Mi sono sempre chiesto quale sia il senso profondo di girare un film, nell’accezione che se intendo con un film raccontare una storia, ebbene, pur ammettendo l’interesse fondamentale di una narrazione, perché raccontare una storia e non, ad esempio, un disagio, un sentimento, un quadro, un temporale, una pozzanghera? Mi rendo conto che i miei dubbi sono paragonabili alla scoperta dell’acqua calda, ecco perché intendo fare “attraversare” questa mia ordinaria riflessione da un post dedicato a un’opera di letteratura teatrale. Il teatro è una grande passione, forse ancora più grande del cinema, ma mi rimane così complicato tentare di “fissare” su carta le emozioni provate da una rappresentazione (con tutte le sue varianti, variabili, imprevisti, scelte di regia, modi di recitazione, ecc.) da vedermi costretto a limitarmi all’osservazione di un canovaccio, un testo scritto, importante, ma non fondamentale per il teatro.
L’altro giorno rivedendo La cantatrice calva di Eugène Ionesco ho provato il desiderio di rileggere il testo. Mi sono accorto che il testo (scollegato dai vari adattamenti che possono esaltarne la comicità, la riflessione politica, la metafora, oppure possono adattare il testo alla situazione e ai cliché di questa Italia di inizio III millennio) isolato dal contesto, reso assoluto e scollegato dall’humus culturale anche del periodo in cui è stato prodotto (la Parigi del 1950) presenta una banalità inaspettata. I dialoghi dell’incipit della signora e del signor Smith sono di una ovvietà disarmante. Mi si dirà che è importante il contesto. Il rapporto tra opera e uomo, le situazioni assurde del testo nascono dall’esigenza di focalizzare l’isolamento dell’uomo moderno rinchiuso nelle proprie abitudini, inidoneo a comunicare, privo di ogni logica o strategia, prigioniero del ruolo ricoperto. Infatti non metto in dubbio la grandezza dell’opera. La mia riflessione intende al contrario mettere in evidenza proprio l’opposto: La cantatrice calva è un capolavoro perché è adattabile a ogni epoca. Era una valida critica alla società degli anni cinquanta come lo è oggi e probabilmente come lo sarà anche domani. Questa capacità di attraversare i tempi è dovuta proprio alla perdita di ogni riferimento. Il plot (se di plot si può parlare) tende a evaporare lasciando emergere il discorso in tutta la sua potenza. Un testo fatto di situazioni “banali”, dialoghi che vestono soltanto circostanze senza “sbocco” nel senso che non esistono nuclei narrativi e se il testo è infarcito di “catalisi” (Roland Barthes) , riempitivi (ma poi forse a ben vedere non è poi così palese), non solo si può parlare di un testo antiepico ma addirittura di un lavoro evanescente, evaporato nell’ordinario, luogo in cui la storia è tramontata perché annichilita dall’impasse in cui l’ha portata l’uomo moderno, disilluso dalle ideologie, antiromantico e non in grado di applicare il valore della Storia, della Cultura di un paese, di un continente, del globo intero, alla sua vita ordinaria, come se questa sua vita, come se il mondo che ci circonda, le strade, i porti, le città, i mari, le campagne, non siano il risultato di una successione cronologica di eventi, ma un’eterna esistenza, come un tempo cristallizzato e immobile, un frame stop che crediamo immutabile, ma che invece si muove al di là di ogni nostra contraria illusione. Ionesco, per entrare in questo buco nero dell’assenza di mondo, per analizzare e conoscere i luoghi comuni, doveva affondare nella melma dell’immobilismo, penetrare nei meandri di una realtà fatta solo di riempitivi, simile a una torta salata senza una crosta, una massa informe di luoghi comuni. Se per Barthes(1) le funzioni