Il colore, in cinema come in pittura, secondo me, può e deve uscire dal contorno, esaltarsi al di là della trama per mostrarsi come simbolo di un valore (o di un senso ulteriore) che durante la visione si afferma come espressione autonoma di un certo modo di sentire, di esprimere, di amare. All’Aja, nel 1882, Vincent Van Gogh incontra la prostituta Clasina Maria Hoornik, detta Sien, una donna alcolizzata. Decide di prenderla in casa con sé e di farne la sua modella. La donna è incinta, con il volto devastato dal vaiolo. Ha la sifilide. Ma Van Gogh vede sul suo volto, sul suo corpo, i segni del dolore e delle avversità che le ha lasciato la vita, e per questo vede la bellezza di questa donna sfiorita e ne decide pertanto di farne la sua modella. Ma decide anche di sposarla. I familiari non accettano la scelta e vorrebbero far interdire Van Gogh. L’artista infine, nel 1883, lascia Sien avendo perdute le speranze di redimerla. L’amore per Van Gogh è sofferenza, ossessione. Rifiutato più volte dalle donne, frequenta prostitute, desidera donne che non lo ricambiano. Quando si innamora di Kee, e lei da Etten fugge ad Amsterdam, Vincent la raggiunge, ma i familiari gli impediscono di incontrarla. Van Gogh allora mette le dita sulla fiamma di una lampada e chiede di vederla per lo stesso tempo che riuscirà a tenere la mano sul fuoco. Dipinge il corpo avvizzito di Sien (Sorrow) come dipingerà nel 1885 la deformazione dei Mangiatori di patate. Il realismo in Van Gogh è già “espressione” della deformazione:
Il mio grande desiderio è imparare a fare delle deformazioni, o inesattezze o mutamenti del vero; il mio desiderio è che vengano fuori, se si vuole, anche delle bugie, ma bugie che siano più vere della verità letterale. (1)
A Parigi arriverà soltanto nel 1886 dove conoscerà gli Impressionisti che in parte influenzeranno la sua pittura. Ma il realismo degli Impressionisti è al declino. Il momento d’influenza infatti sarà breve. Del resto Van Gogh è per un'arte che deve esprimere la profondità delle cose, la sostanza e non l’apparenza della realtà. L’amore quindi come espressione, come deformazione, come sostanza che scava nel profondo. Quando comincia ad usare il colore e i suoi quadri perdono i toni grigi e seppia dei primi tempi, non riprende il colore naturalistico degli impressionisti, ma un colore che si fa metafora di sofferenza, di follia, poiché deve esprimere le passioni terribili degli uomini. Nella sua ricerca continua sull’espressività del colore, la pennellata si allunga, si fa più densa, quasi come se il colore tentasse di farsi forma, di essere soggetto del quadro di per sé. La discesa all’inferno di Van Gogh, per certi aspetti è simile a quella di Rimbaud. «Come Van Gogh, Rimbaud aveva visto distruggere ciò in cui credeva. Anch’egli aveva avuto un sogno di redenzione […]»(2). Si tratta di dimostrare che la redenzione passa attraverso l’espressione più intima dei propri mezzi, attraverso la sperimentazione delle proprie passioni. Gettarsi nell’inferno della solitudine, della disperazione, dei “paradisi artificiali” per trovare il paradiso della conoscenza. «Al posto di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo dei colori arbitrariamente per esprimermi in maniera più forte» dice Van Gogh. Vincent costruisce sui suoi sentimenti, tra cui l’amore, l’espressione della propria follia, della follia del mondo, che è folle proprio perché incomprensibile. Per questo la follia passa anche attraverso la categoria dei colori, che per Vincent è il giallo ( «[…] è pur vero che per raggiungere l’alta nota gialla che ho raggiunto quest’estate, è stata pur necessaria un po’ di esaltazione »). Gialli (ma anche rossi) sono i candelotti di dinamite che ad esempio Ferdinand si arrotola sul volto in Pierrot le fou. Quasi il colore esce dalla forma, facendosi esso stesso forma, portatore di un senso, della follia che fuoriesce dall’urlo di Pierrot. Nel Vaso con dodici girasoli la tonalità gialla che domina, metafora del divino e del sole, della luce stessa, prende una sua consistenza; la pennellata è densa, corposa, applicata con una tecnica a cellette tipo mosaico, dando l’impressione di voler dominare la forma del vaso con i girasoli, di essere essa stessa il soggetto del quadro. La «[…] grana grossa del colore contrasta con la forma, con la struttura dell’opera; fa emergere in primo piano la materia della pittura, rispetto ai concetti e alle forme »(3). Quindi l’amore, la follia, la disperazione sono il colore stesso. Il colore si fa soggetto e può anche farsi sentimento. Il sentimento che si fa corpo, l’atto dell’amare che s’incarna nell’attimo, qui è il corpo che si fa sentimento, che esprime la follia di un mondo incomprensibile e inverosimile. «Ho cercato di esprimere col rosso e col verde le terribili passioni degli uomini » dice Van Gogh. Il colore ha per lui una capacità di persuasione autonoma: «Nel mio quadro Caffè di notte, ho cercato di esprimere come il caffè sia un luogo dove ci si può rovinare, diventare folli, commettere un delitto. Infine io ho cercato con dei contrasti di rosa tenero, di rosso sangue e feccia di vino, di dolci verdi Luigi XV e Veronese, contrastanti coi verdi-gialli e i duri verdi-blu, e tutto ciò in un’atmosfera di fornace infernale, di pallido zolfo, di esprimere qualcosa come la potenza delle tenebre di uno scannatoio».
