La
ricerca delle spoglie dei genitori in una Polonia anni cinquanta ancora in
bianco e nero emerge come contesto
inappropriato. Trovare i poveri resti delle vittime è come cercare di
ingigantire il senso della storia senza costruire contesti. In altri termini
porre l’evento, organizzare una coppia dicotomica, rappresentare l’assenza di
movimento col viaggio in una Polonia da socialismo reale, presuppone un
rallentamento costante dell’immagine. Con ciò non intendo affermare che il film
sia “lento”; e in effetti per lo spettatore del nuovo millennio, abituato a
immagini che si accatastano costantemente l’una sull’altra, l’una nell’altra, nel
vedere immobili campi lunghi di piatti paesaggi polacchi o interni di case,
locali, commissariati, immagini che non rinunciano mai a scomparire lasciando
il posto a nuove visioni, sorge una sensazione atroce di affaticamento mentale,
come un rifiuto fisiologico di altre conoscenze. Ida da questo punto di vista
mostra al contrario un nuovo concetto di rapidità: una velocità scaturita da
uno spazio dilatato percorsa da un tempo pressoché immobile. Il tempo in Ida è un instabile equilibrio tra
passato ricordato dai protagonisti (il passato di Ida da piccola con i suoi
genitori ebrei uccisi da un contadino, il passato più recente di Wanda di
quand'era procuratore e condannava a morte povera gente nemica della
rivoluzione, il passato di una Polonia immobile, inattiva, corrosa, spolpata da
chi in nome del popolo ha tradito il popolo stesso riservandosi privilegi e
sostanze), passato che il film rappresenta, un passato storico ma che accade
adesso davanti allo sguardo dello spettatore, e l’dea di un passato filtrato
attraverso la diegesi tutta personale di ogni spettatore, per cui il tempo si
condensa, si aggruma in un contesto (situazione Polonia comunista) riducendosi,
comprimendosi fino quasi ad annullarsi, restituendo l’idea di un tempo
immutabile, immobile, fermo nel suo non divenire. Lo spazio al contrario si
apre nei campi lunghi, scorre ai lati o davanti l’auto, come scenografia
simbolica di immensità: le vaste pianure desolate, le strade tutte uguali e
anonime abituano la vista a cercare il
profilo dell’orizzonte, quasi per fuggire dal
contesto mortificante e uggioso di una società voluta da una classe dirigente
inviluppata nella sua stessa arroganza di superiorità. La velocità del film
pertanto non è da cercare nella fuorviante affermazione di “film lento” (il
regista direi lascia respirare l’immagine prima di sostituirla nel sintagma con
un’altra) ma nel respiro di un tempo nullo in uno spazio infinito. Il riepilogo
del film, il dramma di Ida, la sua scelta, la scelta drastica della zia, la
scelta di una Polonia ingessata si urtano, si intersecano velocemente nella mente
dello spettatore fino a suscitare un’emozione intensa, densa di senso.
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