cardinali del testo sono nuclei narrativi (amori, tradimenti, guerre,incontri, eventi) e mentre quelle secondarie sono catalisi (oggetti, descrizioni, pensieri, paesaggi, ecc.) per l’autore della Cantatrice il racconto è svanito, è diventato una massa informe di funzioni che non funzionano. Ormai i “riempitivi” (catalisi) vivono di vita propria, attraversano un tempo indefinibile,ambiguo e impalpabile, invadono e occupano i pensieri così come gli eventi degli uomini assumono essi stessi la funzione principale per definire una nuova forma di “racconto”. Non un’antiepica composta da nuclei e catalisi (il romanzo moderno d’autore) ma una neoepica, nuova forma di testo in cui le dimensioni spazio-temporali sono saltate, e in cui non è possibile raccontare una storia solo perché il tempo non riesce a funzionare; e senza una progressione cronologica (pur con le sue analessi ed eventuali prolessi) risulta inaffidabile, mentre il racconto non riesce a dipanarsi, a tutto vantaggio di un racconto il cui oggetto diventa il suo stesso discorso. Pertanto si tratta di disarticolare il linguaggio per togliere ogni riferimento narrativo e “annullare” o ridurre al minimo la presenza degli oggetti, per slegare ogni riferimento di verosimiglianza e addirittura evitare di dare forma a oggetti pensati come effetti di reale. Gli oggetti infatti (quei pochi descritti rendono il testo fumoso: “Interno borghese inglese, con poltrone inglesi” oppure “[…] nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi […] la sua pipa inglese […] un giornale inglese” ) non servono a definire un effetto di reale ma a dare forma a un evidente “difetto di reale”.
Due esempi: Incipit (scena 1); i Martin (scena 4)
Nella commedia saltano subito i riferimenti temporali: il pendolo batte diciassette colpi quindi tre volte, poi non suona nessun colpo e poi di nuovo cinque colpi. I signori Smith parlano di un funerale avvenuto un anno e mezzo fa, mentre il defunto è morto due anni fa e sul giornale si è parlato del decesso tre anni fa. I ricordi sono confusi, i due coniugi non definiscono bene i fatti, la narrazione è falsata e allo spettatore non viene dato alcun punto di riferimento. Così ad esempio il defunto Bobby Watson aveva una moglie che si chiamava anche lei Bobby Watson e “siccome avevano lo stesso nome, non si riusciva a distinguerli l’uno dall’altra quando li si vedeva assieme” (2).
SIGNORA SMITH […] È stato solo dopo la morte di lui , che si è potuto sapere con precisione chi fosse l’uno e chi fosse l’altra. Tuttavia, ancor oggi, c’è gente che la scambia per il morto e le fa le condoglianze. Tu la conosci?
SIGNOR SMITH Non l’ho vista che una volta, per caso, al funerale di Bobby.
SIGNORA SMITH Io non l’ho mai vista. È bella?
SIGNOR SMITH Ha tratti regolari, eppure non si può dire che sia bella. Troppo alta e troppo massiccia. I suoi tratti non sono regolari, eppure la si potrebbe dire bella. È un po’ troppo piccola e magra. È insegnante di canto.
Non è neppure possibile conoscere i connotati delle persone e addirittura sapere niente di preciso della loro vita. Non si sa se abbiano figli o meno e poi non si riesce a capire se la signora Bobby si sposerà e con chi e per quale motivo e se sia lei veramente la sposa:
SIGNORA SMITH E quando pensano di sposarsi quei due?
SIGNOR SMITH La primavera prossima, al più tardi.
[…]
SIGNOR SMITH Per fortuna non hanno figli
SIGNORA SMITH Non ci sarebbe mancato che questo! Figli! Povera donna, che cosa ne avrebbe fatto?
SIGNOR SMITH È ancora giovane. Può benissimo risposarsi. Il lutto le sta così bene!
SIGNORA SMITH Ma chi si prenderà cura dei figli? Lo sai che hanno un bambino e una bambina, come si chiamano?
