9 maggio 2008

Il treno per il Darjeeling (Wes Anderson, 2007)


Da Wes Anderson non c’era da aspettarsi altro, nient’altro che questo ossia il nient’altro. Togliendo dal cast attori principali che finiscono col perdere il treno, togliendo la storia dell’Hotel Chevalier (uscito dal film e tras-formatosi in corto), togliendo una madre che fugge dal cinema per cercare il mondo, non rimane nient’altro che un treno come set (parziale), una donna indiana come apparato linguistico e metafora del sesso, tre bambini che scivolano nelle rapide di un canale (alter ego dei nostri e metafora del “fanciullino” assopito nel nostro cuore), una tigre mangia uomini solo nominata (ma citata nel “sogno ferroviario”) e il ricordo di un funerale smarrito dai tre fratelli per spingere una Porsche che non vuole partire. Nient’altro, cioè quello che rimane del film: uno splendido respiro di sguardi e silenzi, di immagini e colori, profumi citati e sigarette fumate, telefonate e un po’ di sesso nel bagno del treno. Quindi ogni cosa. Spandendo immagini di perdite, o timore della perdita, nello svolgersi del percorso insignificante del treno, Anderson intraprende una sua ricerca encomiabile, trattandosi di mostrare l’Esserci (1) attraverso la decurtazione degli oggetti. Per arrivare al culmine del montaggio, superare gli ostacoli e i pericoli di un film che poteva essere il solito cliché, ha scelto la difficile strada dell’evanescenza. Niente consiste nel film, ma tutto insiste. Consistenza ossia sopravvalutata aberrazione del récit, confusa ricerca del messaggio sublimato attraverso un percorso e un arrivo o un suo fallimento, oggetti come icone mediatiche e/o religiose, la donna come frutto e sintesi di curve e aspartame, la morte come perdita drammatica e spesso risolutrice, la religione come ascesi a cui aspirare ed espi(r)are, l’amore fraterno attraversato dal ricordo trasmesso attraverso il flash-back o il “profumo” storico degli oggetti (le valige, la cintura?). Un film con questa consistenza avrebbe potuto trasferire il flusso emozionale su un piano conforme, dissimulato, già atteso e inconcludente. Forse proprio per questo Anderson preferisce correre il rischio di perdere il flusso della comunicazione togliendo tutto quello che definisce una storia. Insistenza ossia reiterazione continua della rottura e della fuga, dell’abbandono e della assenza di una ricerca. Tentativo riuscito di rendere fragile l’evento attraverso la sua mise en abyme ossia attraverso la sua rappresentazione linguistica. Intendo dire che Anderson restituisce una storia non assoggettandola ai canoni classici di un naturalismo ormai logoro e obsoleto, ma filtrandola attraverso la sua rappresentazione linguistica proprio perché per il linguaggio non è possibile raggiungere i fondamenti del reale in quanto ogni linguaggio si riferisce sempre ad un altro linguaggio (Decostruzionismo) e così all’infinito (Effetto Droste). Nell’impossibilità di “definire” linguisticamente gli eventi i tre fratelli scelgono la via “ascetica” seguendo un percorso non geometrico (anche l’ascesi classica crea problemi) ove si mescolano religione (i riti con le piume) e superfluo (l’acquisto di un serpente velenoso), sofferenza (il villaggio indiano che piange un suo figlio morto) e sesso (Jack e Rita nel bagno del treno), dono (la cintura) e furto (gli occhiali e il rasoio del padre). Ma la loro ricerca (ammesso si tratti di una ricerca) non sortirà alcun effetto. In fondo l’attante apparentemente causa del loro percorso, Patricia, abbandonerà il monastero (e il monastero non sarà quindi un porto dove far riposare anima e corpo, ma solo una tappa impalpabile). La madre che fugge è in fondo un rimandare all’infinito il “mito” della fuga dal reale (dell’impossibilità di aderire al reale) dei fratelli “fuggiti” dal funerale del padre, dal funerale del piccolo indiano, dal treno per il Darjeeling (facendosi buttare fuori), dalle rispettive mogli. Riassumendo, come il linguaggio rimanda sempre a se stesso, nell’impossibilità di definire la realtà o perlomeno di sussumerla e/o assorbirla, così Il treno per il Darjeeling non è il tentativo di descrivere una storia e un continente, ma la presa di coscienza che le immagini e le inquadrature non possono che restituirci la loro stessa presenza, o meglio, il loro stesso peso fisico. Questa fisicità concreta, pesante, ingombrante, non essendo presentabile (proprio perché non vi è nessuna tesi da sostenere, nessuna immagine da omologare, nessuna storia da raccontare) viene continuamente rimandata, rinviata, non processata. In fondo abbiamo perso tutti quel treno immaginario insieme a Bill Murray e se avessimo dovuto prenderlo non sarebbe servito a niente perché poi comunque anche un treno può perdersi (il treno non arriverà mai alla stazione di La Ciotat) e una madre ritrovata può nuovamente “essere smarrita”. Gli stessi volti dei tre fratelli sono in fondo pezzi persi e rimontati per garantire almeno la “presenza” di tre personaggi; infatti mentre il volto di Francis è palesemente incollato come una sequenza filmica con le sue fasce e i suoi cerotti, creando una maschera che però assume nel corso del tempo (filmico) una sua identità (e quindi purtroppo anche il "posticcio" viene normalizzato), il volto di Peter, apparentemente più regolarizzato, è celato da un paio di occhiali appartenuti al padre e ancorati a questo volto ideale (sono occhiali da vista che impediscono di vedere bene) che non ha bisogno di adottare alcun sguardo. Infine il volto di Jack (sua maschera naturale), appartiene all’unico personaggio che apparentemente ha avuto il coraggio di non nascondersi anche se i baffi gli sono cresciuti dall’ Hotel Chevalier in poi. Film che segna l’annullamento del referente, proprio perché il mondo non si dà nella sua immediatezza ma solo attraverso la mediazione della lingua, e che mostra l’esegesi di questa impasse. Voglio dire che il film mi è piaciuto perché è come se il cast non dovesse mai comporsi, come se gli attori preferissero rimanere chiusi nei camerini per non mostrarsi, come se l’India che scorre ai lati del treno (il treno è fermo ed è il paesaggio che scivola via ai lati) stesse sempre sul punto di essere scelta (scelta degli esterni in cui girare) senza mai essere assemblata nelle sequenze.

