31 dicembre 2012

Cosmopolis (David Cronenberg, 2012) 3/4: Mark Rothko


Il denaro ha perso la sua qualità narrativa, come è accaduto alla pittura tanto tempo fa.  Il denaro parla a se stesso.(1)
Nella forma di pittura del Color Field (2) il colore prende il sopravvento a scapito degli altri aspetti artistici, non subordinato a “riempire” le forme o modellare i paesaggi ma proiettato a emergere per manifestare soltanto la sua stessa presenza. Nero, viola, blu sono i colori dominanti delle opere presenti nella  Cappella Rothko, un edificio a base ottagonale illuminato da una luce naturale dall’alto. Pertanto gli oscuri rettangoli della cappella acquisiscono connotazioni differenti a seconda del mutare della luce che entra all’interno. L’emozione non sorge dal quadro in sé, dall’opera di Rothko estrapolata dall’ambiente, perché l’ambiente stesso è un’opera d’arte. Questa cappella prende il sopravvento su qualsiasi esplicitazione o interpretazione artistica, afferma se stessa come luogo in cui ognuno può contemplare la propria intimità. Il colore, oltre a dominare come valore incondizionato, proietta all’interno della cappella l’assoluto dell’eternità e dell’infinito (Dio, Universo, Materia, Spiritualità) nell’intimità del fruitore, nella singolare finitezza del corpo umano, nella creativa riflessione della mente per cui ognuno può interpretare il proprio personale bisogno di trascendenza: in pratica è come un’opera filmica, una struttura cangiante che muta in base al mondo (la luce esterna) e all’estetica della visione (come la mente “ricostruisce” il bisogno di Dio). L’emozione scaturita dal pianto inonda l’ambiente trasformato ogni volta dalla personale esperienza del fruitore. Acquistare questa cappella ad ogni costo, come Eric chiede a Didi Fancher, per poterla inserire all’interno della propria abitazione (“… nel mio appartamento. C’è abbastanza spazio. E comunque posso aumentarlo.”) e non mostrala più a nessuno, non è una forma di egoismo. A Eric non importa annullare la fruibilità in quanto nel mondo attuale ogni oggetto è diventato autoreferenziale. L’arte non rappresenta più un mondo, non intesse una storia o analizza eventi. Adesso il segno ha preso il sopravvento, il colore, uscito dalla forma per farsi oggetto informale (o meglio in questo caso “spaziale”) racconta solamente la sua incontenibile affermazione. Così come asserisce Vija Kinski ad Eric nella limousine, accostando l’arte al denaro, anche il denaro come la pittura “parla a se stesso”. Eric non vuole comprare oggetti, case, quadri, ma solo il valore del denaro per affermare la sua illusoria convinzione di possedere lo spazio (la cappella Rotkho) e il tempo (il lavoro dell’artista). Ma le fluttuazioni naturali della luce, che a Houston contribuiscono a completare l’opera, in casa di Eric sarebbero attenuate, se non annullate; la cappella non sarebbe la stessa cosa. Quest’opera è stata creata per essere di tutti e quindi di nessuno. Il problema per Eric è l’incapacità di comprendere il senso della negazione. Non comprende perché lo yuan non perda valore, non comprende perché Shiner non desideri salire in albergo per fare l’amore con lui. Tutto ciò che non riesce ad acquisire (ed acquistare) gli è sconosciuto. La fonte del potere (il denaro) invece è come una rassicurante alcova. Mi interessa adesso analizzare la capacità, prendendo spunto da un ragionamento del grande pittore lettone, per cui  “[…] un oggetto specifico è ricondotto a una categoria geometrica d’astrazione, e l’aspetto effettivo di una stagione a un’astrazione emotiva, ma queste due astrazioni possono servire a nuovi fini e a determinare idee ulteriori. È in questo modo che procede l’astrazione […] L’unica volta in cui si può sostenere che un’astrazione non si è servita del contenuto si verifica quando questa non ha niente da dire su alcunché.”(3). Cosmopolis, in quanto film che distoglie dalla “realtà istantanea” ossia da quel mondo che impedisce di separare il particolare dall’universale (in cui domina l’idea di una progressione del quotidiano come centro di gravità), è un’opera astratta, proprio come la pittura di Rothko e come tale ha la presunzione (o meglio… “dovrebbe avere”) di essere una realtà a sé, separata, differente, opposta o comunque non identica alla realtà dell’esperienza quotidiana, che approssimativamente definirei newtoniana (nel senso che le leggi della fisica sono sperimentate dal nostro corpo “naturalmente” per cui ci sembra ovvio che il tempo e lo spazio siano dimensioni forti e inespugnabili). Lo spazio pertanto nel film viene “astratto” dal mondo dell’esperienza e le azioni (con conseguenti reazioni) non avvengono uniformemente e linearmente seguendo una cronologia. Definirei due aspetti che corrono paralleli ma anche s’intersecano scambiandosi ruolo a vicenda.
1. Oggetto depotenziato. Bandita una cronologia spaziale (evitata l’illusione di sincronia tramite montaggi paralleli o diacronia tramite flash-back) il film non si dipana seguendo una linearità spazio-temporale newtoniana. Gli oggetti sono continuamente astratti dal mondo che li circonda. Così le opere d’arte, i monitor, la stessa limousine. La super pistola a identificazione vocale di Torval, il capo della sicurezza, è un oggetto costruito per mostrasi, non per uccidere. Torval si gratifica nel raccontare ad Eric l’alta tecnologia del revolver fabbricato in Austria. In sostanza il revolver esiste per porsi nel primo piano, per occupare uno spazio virtuale in quanto oggetto straniante che deve determinarsi come rappresentazione di una categoria (le pistole migliori sono quelle tecnologiche perché sicure in quanto attivabili solo con password vocale e solo il possessore può pronunciare la password). Eppure questa astrazione, (l’oggetto viene mostrato rimpiccolito nel primo piano di Eric e Torval) è appena accennata. In