(1) Riprendo questa e le seguenti citazioni di Van Gogh da: M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del novecento (1986), Milano, UEF Feltrinelli 1997(30), p.32. Comunque l’epistolario di Van Gogh è stato pubblicato in Italia dalla Silvana Editoriale d’Arte, Tutte le lettere di Van Gogh, Milano 1959.
(2) M. De Micheli, op. cit., p.33
(3) S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Le Lettere, Firenze 1994, p.46
Il mio grande desiderio è imparare a fare delle deformazioni, o inesattezze o mutamenti del vero; il mio desiderio è che vengano fuori, se si vuole, anche delle bugie, ma bugie che siano più vere della verità letterale. (1)
A Parigi arriverà soltanto nel 1886 dove conoscerà gli Impressionisti che in parte influenzeranno la sua pittura. Ma il realismo degli Impressionisti è al declino. Il momento d’influenza infatti sarà breve. Del resto Van Gogh è per un'arte che deve esprimere la profondità delle cose, la sostanza e non l’apparenza della realtà. L’amore quindi come espressione, come deformazione, come sostanza che scava nel profondo. Quando comincia ad usare il colore e i suoi quadri perdono i toni grigi e seppia dei primi tempi, non riprende il colore naturalistico degli impressionisti, ma un colore che si fa metafora di sofferenza, di follia, poiché deve esprimere le passioni terribili degli uomini. Nella sua ricerca continua sull’espressività del colore, la pennellata si allunga, si fa più densa, quasi come se il colore tentasse di farsi forma, di essere soggetto del quadro di per sé. La discesa all’inferno di Van Gogh, per certi aspetti è simile a quella di Rimbaud. «Come Van Gogh, Rimbaud aveva visto distruggere ciò in cui credeva. Anch’egli aveva avuto un sogno di redenzione […]»(2). Si tratta di dimostrare che la redenzione passa attraverso l’espressione più intima dei propri mezzi, attraverso la sperimentazione delle proprie passioni. Gettarsi nell’inferno della solitudine, della disperazione, dei “paradisi artificiali” per trovare il paradiso della conoscenza. «Al posto di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo dei colori arbitrariamente per esprimermi in maniera più forte» dice Van Gogh. Vincent costruisce sui suoi sentimenti, tra cui l’amore, l’espressione della propria follia, della follia del mondo, che è folle proprio perché incomprensibile. Per questo la follia passa anche attraverso la categoria dei colori, che per Vincent è il giallo ( «[…] è pur vero che per raggiungere l’alta nota gialla che ho raggiunto quest’estate, è stata pur necessaria un po’ di esaltazione »). Gialli (ma anche rossi) sono i candelotti di dinamite che ad esempio Ferdinand si arrotola sul volto in Pierrot le fou. Quasi il colore esce dalla forma, facendosi esso stesso forma, portatore di un senso, della follia che fuoriesce dall’urlo di Pierrot. Nel Vaso con dodici girasoli la tonalità gialla che domina, metafora del divino e del sole, della luce stessa, prende una sua consistenza; la pennellata è densa, corposa, applicata con una tecnica a cellette tipo mosaico, dando l’impressione di voler dominare la forma del vaso con i girasoli, di essere essa stessa il soggetto del quadro. La «[…] grana grossa del colore contrasta con la forma, con la struttura dell’opera; fa emergere in primo piano la materia della pittura, rispetto ai concetti e alle forme »(3). Quindi l’amore, la follia, la disperazione sono il colore stesso. Il colore si fa soggetto e può anche farsi sentimento. Il sentimento che si fa corpo, l’atto dell’amare che s’incarna nell’attimo, qui è il corpo che si fa sentimento, che esprime la follia di un mondo incomprensibile e inverosimile. «Ho cercato di esprimere col rosso e col verde le terribili passioni degli uomini » dice Van Gogh. Il colore ha per lui una capacità di persuasione autonoma: «Nel mio quadro Caffè di notte, ho cercato di esprimere come il caffè sia un luogo dove ci si può rovinare, diventare folli, commettere un delitto. Infine io ho cercato con dei contrasti di rosa tenero, di rosso sangue e feccia di vino, di dolci verdi Luigi XV e Veronese, contrastanti coi verdi-gialli e i duri verdi-blu, e tutto ciò in un’atmosfera di fornace infernale, di pallido zolfo, di esprimere qualcosa come la potenza delle tenebre di uno scannatoio».