(1) Per Heidegger l’uomo possiede una sua idea del mondo precostituita, quindi se la scienza è in crisi lo è perché l’uomo non è più capace di riflettere sulla base della scienza stessa. Pertanto l’uomo per comprendere il mondo deve riflettere, interrogarsi sul concetto di “essere umano” che è presupposto di ogni ricerca scientifica (primato ontologico). Ma per comprendere l’essere ogni "esistente umano" deve prima comprendere l’essere in sé (primato ontico). Heidegger, Essere e tempo.

27 commenti:

Edo ha detto...

Sono contento che tu sia riuscito a vederlo e che ti sia piaciuto! Io l'ho adorato, nel vero senso della parola. Amo la capacità di Anderson di creare nuovi mondi ma di parlare del nostro, l'importanza dei dettagli, degli oggetti, dei colori

Roberto Junior Fusco ha detto...

Le tue analisi, come sempre, mi fanno fare delle considerazioni che non mi erano passate neanche per l'anticamera del cervello.
Comunque, la settimana prossima quasi sicuramente andrò a rivederlo.

Luciano ha detto...

@Edo. Un regista capace di mostrarci l'opacità del reale. Grandi capacità di regia e coraggio di affondare lo "sguardo" in un mondo ormai "decostruito". Sì, proprio adorabile.

@Roberto. Sì, ricordo la tua recensione. La tua analisi comunque mi è sembrata interessante e (come tutte le altre che ho letto) mi è servita per riflettere ulteriormente sul film. Se lo vai a rivedere così presto forse c'è qualcosa che ti ha incuriosito o non ti sei ancora chiarito. Fammi sapere se ci sono differenze rispetto alla tua prima visione. Grazie.

