Pierrot le fou di Jean-Luc Godard(*): Citazione e testo seriale 1/5
1. CITAZIONE
E TESTO SERIALE
In Pierrot
le fou di Jean-Luc Godard la storia degli ultimi due eroi romantici è
ancora intatta, il sapere è un problema da risolvere in maniera classica.
L’immagine non è ancora saltata, ma c’è un tentativo di scardinare il focolaio
ottico, il pensiero come interiorità, la metafora come soluzione indiretta, il
monologo interiore. La citazione diventa un relais,
un ponte tra ciò che era (la narratività) e ciò che dovrebbe essere
(l’interstizio, la differenza, l’irriducibilità del mondo alla storia). La citazione
tenta di dare un valore al divenire, all’impossibilità di determinare il testo,
la sua metamorfosi; costruisce un labirinto aperto, che si allarga
all’infinito, sopra orizzonti sempre più ampi ed insostenibili per lo sguardo
abituato a storie rassicuranti, apparentemente concluse. Come dice Antoine
Compagnon, il testo seriale (fatto di citazioni stratificate) «[…] appiattisce,
schiaccia tutti livelli del discorso, tutti i metalinguaggi, su una medesima
superficie di proiezione. Con ciò abolisce l’opposizione fondamentale della citazione e dell’uso, sopprime la differenza
tra ciò di cui parla, il linguaggio-oggetto, e ciò con cui parla, il
metalinguaggio. […Il testo seriale] diventa una superficie dove i livelli di
discorso premono uno sull’altro e si fondono, invece di proiettarvisi uno alla
volta: si sovrappongono, si attraversano, si avviluppano. […] Ci si deve
introdurre fra gli strati del testo, si deve farli emergere, perché il
livellamento non annulla del tutto i gradi del discorso. Al contrario, questi,
sovrapponendosi più strettamente, proliferano all’infinito: slittano gli uni
sugli altri, configurandosi come una geologia di faglie dove tutti gli strati
di terreno si urtano tra di loro»(1). La visione moderna della realtà
pertanto non si accontenta del sapere
prodotto dalla diegesi, ma vuole trovare nella metamorfosi, nella
trasformazione, nel regime delle possibilità, nella “geologia di faglie”,
quella chimera (cosa irreale fatta di pezzi reali) essenziale per la ricerca
della conoscenza.
E così il soggetto di Pierrot le fou è il senso colto nel suo
divenire, che si forma momentaneamente per certi accostamenti, grazie a certi collages di citazioni o di colori o di
suoni, oppure si spezza e si ricompone casualmente per via di certi frammenti
che vagano espulsi dai lori universi, ma con le loro ricchezze, le loro differenze.
Questo rapporto non è ancora ben definito. È solo l’inizio. La citazione è uno
dei tanti mezzi utilizzabili per destabilizzare il sistema, per renderlo
prioritario, per far vedere che un sistema c’è ed è quello che va tirato fuori,
messo in mostra, ma è sfuggente, tende a ripiegarsi su se stesso per
ricostruire la trasparenza, l’illusione della non esistenza. Qui domina ancora
il romanzesco, perché Pierrot è pur
sempre un film di viaggi e di sognatori, che contiene ancora una storia; e il
sapere oscilla tra questi due tempi: da una parte potrebbe espandersi fuori (e
a tratti lo fa), ma viene sempre in un certo modo recuperato nel flusso della
storia, fugge ma ritorna. Eppure Pierrot
le fou rimane fondamentale proprio per questo motivo. Il film è la fine di
un periodo e l’inizio
di uno nuovo dove il romanzesco
tenderà a scomparire, la “storia”
ad eclissarsi.
(1) Ho ripreso questa citazione di Antoine Compagnon
da: S.Liandrat-Guigues-J.L.Leutrat,
Godard. Alla ricerca dell’arte perduta, Genova,
Le Mani, 1998, pp. 43-44.
(*) Luciano Orlandini, Pierrot le foudi Jean-Luc Godard, in Annali del Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo, Università Firenze, Anno II, 2001, pp. 141-150.
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