fondo si tratta solo di una pistola: sul piano del contenuto il suo scopo è uccidere (infatti Eric la impugnerà per uccidere la sua guardia del corpo). Ma nel processo dell’astrazione l’oggetto deve prima occupare il dettaglio (nel film un dettaglio virtuale o meglio verbale) per perdere “la sua qualità narrativa” (solo una pistola che uccide) e diventare “puro” colore (Rothko) oppure tecnologia fine a se stessa (Cronenberg). La pistola rappresenta la follia del mondo moderno, è una macchia di colore scuro che emerge da un punto della giacca di Torval. L’idea poi di relegare l’oggetto di cui si parla miniaturizzato nel primo piano (Cronenberg avrebbe potuto dedicarci un PPP) contribuisce a definire l’oggetto (in questo caso il revolver ma anche il sughero addirittura nemmeno mostrato) un’astrazione depotenziata in quanto ogni cosa ormai parla a se stessa. La città (in questo caso New York), gli eventi (ad esempio le scopate, gli uomini-topo, il pasticciere terrorista), la violenza, il mondo intero non fanno che mostrarsi, eccepire, evidenziarsi. In un luogo in cui tutto è straniante, in cui il gioco riduce ogni cosa ad astrazione, cosa può fare l’arte? È sempre valido l’assioma di Viktor Šklovskij (4) per cui l’opera d’arte deve straniare l’oggetto? (“Scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto come «visione» e non come «riconoscimento» e ancora “[…] l’arte è una maniera di «sentire» il divenire dell’oggetto, mentre «il già compiuto» non ha importanza nell’arte.”). Quali sono le idee ulteriori richiamate da Rothko?
2. Emozioni come status symbol. Ma l’aspetto più interessante della poetica rothkiana è l’astrazione emotiva. La geometria del colore (il colore “oscuro” della Cappella) che inonda lo schermo (nel caso di Cosmopolis oggetti o attanti depotenziati) interrompe il flusso di una diegesi ormai controllata dalla nostra routine quotidiana per cui certi contesti densi di contenuto (ormai blocchi decodificati di strutture che permangono indelebili da “sempre” nella nostra mente)  si indeboliscono lasciando trasparire la struttura sottostante, l’impalcatura. In altri termini, l’emozione non è più un meccanismo automatico che scatta dopo input schematici ma anche efficaci (ad esempio due innamorati che nell’incipit litigano e sembrano odiarsi per poi, di solito in pochi fotogrammi a metà film, risalire la china esternando nell’epilogo il proprio intenso incredibile amore). L’emozione si sviluppa nella ricerca di una conoscenza che ripudia i luoghi comuni e le frasi fatte (per il cinema direi le sequenze standard acchiappa emozioni) seguendo un percorso difficoltoso e complesso che conduce alla sperimentazione di un tipo differente di emozione: la scoperta di una verità ctonia celata e nascosta da meccanismi creati per accreditare solo sterile consenso. L’astrazione emotiva in Cosmopolis è un’emozione che sorge dall’indebolimento dei contenuti standardizzati, delle azioni collaudate che comunque tendono a creare blocchi di emozioni standard. La diegesi poi fa il resto in quanto  certi contenuti fanno leva sui desideri inconsci (e nemmeno tanto) dello spettatore che ad ogni sequenza proietta nella sequenza successiva le sue aspettative, verificando immagine dopo immagine se il film ottempera ai suoi bisogni. In altri termini come afferma Aumont la diegesi sarebbe“[…] anche la storia presa nella dinamica della lettura del racconto, vale a dire in quanto essa si elabora nello spirito dello spettatore nel corso dello scorrimento filmico. In questo caso, dunque, non si tratta più della storia così come la si può ricostruire una volta terminata la lettura  del racconto (la visione del film), ma della storia così come io la formo, la costruisco a partire dagli elementi che il film mi fornisce «goccia dopo goccia», e anche così come i miei fantasmi del momento o  gli elementi trattenuti da film visti in precedenza mi permettono di immaginarla”(5). Astrarre non significa respingere un contenuto (anche se standard e collaudato) ma utilizzarlo per spingersi sotto la superficie e verificare al contrario che la diegesi deve essere continuamente rinnovata nel senso che non sempre la verifica, sequenza dopo sequenza da parte dello spettatore, deve forzatamente condurre al godimento appagante di certe condizioni di partenza. L’emozione “astratta” nasce in Cosmopolis dallo smarrimento provato per il fallimento della contestuale verifica diegetica. Ad esempio come la pistola serve a integrare il percorso di Eric verso la montagna del suo Purgatorio, al di là delle Colonne di Ercole, così la Cappella Rothko (vista al monitor della Limousine) può essere anche un desiderio fine a se stesso da circondare con il proprio appartamento, il barbiere non deve completare il proprio lavoro per formare un’altra asimmetria, l’odore di sesso non è un tradimento ma una forma poetica sulla bocca di Shiner e Shiner stessa non una moglie gelosa ma una poesia erotica, mentre la morte traspare in ogni inquadratura non in quanto termine, fine di una vita, di una città o di un’epoca ma come unico contenuto da affrontare, cercare,trattare, occultata da certa cultura di massa per esorcizzarla e mai conosciuta o intesa in quanto interfacciata con la vita. Seguendo una visione che si lascia imbrigliare dalle trappole delle abitudini di uno sguardo logoro, la vita rimane sigillata nella fiction come stereotipo e non come opportunità di conoscenza.
1. Don DeLillo, Cosmopolis, Einaudi, Torino, 2005, p. 67.
2. http://it.wikipedia.org/wiki/Color_field
3. Mark Rothko, L’artista e la sua realtà, Skira editore, Milano, 2007, p. 145.
4. Viktor Šklovskij, L’arte come procedimento, in I formalisti russi, a cura di Tzvetan Todorov, Einaudi, Torino 1968, pp.75-94.
5. J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M. Vernet, Estetica del film, Lindau, Torino 1995, pp.79-80.

