko l’arte egizia, in cui non troviamo nessuna suddivisione dello spazio in piani verticali e orizzontali (che sono alla base della spazialità illusoria). “Tutte le figure esistono su un’unica linea orizzontale che […] corrisponde al modo istintivo con cui il bambino raffigura lo spazio”. Nella pittura egizia manca la profondità spaziale e in tal modo gli oggetti sono immersi nello spazio e vengono avvertiti dall’osservatore, inoltre il “[…]colore che avvolge queste figure mitiche monocrome ha la qualità dell’aria – o piuttosto di un’aria colorata – in cui queste figure si bagnano. [L’aria] è una sorta di sostanza mucosa o gelatina in cui le figure sono incastonate. In altri termini lo spazio viene qui reso non come la qualità di qualcosa che sarebbe dietro le figure, ma come una sostanza dotata di un volume tangibile, che ravvicina il piano frontale del muro alle figure”. In questo interessante scritto Rothko arriva al fulcro del suo discorso trattando delle figure: “[…] Lo spazio è ottenuto […] attraverso il disegno delle figure, eseguito in modo tale che queste circolino al suo interno: la sensazione di fuga è ancora prodotta disegnando le gambe di una figura che intersecano quelle di una figura al suo fianco, nonché tra la scelta di colori contrastanti tra il profilo e lo sfondo, in modo tale che entrambi si avvicinino al piano frontale”. Prosegue questo interessante lavoro analizzando l’arte tattile di Giotto (basata soprattutto sul colore). Quindi concorda col fatto che nelle razze primitive non vi è divergenza tra reale e fantastico, e pertanto lo spazio delle razze primitive “[…] è tale da rendere oggettiva ogni loro fantasia, nello sforzo di conferirle un’esistenza sensibile. In tal senso sono questi i detentori dell’unica sintesi effettiva, ovvero dell’unica identità tra sensibilità e verità che conosciamo attraverso l’esperienza intellettuale”. È dal Rinascimento che questa sintesi venne meno. “Gli uomini cominciarono a rilevare le discrepanze tra il mondo sensibile e il mondo immanente”. La scienza disgregò per sempre l’unità tra mondo oggettivo e mondo immaginario. Da allora in poi l’arte non ha “[…] più conosciuto l’unità della filosofia dello spazio caratteristica dei primitivi. Le scoperte scientifiche portano sempre a verità parziali e separate e “[…] hanno bisogno di una scienza superiore che le metta di nuovo in correlazione per evitare che si perdano in una filosofia mitica e astratta.[Ancora oggi] non abbiamo trovato una formula che esprima l’unità del soggettivo e dell’obiettivo”. L’arte moderna (soprattutto dadaismo e surrealismo ) ha prodotto una filosofia scettica (“principalmente uno scetticismo plastico”). “Questi artisti moderni si chiedono: la ricerca dell’unità definitiva non è in se stessa priva di valore?”.
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6 commenti:
la mostra che si è tenuta pochi mesi fa al palazzo delle esposizioni di roma era davvero molto interessante... soprattutto il confronto con le sue primae opere...
bel post (come sempre)
Simone
@Simone. Ti ringrazio anche se questo post è molto "personalizzato" (contiene molte parti ove esprimo "opinioni"). Non avere visto la mostra di Roma su Rothko è stata una grande perdita e per questo un po' ti invidio ^^
A presto.
Ottimo post! Interessante come sempre, c'è sempre da imparare qualcosa passando da qui :)
Non conoscevo il pittore, ho fatto anche un giro su wikipedia per saperne di più.
Ciao,
Lorenzo
@Ti ringrazio Lorenzo. Ogni tanto mi diverto (non so perché) a tirare fuori dai miei ricordi qualche pittore. Oltre al cinema seguo (ma un po' meno) anche la pittura.
Fantastico post...grandissimo. Anche la rappresentazione dello spazio nell'arte non è che una convenzione linguistica, un codice strutturato ai fini della trasmissione (sempre artificiale) di significati vari. E quindi in questa ottica forse è vero che una rappresentazione bidimensionale (più essenziale, più arcaica, più pura, più viscerale e meno cerebrale, quindi più "infantile") sia maggiormente adatta come strumento di espressione del "senso" più profondo insito in ogni tipo di immagine...discorso molto complesso ma anche molto molto affascinante. A presto ;-)
@Pickpocket. Il mio ragionamento (naturalmente opinabile) non vuole essere didascalico, ma vuole solo essere un modo per "spiegare" (non nel senso di insegnare ma di "aprire")le pieghe dell'immagine per percorrere la vertigine del senso. E ti ringrazio per aver compreso il tentativo di dare una "prospettiva" al mio sguardo.
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