Pickpocket83 ha detto...

"Niente consiste nel film, ma tutto insiste". A pensarci bene non si può non concordare con te...straordinario post, di quelli che fanno accendere le sinapsi. Applausi a scena aperta. Ora capisco perchè ci hai messo tanto...questa non è una recensione: è un magistrale saggio di estetica!!!

un carissimo saluto

:))

chimy ha detto...

"Da Wes Anderson non c’era da aspettarsi altro, nient’altro che questo ossia il nient’altro.". Perfetto, basterebbe questa frase... ^^

Un saluto

Luciano ha detto...

@Pickpocket. Sempre gentile, ti ringrazio. In effetti è un film per cui ho riflettuto molto, perché mi sfuggivano alcuni particolari (ma che non ho chiarito del tutto). Poi logicamente ognuno vede "cose" diverse da altri. Per questo mi piace leggere recensioni di altri cineblogger. ;)

@Chimy. Grazie per aver gradito una frase con cui ho cercato di riassumere vari concetti secondo me in linea in particolare con questa tua frase: "l'impossibilità di trovare una soluzione ai problemi della vita". Naturalmente la sottoscrivo^^

Anonimo ha detto...

Che te lo dico a fare? Ormai qualsiasi complimento è sempre superfluo. Allora stavolta al massimo ti dico che ti invidio e rosico come una matta per non avere nemmeno un briciolo della tua capacità analitica ^^
P.S.:Interessantissima la nota di commento!!!
Ale55andra

Anonimo ha detto...

mi associo ai complimentoni ma...

"Da Wes Anderson non c’era da aspettarsi altro, nient’altro che questo ossia il nient’altro."

Bellissima frase in cui c'è tutto wes anderson, in positivo e in negativo... Anzi non c'è nient’altro che wes anderson

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Io invece invidio le tue recensioni sempre precise, analitiche e ragionate: fonti importanti per approfondire la lettura di un film. :)

@Claudio. In effetti Anderson sembra un autore promettente. E' già tra i grandi? Non so, ma se continua così ci stupirà sempre di più!

Noodles ha detto...

Mi sa che l'insistenza sia proprio la caratteristica più immarcescibile di Anderson, quello che ne fa un grande regista, pur nella sua - voluta - ridondanza (sia formale che contenutistica).

Luciano ha detto...

Sono d'accordo, un grande regista. Secondo la teoria dell'informazione (ma non sono un matematico e mi scuso per l'imprecisione) l'evento impossibile dà informazione infinita. Ritengo che nell'arte la ridondanda possa essere utile (ma se usata male può causare un effetto boomerang). Qui Anderson utilizza una ridondanza formale per codificare l'impossibile, ossia bombardarci di informazioni, emozioni e sapori. L'arte può essere anche pleonastica. O no?

Edo ha detto...

Per me Anderson è già tra i "grandi", non più un giovane regista promettente. Ha firmato cinque pellicole, tutti bei film. Certo solo negli ultimi film è riuscito a trovare il suo stile ma nei primi due lavori (Colpo da dilettanti e Rushmore) è già presente quella vena stralunata che caratterizzerà i Zissou e le altre opere. E poi, per me, ha già girato un capolavoro: I Tenenbaum.

Luciano ha detto...

@Edo. Non ne dubito. Cinque film e un grande film come i Tenenbaum fanno di Anderson un grande regista? Probabilmente sì. Però (anche se sono già passati 10 anni dal suo primo film) non so se è possibile paragonarlo ad altri grandi registi storici come ad esempio Lynch o Rossellini o Truffaut, ecc. Probabilmente sì. Certo è vero che a volte sono sufficienti pochi fim per entrare nel gotha dei grandi (vedi Malick). Non è questione di quantità ma di qualità. Anche per me è un grande, ma forse saremo in grado di capirlo meglio tra altri dieci anni.

Anonimo ha detto...

Come sempre, analisi molto interessante. Probabilmente per me è proprio quell' "annullamento del referente" cui ti riferisci (auto-sic) che lo piazza dietro i precedenti tre di Wes, come fosse un film svuotato di qualcosa, una pienezza che negli altri avvertivo di più. Ferma restando la grande cifra. E fermo restando che, se trovo una settimana propizia, val la pena rivederli tutti. Saluto.

