Il
denaro ha perso la sua qualità narrativa, come è accaduto alla pittura tanto
tempo fa. Il denaro parla a se stesso.(1)
2. http://it.wikipedia.org/wiki/Color_field
3. Mark Rothko, L’artista e la sua realtà, Skira editore, Milano, 2007, p. 145.
4. Viktor Šklovskij, L’arte come procedimento, in I formalisti russi, a cura di Tzvetan Todorov, Einaudi, Torino 1968, pp.75-94.
5. J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M. Vernet, Estetica del film, Lindau, Torino 1995, pp.79-80.
Nella forma di pittura
del Color Field (2) il
colore prende il sopravvento a scapito degli altri aspetti artistici, non
subordinato a “riempire” le forme o modellare i paesaggi ma proiettato a
emergere per manifestare soltanto la sua stessa presenza. Nero, viola, blu sono
i colori dominanti delle opere presenti nella
Cappella Rothko, un edificio a base ottagonale illuminato da una luce
naturale dall’alto. Pertanto gli oscuri rettangoli della cappella acquisiscono
connotazioni differenti a seconda del mutare della luce che entra all’interno.
L’emozione non sorge dal quadro in sé, dall’opera di Rothko estrapolata
dall’ambiente, perché l’ambiente stesso è un’opera d’arte. Questa cappella
prende il sopravvento su qualsiasi esplicitazione o interpretazione artistica,
afferma se stessa come luogo in cui ognuno può contemplare la propria intimità.
Il colore, oltre a dominare come valore incondizionato, proietta all’interno
della cappella l’assoluto dell’eternità e dell’infinito (Dio, Universo,
Materia, Spiritualità) nell’intimità del fruitore, nella singolare finitezza
del corpo umano, nella creativa riflessione della mente per cui ognuno può
interpretare il proprio personale bisogno di trascendenza: in pratica è come
un’opera filmica, una struttura cangiante che muta in base al mondo (la luce
esterna) e all’estetica della visione (come la mente “ricostruisce” il bisogno
di Dio). L’emozione scaturita dal pianto inonda l’ambiente trasformato ogni
volta dalla personale esperienza del fruitore. Acquistare questa cappella ad
ogni costo, come Eric chiede a Didi Fancher, per poterla inserire all’interno della propria abitazione
(“… nel mio appartamento. C’è abbastanza spazio. E comunque posso aumentarlo.”)
e non mostrala più a nessuno, non è una forma di egoismo. A Eric non importa
annullare la fruibilità in quanto nel mondo attuale ogni oggetto è diventato autoreferenziale.
L’arte non rappresenta più un mondo, non intesse una storia o analizza eventi.
Adesso il segno ha preso il sopravvento, il colore, uscito dalla forma per
farsi oggetto informale (o meglio in questo caso “spaziale”) racconta solamente
la sua incontenibile affermazione. Così come asserisce Vija Kinski ad Eric nella limousine, accostando
l’arte al denaro, anche il denaro come la pittura “parla a se stesso”. Eric non
vuole comprare oggetti, case, quadri, ma solo il valore del denaro per
affermare la sua illusoria convinzione di possedere lo spazio (la cappella
Rotkho) e il tempo (il lavoro dell’artista). Ma le fluttuazioni naturali della
luce, che a Houston contribuiscono a completare l’opera, in casa di Eric
sarebbero attenuate, se non annullate; la cappella non sarebbe la stessa cosa.
Quest’opera è stata creata per essere di tutti e quindi di nessuno. Il problema
per Eric è l’incapacità di comprendere il senso della negazione. Non comprende
perché lo yuan non perda valore, non comprende perché Shiner non
desideri salire in albergo per fare l’amore con lui. Tutto ciò che non riesce
ad acquisire (ed acquistare) gli è sconosciuto. La fonte del potere (il denaro)
invece è come una rassicurante alcova. Mi interessa adesso analizzare la
capacità, prendendo spunto da un ragionamento del grande pittore lettone, per cui
“[…] un oggetto
specifico è ricondotto a una categoria geometrica d’astrazione, e l’aspetto
effettivo di una stagione a un’astrazione emotiva, ma queste due astrazioni
possono servire a nuovi fini e a determinare idee ulteriori. È in questo modo
che procede l’astrazione […] L’unica volta in cui si può sostenere che
un’astrazione non si è servita del contenuto si verifica quando questa non ha
niente da dire su alcunché.”(3). Cosmopolis, in quanto film che distoglie dalla
“realtà istantanea” ossia da quel mondo che impedisce di separare il
particolare dall’universale (in cui domina l’idea di una progressione del
quotidiano come centro di gravità), è un’opera astratta, proprio come la
pittura di Rothko e come tale ha la presunzione (o meglio… “dovrebbe avere”) di
essere una realtà a sé, separata, differente, opposta o comunque non identica alla
realtà dell’esperienza quotidiana, che approssimativamente definirei newtoniana
(nel senso che le leggi della fisica sono sperimentate dal nostro corpo
“naturalmente” per cui ci sembra ovvio che il tempo e lo spazio siano
dimensioni forti e inespugnabili). Lo spazio pertanto nel film viene “astratto”
dal mondo dell’esperienza e le azioni (con conseguenti reazioni) non avvengono
uniformemente e linearmente seguendo una cronologia. Definirei due aspetti che corrono
paralleli ma anche s’intersecano scambiandosi ruolo a vicenda.