(1) Riprendo questa e le seguenti citazioni di Van Gogh da: M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del novecento (1986), Milano, UEF Feltrinelli 1997(30), p.32. Comunque l’epistolario di Van Gogh è stato pubblicato in Italia dalla Silvana Editoriale d’Arte, Tutte le lettere di Van Gogh, Milano 1959.
(2) M. De Micheli, op. cit., p.33
(3) S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Le Lettere, Firenze 1994, p.46
13 commenti:
Splendido post. Van Gogh è il mio pittore preferito, non potevo che apprezzare moltissimo ^^
Complimenti davvero...
@Chimy. Grazie, come sempre gentilissimo^^ Van Gogh pittore grandissimo e da me molto amato. I suoi quadri sono per me fonte di ispirazione nell'analizzare un film. ;)
è proprio questo che m'ha sempre affascinato in Van Gogh, la soggettività del colore, specie perché espresso da un artista tanto "violento" e passionale.
@Noodles. Sono d'accordo. Van Gogh riusciva ad esprimere la sua passione con una forza tale da imprimerla nella densità dei suoi colori. Un pittore che ogni regista e amante del cinema dovrebbe tenere sempre presente.
Artista straordinario che ha realizzato opere eccellenti nonostrante la sofferenza (o forse proprio grazie a essa). A me, però, piace pensare che Van Gogh sarebbe sto un pittore ancora più prolifico e geniale se la visioni che lo torturavano non l'avessero limitato tanto. Non credo che sia stato il dolore a renderlo così grande: penso invece che la pittura gli abbia regalato la sola felicità che avesse mai conosciuto.
ah dimenticavo una cosa il tuo blog è davverò ben fatto soprattutto per la varità e la serietà con il quale gli argomenti sono trattati.
@Anonimo. Sono d'accordo. Sarebbe stato comunque un grande pittore. Forse i suoi quadri sarebbero stati diversi, ma avrebbe comunque composto gli stessi colori e dipinto con pennellate sempre dense e corpose. Mi fa piacere che tu gradisco il mio blog, ti ringrazio^^
A presto.
Nel libro di De Micheli che citi c'è riportata anche una frase del pittore François Millet che piaceva molto a Van Gogh che fa più o meno così: È meglio tacere piuttosto che esprimersi debolmente.
@Roberto. Ti ringrazio per la citazione di questa splendida frase che non ricordavo. Credo sia giunto il momento di rileggermi il libro. ^_^
Post davvero sublime. Bellissimo il collegamento con Rimbaud e il riferimento ai colori dei candelotti di dinamite in "Pierrot le Fou": inconsciamente era una associazione che avevo fatto anch'io (colori forti=follia= esplosione). Grazie a questo post è riemersa in me ad un livello cosciente. :)
Un abbraccio
@Pickpocket. Ti ringrazio, ma è tutto merito del grande Van Gogh^^ In effetti il colore è importante in quanto la maggiore o minore ricchezza di sensazioni cromatiche percepite può dipendere da tanti fattori (stato d'animo, sensazioni, vista, ecc.). E gli artisti sanno esprimere queste differenze. ;)
"impressionismo:dipingere la luce",è la nuova mostra allestita a palazzo strozzi fino al 28 settembre. 60 dipinti di artisti tra i quali van gogh, signac, monet, manet, renoir ,cezanne, pisarro e altri!
@Stella. Non lo sapevo. Grazie per la notizia. Mostra assolutamente da non perdere!
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