7 commenti:

persogiàdisuo ha detto...

Insomma, sto film ti ha preso parecchio!:-)

Luciano ha detto...

@persogiàdisuo. Pare di sì anche se sulla cineblogger non gli ho dato il massimo dei voti per alcuni (ritengo) "punti deboli".

Mauro ha detto...

Voglio vedere questo film ! Anche io sono un appassionato di cinema, ne parlo nel mio blog

http://ilblogdiunbravoragazzo.blogspot.it/2013/01/i-miei-film-preferiti.html

Unknown ha detto...

diamine, sei il primo che incontro che come me osanna questa pellicola, immensa! ;)
ne parlo qui
http://lifefunctionsterminated.blogspot.it/2012/06/cosmopolis.html

bel blog di cinema!

Unknown ha detto...

ti aggiungo volentieri al mio personale blogroll e d'ora in poi ti seguo ;)

Luciano ha detto...

@Lorenzo A. Mi fa molto piacere che il film sia piaciuto anche a te e che tu abbia aggiunto il mio blog nel tuo elenco. Mi spiace però di averti risposto con tanto ritardo. Purtroppo per gravi problemi personali la mia assenza si è protratta per troppo tempo. Grazie per la visita.
(Arriverò presto a ricambiare e visitare il tuo blog)

Luciano ha detto...

@Mauro. Mi devo scusare per l'enorme ritardo delal risposta. Spero che intanto ti sia stato possibile vedere il film e che ti sia piaciuto. Arriverò presto a visitare il tuo blog. Grazie per la visita.