1. Oggetto
depotenziato. Bandita una cronologia spaziale (evitata l’illusione di sincronia
tramite montaggi paralleli o diacronia tramite flash-back) il film non si
dipana seguendo una linearità spazio-temporale newtoniana. Gli oggetti sono
continuamente astratti dal mondo che li circonda. Così le opere d’arte, i
monitor, la stessa limousine. La super pistola a identificazione vocale di Torval,
il capo della sicurezza, è un oggetto costruito per mostrasi, non per uccidere.
Torval si gratifica nel raccontare ad Eric l’alta tecnologia del revolver fabbricato
in Austria. In sostanza il revolver esiste per porsi nel primo piano, per
occupare uno spazio virtuale in quanto oggetto straniante che deve determinarsi
come rappresentazione di una categoria (le pistole migliori sono quelle tecnologiche
perché sicure in quanto attivabili solo con password vocale e solo il
possessore può pronunciare la password). Eppure questa astrazione, (l’oggetto
viene mostrato rimpiccolito nel primo piano di Eric e Torval) è appena accennata.
In fondo si tratta solo di una pistola: sul piano del contenuto il suo scopo è
uccidere (infatti Eric la impugnerà per uccidere la sua guardia del corpo). Ma
nel processo dell’astrazione l’oggetto deve prima occupare il dettaglio (nel
film un dettaglio virtuale o meglio verbale) per perdere “la sua qualità
narrativa” (solo una pistola che uccide) e diventare “puro” colore (Rothko)
oppure tecnologia fine a se stessa (Cronenberg). La pistola rappresenta la
follia del mondo moderno, è una macchia di colore scuro che emerge da un punto
della giacca di Torval. L’idea poi di relegare l’oggetto di cui si parla miniaturizzato
nel primo piano (Cronenberg avrebbe potuto dedicarci un PPP) contribuisce a
definire l’oggetto (in questo caso il revolver ma anche il sughero addirittura
nemmeno mostrato) un’astrazione depotenziata in quanto ogni cosa ormai parla a
se stessa. La città (in questo caso New York), gli eventi (ad esempio le
scopate, gli uomini-topo, il pasticciere terrorista), la violenza, il mondo
intero non fanno che mostrarsi, eccepire, evidenziarsi. In un luogo in cui
tutto è straniante, in cui il gioco riduce ogni cosa ad astrazione, cosa può
fare l’arte? È sempre valido l’assioma di Viktor Šklovskij (4) per cui l’opera d’arte deve straniare l’oggetto? (“Scopo
dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto come «visione» e non come
«riconoscimento» e ancora “[…] l’arte è una maniera di «sentire» il divenire
dell’oggetto, mentre «il già compiuto» non ha importanza nell’arte.”). Quali
sono le idee ulteriori richiamate da Rothko?
2. Emozioni come status
symbol. Ma l’aspetto più interessante della poetica rothkiana è l’astrazione emotiva.