SIGNOR SMITH Bobby e Bobby, come i loro genitori. Lo zio di Bobby Watson, il vecchio Bobby Watson, è ricco e vuol molto bene al bambino, potrebbe incaricarsi lui dell’educazione di Bobby.
SIGNORA SMITH Sarebbe logico. E la zia di Bobby Watson, la vecchia Bobby Watson, potrebbe benissimo incaricarsi per parte sua dell’educazione di Bobby Watson, la figlia di Bobby Watson. Così la mamma di Bobby Watson, Bobby, potrebbe risposarsi, ha qualcuno in vista?
SIGNOR SMITH Sì, un cugino di Bobby Watson.
SIGNORA SMITH Chi? Bobby Watson?
SIGNOR SMITH Di quale Bobby Watson parli?
Tutti i Bobby Watson inoltre fanno i commessi viaggiatori e lavorano solo tre giorni alla settimana: il martedì, il giovedì e il martedì. Persino i ruoli maschio femmina sono confusi, così gli uomini fanno come le donne e viceversa: bevono whisky, fumano, si incipriano, si tingono le labbra di rosso. I rapporti tra le persone come tra i coniugi sono così labili che non è possibile sapere neppure quando e come si siano conosciuti e addirittura se veramente siano consapevoli di conoscersi. Così ad esempio nella scena quarta, i Martin sono soli e scoprono di vivere nella stessa casa e di essere veramente sposati:
SIGNOR MARTIN Mi scusi, signora, non vorrei sbagliare, ma mi pare di averla incontrata da qualche parte.
SIGNORA MARTIN Anche a me, signore, pare di averla incontrata da qualche parte.
SIGNOR MARTIN. Non l’avrò, signora, per caso intravvista a Manchester?
SIGNORA MARTIN Potrebbe darsi. Io sono nativa di Manchester! Tuttavia non ricordo bene, signore; non potrei dire se è là che l’ho vista, o no!
SIGNOR MARTIN Dio mio, è veramente curioso! Anch’io sono nativo di Manchester, signora!
[…]
Così i due scoprono di avere lasciato Manchester circa cinque settimane fa e di avere preso lo stesso treno, quello delle otto e mezzo del mattino, quello che arriva a Londra un quarto alle cinque. E di avere occupato lo stesso vagone, il numero otto e nello stesso scompartimento e che avevano i posti uno davanti all’altro.
SIGNOR MARTIN Non è lei, cara signora, la signora che mi ha pregato di metterle la valigia sulla reticella e che dopo mi ha ringraziato e permesso di fumare?
SIGNORA MARTIN Ma sì, dovrei proprio essere io, signore! Com’è curiosa, curiosissimamente curiosa questa coincidenza!
SIGNOR MARTIN Che curiosa e bizzarra coincidenza! Non le pare, signora, che noi potremmo esserci conosciuti in quel momento?
SIGNORA MARTIN Oh! È certamente una curiosa circostanza! È possibile caro signore! Tuttavia non credo di ricordarmene.
SIGNOR MARTIN Neppure io, signora.
I coniugi scoprono poi di abitare entrambi a Londra nella stessa via allo stesso numero nello stesso appartamento e di avere una figlia con un occhio bianco e uno rosso. Finché…
SIGNOR MARTIN […] Allora,cara signora, io credo che non vi siano più dubbi, noi ci siamo già visti e lei è la mia legittima sposa… Elisabetta, ti ho ritrovata!
[…]
SIGNORA MARTIN Donald, sei tu, darling!
