Se ci veniamo a smarrire nel considerar l'infinita
grandezza del mondo nello spazio e nel tempo, ripensando ai secoli passati ed
ai futuri – o anche, se il cielo notturno veracemente pone davanti al nostro
occhio innumerabili mondi –, vediamo noi stessi ridotti a un nulla, ci
sentiamo, in quanto individui, in quanto corpi animati, in quanto effimere
manifestazioni di volontà, come una goccia nell'oceano svanire, scioglierci nel
nulla (1).
Interessante lo
sviluppo del sentimento del sublime durante il film. Il paesaggio viene
mostrato solo al di là del vetro del treno e per pochissimo tempo, pertanto la
contemplazione passiva che si lascia assorbire dalla bellezza non riesce
neppure a decollare. Il sorgere della consapevolezza che permette di
attraversare il concetto di bellezza per approdare alla massima espressione del
sublime non è molto evidente nel paesaggio ghiacciato dove non appare luce o
raggio di sole, un bell’effetto di luce sui massi che ci trasporti, come afferma Schopenhauer , nello stato della
conoscenza pura , rimuovendo ogni volere. Questa “elevazione” si pone al contrario all’interno del treno come luogo in cui la scoperta
del fuori da parte degli uomini di coda dona al paesaggio un elemento (anche se
flebile) in grado di generare il sentimento del sublime. C’è una presa di
coscienza (almeno un principio) dell’ineludibilità della condizione umana,
un’effimera manifestazione di volontà di sopravvivenza oscillante tra la
contemplazione del mondo ghiacciato (nascita del sublime) e la paura di esserne
inghiottiti (uscita dal sublime). Questo sviluppo purtroppo avviene con fatica
fino a germogliare nel vagone-acquario. Camminando in mezzo ai pesci che
nuotano sopra di noi, assistiamo a un ulteriore annichilimento della volontà
nell’ammirare la bellezza dell’ambiente abbinata alla raggiunta consapevolezza di
un altro modo di procurarsi il cibo, un qualcosa di sconosciuto che adesso
s’impone in tutta la sua magnificenza. Lo sguardo quindi si pone subito, come
direbbe Schopenhauer, come indebolimento della volontà allo scopo di
lasciare lievitare l’atto conoscitivo. Il percorso di conoscenza potrebbe
andare di pari passo con l’affermazione del sentimento del sublime che si
arricchisce di un elemento in più: durante la sparatoria tra vagone e vagone
(sfruttando il girotondo del treno sui binari gelati) da un foro del vetro perforato
entra un fiocco di neve. Il ralenti
identifica il fiocco come pericolo (il gelo che potrebbe invadere i locali), ma
anche come bellezza pura che chiede di essere osservata nel cristallo perfetto
e minaccioso. Da qui in avanti mi sarei aspettato una serie di indizi fino
all’epilogo sconvolgente che rimpicciolisce l’uomo nel mondo, atomo cosciente e
consapevole di svanire nel nulla. Invece la battaglia prende il sopravvento. Certamente il film non viene
disturbato da una delle sequenze più affascinanti (battaglia nel vagone con
infrarosso). Ed anche se l’oscurità in cui avviene lo scontro, dando il la, al
massacro degli ultimi, diventa luogo di paura e terrore, e la reazione degli
umili avviene illuminando con le torce l’ambiente, lo scontro si dissolve
proprio perché l’uomo nella sequenza prende il sopravvento e ingigantisce. Con
questo non voglio affermare che la battaglia sia un momento debole del film,
anche perché l’altra faccia della medaglia del sublime comprende il fatto che l’uomo,
pur sentendosi minacciato e infimo, veda se stesso come eterno, “tranquillo
soggetto del conoscere”(2). Però forse ci sarebbe stato bisogno di un elemento
in più, forse un rapporto tra lo scontro in corso e il ghiaccio che disturba e
sconvolge il treno. La sequenza delle fiaccole che illuminano il punto di vista
immerso nello spettro dell’infrarosso è intensa e di grande impatto visivo, non
vi sono dubbi. Per me, che chiedo sempre troppo, un altro piccolo escamotage
avrebbe trascinato il film alle soglie del capolavoro. Ma al di là di questo
discorso Snowpiercer rimane un ottimo
film. Il sentimento del sublime nel frattempo si frantuma in varie sequenze: dall’ingresso
nella gallerie di ghiaccio, ai precipizi gelati, alla slavina che si abbatte
sul treno. Nella sequenza della slavina in particolare il punto di vista
onnisciente che inquadra il treno visto dall’alto e la frana che scende nel
silenzio di un mondo immerso nella sua nuova verginità trasferisce l’emozione
nello spettatore. L’epilogo drammatico adesso è già in fieri ma comunque la
nuova asperità del paesaggio innevato, lo spettacolo dirompente e minaccioso
della natura, emerge in tutta la sua potenza. Per citare Schopenhauer…
Qualora intervenga nella conscienza un reale, singolo
atto di volontà, per effetto di una vera, personale angustia e d'un pericolo
proveniente dall'oggetto,ecco 'individuale volontà effettivamente scossa prendere
d'un subito il sopravvento, farsi impossibile la calma della contemplazione,
andar perduta l'impressione del sublime; la quale cede il posto alla paura, in
cui l'ansia, che l'individuo prova, per salvarsi, caccia ogni altro pensiero
(3).
La paura in effetti emerge raramente nel film, si
attesta su valori bassi, vagamente rammentata nelle prime sequenze viene poi
abbandonata del tutto nell’epilogo. Bong Joon-ho, da qualcuno definito da “croce
verde”, è invece molto lucido e
consapevole del fatto che tutto ritorna alla natura, tanto bistrattata e non
considerata, ritenuta addirittura non utilizzabile e nominata solo come risorsa
da trasformare in profitto, ma sempre in grado di suscitare il forte sentimento
del sublime.
1 Arthur
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, e-book
http://www.liberliber.it, Tomo II, p. 69
2 cit. p. 68
3 p. 64
Nessun commento:
Posta un commento