La geometria del colore (il colore “oscuro” della Cappella) che inonda lo
schermo (nel caso di Cosmopolis oggetti o attanti depotenziati) interrompe il
flusso di una diegesi ormai controllata dalla nostra routine quotidiana per cui
certi contesti densi di contenuto (ormai blocchi decodificati di strutture che
permangono indelebili da “sempre” nella nostra mente) si indeboliscono lasciando trasparire la
struttura sottostante, l’impalcatura. In altri termini, l’emozione non è più un
meccanismo automatico che scatta dopo input schematici ma anche efficaci (ad
esempio due innamorati che nell’incipit litigano e sembrano odiarsi per poi, di
solito in pochi fotogrammi a metà film, risalire la china esternando
nell’epilogo il proprio intenso incredibile amore). L’emozione si sviluppa
nella ricerca di una conoscenza che ripudia i luoghi comuni e le frasi fatte
(per il cinema direi le sequenze standard acchiappa emozioni) seguendo un
percorso difficoltoso e complesso che conduce alla sperimentazione di un tipo
differente di emozione: la scoperta di una verità ctonia celata e nascosta da
meccanismi creati per accreditare solo sterile consenso. L’astrazione emotiva
in Cosmopolis è un’emozione che sorge dall’indebolimento dei contenuti
standardizzati, delle azioni collaudate che comunque tendono a creare blocchi
di emozioni standard. La diegesi poi fa il resto in quanto certi contenuti fanno leva sui desideri
inconsci (e nemmeno tanto) dello spettatore che ad ogni sequenza proietta nella
sequenza successiva le sue aspettative, verificando immagine dopo immagine se
il film ottempera ai suoi bisogni. In altri termini come afferma Aumont la
diegesi sarebbe“[…] anche la storia presa nella dinamica della lettura del
racconto, vale a dire in quanto essa si elabora nello spirito dello spettatore nel
corso dello scorrimento filmico. In questo caso, dunque, non si tratta più della
storia così come la si può ricostruire una volta terminata la lettura del racconto (la visione del film), ma della
storia così come io la formo, la costruisco a partire dagli elementi che il
film mi fornisce «goccia dopo goccia», e anche così come i miei fantasmi del
momento o gli elementi trattenuti da
film visti in precedenza mi permettono di immaginarla”(5). Astrarre non significa
respingere un contenuto (anche se standard e collaudato) ma utilizzarlo per spingersi
sotto la superficie e verificare al contrario che la diegesi deve essere
continuamente rinnovata nel senso che non sempre la verifica, sequenza dopo
sequenza da parte dello spettatore, deve forzatamente condurre al godimento appagante
di certe condizioni di partenza. L’emozione “astratta” nasce in Cosmopolis
dallo smarrimento provato per il fallimento della contestuale verifica
diegetica. Ad esempio come la pistola serve a integrare il percorso di Eric
verso la montagna del suo Purgatorio, al di là delle Colonne di Ercole, così la
Cappella Rothko (vista al monitor della Limousine) può essere anche un desiderio
fine a se stesso da circondare con il proprio appartamento, il barbiere non
deve completare il proprio lavoro per formare un’altra asimmetria, l’odore di
sesso non è un tradimento ma una forma poetica sulla bocca di Shiner e Shiner
stessa non una moglie gelosa ma una poesia erotica, mentre la morte traspare in
ogni inquadratura non in quanto termine, fine di una vita, di una città o di
un’epoca ma come unico contenuto da affrontare, cercare,trattare, occultata da
certa cultura di massa per esorcizzarla e mai conosciuta o intesa in quanto
interfacciata con la vita. Seguendo una visione che si lascia imbrigliare dalle
trappole delle abitudini di uno sguardo logoro, la vita rimane sigillata nella
fiction come stereotipo e non come opportunità di conoscenza.
1. Don DeLillo, Cosmopolis,
Einaudi, Torino, 2005, p. 67.2. http://it.wikipedia.org/wiki/Color_field
3. Mark Rothko, L’artista e la sua realtà, Skira editore, Milano, 2007, p. 145.
4. Viktor Šklovskij, L’arte come procedimento, in I formalisti russi, a cura di Tzvetan Todorov, Einaudi, Torino 1968, pp.75-94.
5. J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M. Vernet, Estetica del film, Lindau, Torino 1995, pp.79-80.
7 commenti:
Insomma, sto film ti ha preso parecchio!:-)
@persogiàdisuo. Pare di sì anche se sulla cineblogger non gli ho dato il massimo dei voti per alcuni (ritengo) "punti deboli".
Voglio vedere questo film ! Anche io sono un appassionato di cinema, ne parlo nel mio blog
http://ilblogdiunbravoragazzo.blogspot.it/2013/01/i-miei-film-preferiti.html
diamine, sei il primo che incontro che come me osanna questa pellicola, immensa! ;)
ne parlo qui
http://lifefunctionsterminated.blogspot.it/2012/06/cosmopolis.html
bel blog di cinema!
ti aggiungo volentieri al mio personale blogroll e d'ora in poi ti seguo ;)
@Lorenzo A. Mi fa molto piacere che il film sia piaciuto anche a te e che tu abbia aggiunto il mio blog nel tuo elenco. Mi spiace però di averti risposto con tanto ritardo. Purtroppo per gravi problemi personali la mia assenza si è protratta per troppo tempo. Grazie per la visita.
(Arriverò presto a ricambiare e visitare il tuo blog)
@Mauro. Mi devo scusare per l'enorme ritardo delal risposta. Spero che intanto ti sia stato possibile vedere il film e che ti sia piaciuto. Arriverò presto a visitare il tuo blog. Grazie per la visita.
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