Luciano ha detto...

@Gahan. In effetti vale la pena rivederli tutti. Se trovo un po' di tempo (per me molto complicato in questo periodo) cerco di rivederli. Dietro i Tenenbaum, sì sono d'accordo. Per quanto riguarda gli altri due (Rusmore ma soprattutto Le avventure acquatiche di Steve Zissou) non saprei. Appunto per chiarirmi le ideee serve una re-visione (soprattutto per Le avventure... che non mi convinse molto). Un colpo da dilettanti invece... ehm... mi manca. A presto.

Anonimo ha detto...

Quoto tutto!
Byez

Anonimo ha detto...

Mamma mia che recensione! Tornerò a leggerla dopo aver visto il film.

Ciao,
Lorenzo

Luciano ha detto...

@Steve Mcqueen. Ti ringrazio :)

@Lorenzo. Benissimo. Attendo con ansia di conoscere la tua opinione.

Christian ha detto...

Visto ieri, non mi ha affatto convinto, anche se mi è comunque piaciuto più de "I Tenenbaum".

Luciano ha detto...

Dovrò rivedere i Tenenbaum perché questo mi sembra (anche se un buon film) leggermente sotto. Quindi deduco che Wes Anderson non sia per te quel grande regista che si dice.

Christian ha detto...

No, in effetti non capisco perché goda di una certa popolarità. Ma è tutto il cinema americano degli ultimi anni a non piacermi, comunque.
Ciao!

FiliÞþØ ha detto...

Accidenti, ogni tua recensione mi aiuta a scoprire lati nascosti di un film. Cmq, come ben sai, sono d'accordo sul fatto che da wes anderson non c'era da aspettarsi niet'altro che il nient'altro.
L'unico mio dubbio è che con questo modo di fare il regista possa cadere col tempo in un circolo vizioso...

Luciano ha detto...

@Christian. Capisco. Comunque mi sembra che il cinema americano abbia imboccato una strada interessante, almeno apparentemente coraggiosa. Vedremo con il tempo cosa ne sarà di questa generazione di nuovi registi USA (guardando l'età comunque alcuni cominciano già a stagionare).

@Filippo. E' probabile. Infatti ancora non me la sento (nonostante giri film da dieci anni) di "consacrarlo" definitivamente tra i grandi, anche se alcuni registi con pochi film sono già nel gotha del cinema mondiale (vedi Malick). Comunque per adesso lo reputo un grande in attesa di suoi ulteriori (spero) gustosi lavori.

Anonimo ha detto...

Gli esistenti di Wes Anderson sono spesso famiglie molto sui generis.

Questa prerogativa la considererei parte dello specifico filmico del regista.

Ed anche se non sono sempre famiglie, il momento in cui incontriamo gli esistenti è sempre un momento particolare della loro vita.

E' come se Wes Anderson utilizzasse il cinema per speculare filosoficamente.

Anderson ha studiato alla St. John's School, un istituto privato di Houston, che poi sarà usato come location per alcune scene del suo secondo lungometraggio, Rushmore.

Successivamente si è peraltro dedicato proprio allo studio della filosofia all'università del Texas, dove ha incontrato il futuro amico e collaboratore, l'attore Owen Wilson.

Il suo pertanto è un cinema filosofico.

Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.

Il treno in questa accezione diventa un luogo molto evocativo ed allegorico.

Proprio come nella vita il treno in questo caso non ha un percorso preciso.

Come al dunque non lo hanno nemmeno i loro passeggeri.

Quello che conta è capire che la cosa più importante del viaggio non è la meta. Il punto di arrivo. Ma quello che accade nel durante.

Per citare Anthony De Mello "La vita è tutto quello che ti capita mentre sei intento a fare altri progetti."

Nelle riflessioni filosofiche sulla vita intravedo comunque, quasi sempre, una forte componente drammatica che Anderson dissimula con la forte caratterizzazione degli esistenti e con un sense of humor che l'alleggerisce.

