23 agosto 2014

Ida (Pawel Pawlikowski, 2013)

La ricerca delle spoglie dei genitori in una Polonia anni cinquanta ancora in bianco e nero emerge come contesto  inappropriato. Trovare i poveri resti delle vittime è come cercare di ingigantire il senso della storia senza costruire contesti. In altri termini porre l’evento, organizzare una coppia dicotomica, rappresentare l’assenza di movimento col viaggio in una Polonia da socialismo reale, presuppone un rallentamento costante dell’immagine. Con ciò non intendo affermare che il film sia “lento”; e in effetti per lo spettatore del nuovo millennio, abituato a immagini che si accatastano costantemente l’una sull’altra, l’una nell’altra, nel vedere immobili campi lunghi di piatti paesaggi polacchi o interni di case, locali, commissariati, immagini che non rinunciano mai a scomparire lasciando il posto a nuove visioni, sorge una sensazione atroce di affaticamento mentale, come un rifiuto fisiologico di altre conoscenze. Ida da questo punto di vista mostra al contrario un nuovo concetto di rapidità: una velocità scaturita da uno spazio dilatato percorsa da un tempo pressoché immobile. Il tempo in Ida è un instabile equilibrio tra passato ricordato dai protagonisti (il passato di Ida da piccola con i suoi genitori ebrei uccisi da un contadino, il passato più recente di Wanda di quand'era procuratore e condannava a morte povera gente nemica della rivoluzione, il passato di una Polonia immobile, inattiva, corrosa, spolpata da chi in nome del popolo ha tradito il popolo stesso riservandosi privilegi e sostanze), passato che il film rappresenta, un passato storico ma che accade adesso davanti allo sguardo dello spettatore, e l’dea di un passato filtrato attraverso la diegesi tutta personale di ogni spettatore, per cui il tempo si condensa, si aggruma in un contesto (situazione Polonia comunista) riducendosi, comprimendosi fino quasi ad annullarsi, restituendo l’idea di un tempo immutabile, immobile, fermo nel suo non divenire. Lo spazio al contrario si apre nei campi lunghi, scorre ai lati o davanti l’auto, come scenografia simbolica di immensità: le vaste pianure desolate, le strade tutte uguali e anonime abituano la vista a cercare il profilo dell’orizzonte, quasi per fuggire dal contesto mortificante e uggioso di una società voluta da una classe dirigente inviluppata nella sua stessa arroganza di superiorità. La velocità del film pertanto non è da cercare nella fuorviante affermazione di “film lento” (il regista direi lascia respirare l’immagine prima di sostituirla nel sintagma con un’altra) ma nel respiro di un tempo nullo in uno spazio infinito. Il riepilogo del film, il dramma di Ida, la sua scelta, la scelta drastica della zia, la scelta di una Polonia ingessata si urtano, si intersecano velocemente nella mente dello spettatore fino a suscitare un’emozione intensa, densa di senso. 



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