Gli adattamenti filmici a una commedia simile non sono che video-commedie nel senso che non fanno che riportare la commedia in un filmato senza aggiungere nulla di nuovo all’opera drammaturgica (vedi le due trasposizioni francesi di Alexandre Tarta del 1980 e Vincent Bataillon del 2007, nonché quella italiana con la grande Franca Valeri di Josè Quaglio del 1967). Purtroppo non mi risulta siano state girate trasposizioni dell’opera nel cinema (ma posso essere smentito). Ho pensato molto a come un film dovrebbe restituire il senso profondo dell’opera senza risultare un’ordinaria video commedia e ritengo che una trasposizione dovrebbe attenersi (pur rispettando la volontà dell’autore riguardo al tempo, ai personaggi e alla disarticolazione del linguaggio) alle regole del cinema distorcendo più il montaggio delle immagini che le frasi dette. Ad esempio il dialogo degli Smith potrebbe evidenziarsi mostrando immagini del funerale avvenuto un anno prima e poi due anni prima e poi quattro anni prima con sequenze dei signori Watson, ossia il defunto che saluta la moglie, il padre i figli, tutti Watson, così come l’incontro dei Martin potrebbe avvenire contemporaneamente a Manchester e poi sul treno e in casa propria con abbraccio finale con la figlia con occhio-bianco rosso messo però in discussione dalla cameriera Mary (scena 5) che confuta tutto quanto detto dai Martin:
MARY […] Posso dunque rivelarvi un segreto. Elisabetta non è Elisabetta e Donald non è Donald. Eccone la prova: la bambina di cui parla Donald non è la figlia di Elisabetta, non si tratta della stessa persona. La figlia di Donald ha un occhio bianco e uno rosso, precisamente come la figlia di Elisabetta, tuttavia, mentre la figlia di Donald ha l’occhio bianco a destra e l’occhio rosso a sinistra, la figlia di Elisabetta ha l’occhio rosso a destra e l’occhio bianco a sinistra! […] Ma chi è allora il vero Donald? Qual è la vera Elisabetta? Chi mai ha interesse a far durare questa confusione. Io non ne so nulla. Non sforziamoci di saperlo. Lasciamo le cose come stanno […] Il mio vero nome è Sherlock Holmes.
In altri termini, come Ionesco ha inteso mettere in crisi il teatro a lui coevo, giocando sul linguaggio e lasciando svanire tempo e storia, così il filmico dovrebbe poter evaporare scena dopo scena lasciando nelle immagini il senso profondo della struttura quale viene evidenziata nello story board (o nell’atto stesso di filmare) con (ad esempio) ipotesi di movimenti di macchina, ipotesi di sequenze mai montate e prove di recitazione mal riuscite, destabilizzando la nozione stessa di filmico nel lasciare dissolvere gli stessi personaggi nei meandri imperscrutabili del mondo reale. Insomma la trasposizione filmica dovrebbe procedere tutto all’opposto della resa teatrale: per arrivare agli stessi risultati dovrebbe partire proprio dal racconto al fine di far emergere la sua drammatica e inquietante impalcatura. Forse solo un David Lynch sarebbe in grado di fare una simile operazione.
(1) R.Barthes, L'effet de réel, in Communications, n. 11, Paris 1968, pp. 84 e sgg. Il saggio, tradotto in italiano, si trova in: R. Barthes, Il brusio della lingua, Torino, Einaudi 1988, pp. 151-159. (Ho già citato questa nota in un altro mio post, se ricordo bene proprio su Lynch. Mi scuso per la pedanteria).
(2) Tutte le citazioni sono tratte da: Eugène Ionesco, La cantatrice calva, Einaudi, Torino 1958, 2 ristampa 1980
Nella foto. Nicolas Bataille, secondo da destra, alla prima della Cantatrice Calva, Teatro Les Noctambules, Maggio 1950. Fotografia di Lipnitzki/Roger Viollet/Getty
3 commenti:
Sai mica dove posso trovare il film in streaming? Grazie.
Vidi il film con Franca Valeri molti anni fa in tv. Mi pareva di avere una copia in VHS e l'ho cercata a lungo ma non riesco a ricordare che fine abbia fatto. Su you tube trovi il film completo postato da pochissimi giorni.
L' ho recitata. Un'emozione incredibile. La parte in cui Elisabetta e Donald non hanno identità....bellissima...grande Ionesco
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