Per me è un autore con una sua cifra che a me piace sempre molto e che ha, sempre secondo me, in Bill Murray una corrispondenza assoluta ma in questo ultimo film Wes Anderson ci ha dimostrato che le sue storie non storie possono interpretarle anche altri attori.

Da notare la costante presenza oltre che di Bill Murray anche di Angelica Houston.

Molto ci sarebbe da dire sull'importanza delle colonne sonore che Anderson seleziona e che caratterizzano molto il risultato espressivo del suo cinema.

Ti lascio quella de "Il treno per il Darjeeling" che ne ha una ad esempio molto anni '70:

* 01)"Where Do You Go To (My Lovely)" - Peter Sarstedt
* 02) Title Music from Satyajit Ray's film JALSHAGAR - Ustad Vilayat Khan
* 03) "This Time Tomorrow" - The Kinks
* 04) Musica iniziale del film Teen Kanya - Satyajit Ray
* 05) Title Music from Merchant-Ivory's film THE HOUSEHOLDER - Jyotitindra Moitra
* 06) "Ruku's Room" from Satyajit Ray's film JOI BABA FELUNATH - Satyajit Ray
* 07) "Charu's Theme" from Satyajit Ray's film CHARULATA - Satyajit Ray
* 08) Title Music from Merchant Ivory's film BOMBAY TALKIE - Shankar/Jaikishan
* 09) "Montage"from Nityananda Datta's film BAKSA BADAL - Satyajit Ray
* 10) "Prayer" - Jodphur Sikh Temple Congregation
* 11) "Farewell To Earnest" from Merchant-Ivory's film THE HOUSEHOLDER--Jyotitindra Moitra
* 12) "The Deserted Ballroom" from Merchant-Ivory's film SHAKESPEARE WALLAH--Satyajit Ray
* 13) Suite Bergamasque: 3. "Clair de Lune" --Alexis Weissenberg
* 14) Typewriter Tip, Tip, Tip_ from Merchant-Ivory's film BOMBAY TALKIE (Sung by Kishore Kumar & Asha Bhosle)--Shankar/Jaikishan
* 15) "Memorial"--Narlai Village Troubador
* 16) "Strangers"--The Kinks
* 17) Symphony No. 7 in A (Op 92) Allegro con brio--Fritz Reiner, Chicago Symphony Orchestra
* 18) "Praise Him"--Udaipur Convent School Nuns and Students
* 19) "Play With Fire"--The Rolling Stones
* 20) "Arrival In Benaras" from Merchant-Ivory's film THE GURU--Ustad Vilayat Khan
* 21) "Powerman"--The Kinks
* 22) "Les Champs-Élysées"--Joe Dassin


Un saluto.

Rob.

Luciano ha detto...

@Rob. Ti ringrazio per questa interessante riflessione che condivido senz'altro (come spero risulti anche dalla mia recensione) Non conoscevo la frase del padre gesuita (purtroppo non conosco i suoi scritti) e ti ringrazio per avermela proposta. Grazie anche per i titoli della colonna sonora.^^ A presto.

Anonimo ha detto...

Un viaggio di formazione, una lezione di vita, la ricerca di se stessi, il graduale abbandono del passato, il tentativo (forse riuscito) di costruirsi una nuova vita… questi i temi portanti di un lavoro delicato e, per molti versi, affascinante che probabilmente dividerà il pubblico (come ha diviso i critici, altamente poetico e sofisticato per alcuni, una semplice storiella -banalmente intellettualistica- per altri) tra accesi sostenitori e altrettanto accesi detrattori.
Perfetti, nei rispettivi ruoli, Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman (quest'ultimo anche co-sceneggiatore): bravissimi in una recitazione tutta mimica e gestualità alla Buster Keaton, malinconica e grottesca, compassata e scanzonata al contempo.
Impreziosiscono il film le apparizioni di Natalie Portman, di Bill Murray, di Anjelica Huston (efficacissima!).

Luciano ha detto...

@Cinemaleo. Un'ottima sintesi dei temi portanti di un film che in effetti che ha diviso il pubblico.