28 luglio 2012

In the mood for love (Wong Kar-wai, 2000): 2/3 Brachilogia delle zuppe

I colori dei Cheongsam, mescolati e sommati di abito in abito, determinando un ritmo di ellissi che evocano una languida sensualità dei momenti assenti – nel  senso che il ricordo di Su si afferma nella sua visione pubblica relegando la sua intimità in una frammentazione di non visto (ellissi) e visione disturbata (specchi, oggetti, fuori fuoco) – accompagnano le passeggiate della signora Chang nei vicoli di Hong-Kong fino al negozio dei noodles ove acquistare il cibo. Le zuppe citate nei dialoghi  sono consumate nel non visto eppure si affermano come centro del percorso da seguire per conoscere gli aspetti reconditi degli incontri fuori programma tra Su e Chow.  Un percorso di zuppe, tra un’ellissi e l’altra, costruisce un’emotività dell’assenza, o meglio decostruisce il classico schema narrativo (con le sue quattro fasi canoniche: manipolazione, competenza, performance e sanzione) fino a spolparne ogni evidenza che poi spesso in tanto cinema è solo una forma collaudata di verosimiglianza per indurre dipendenza da appagamento; in questo senso il primo incontro, la psicologia dei personaggi, il conflitto dell’incipit, le pseudo-differenze caratteriali o culturali, la nascita dell’amore tra i due personaggi, il ruolo degli oppositori, le traversie e quindi il coronamento dell’amore per un epilogo spesso da happy end diventano istanze deboli, evanescenti, improbabili.  L’inquadratura al ralenti della parte inferiore del corpo di Su (soffermandosi sui colori del qipao di turno e sulla gamella di latta) sottolinea la forza della scelta di scavare all’interno del momento infinti istanti che si accumulano, si affastellano, si collegano come in un puzzle al fine di comporre non un quadro unitario, ma un’ipotesi di storia con la serie di camminate per un’andata e ritorno dal negozio dei noodles. Passeggiate e relativi incontri tra i due personaggi del film non rappresentano pertanto l’apice di una storia (come si incontrano, come si trovano, come iniziano ad amarsi). Le camminate diventano soprattutto un’espressione linguistica, denotano un costrutto: il linguaggio che entra in campo e si mostra in primo piano per definire il suo stesso affermarsi. È la struttura (sempre presente ovviamente in ogni testo) che qui indebolisce la trasparenza della storia mostrandoci tutta l’opacità e il turbamento del visibile. In tal modo, ad esempio,  ciò che conta non è l’incontro tra i due personaggi, quanto la zuppa in sé (zuppe tra l’altro mai mostrate), “oggetto” che definisce una scansione disturbata del tempo. L’atemporalità che ne deriva sancisce un modus operandi che trascina gli anni sessanta (ad esempio) nell’oggi, il 1962 e il 2000 diventano un inutile punto di riferimento, un modo per affermare la forza di un’opera che non ha tempo.  Il tempo non è lineare quanto caotico e gli orologi mostrati in primo piano nel film non indicano un’ora precisa, ma il vano tentativo di ordinare e controllare l’istante. La memoria al contrario (per non parlare del sogno) accatasta, unisce o disunisce, smembra o ricompone porzioni distanti di tempo, parvenze lontane di temporalità perduta o ritrovata (1). Ritornando alle zuppe, adesso mi interessa evidenziare il procedimento spettacolare utilizzato da Kar-wai. L’incontro tra Su e Chow, ad esempio, non avviene subito. In una prima sequenza vediamo Su che va ad acquistare la zuppa quindi Chow che si reca al negozio dei noodles, ma i due non si incontrano (o almeno si incontrano nel fuori campo) in quella che sembra la stessa sequenza.  La sig.ra Chang  torna poi al negozio e qui, lungo il vicolo, incontra Chow. I qipao indossati della donna sono diversi: un salto temporale. Ma dove è avvenuto? Nel mondo reale? Nei sogni di Chow? Nel suo ricordo? In un’altra sequenza sembra che Su e Chow non si incontrino. La mdp si sofferma un attimo a inquadrare una lampada del vicolo (già mostrata nella prima sequenza dell’acquisto al noodles shop): luce fissa che illumina prima l’oscurità, poi la pioggia che comincia a scendere copiosa (la pioggia è un’altra serie che sarebbe interessante analizzare). Questo è il motivo che permette a Chow di ritornare sui suoi passi, perché per non bagnarsi deve ripararsi sotto l’arcata del vicolo.  Su, causa la pioggia, rientra al noodles shop. Nonostante le premesse (quanto cinema farcito di luoghi comuni ha fatto incontrare due innamorati causa un temporale improvviso?) lo stratagemma della pioggia non è servito a niente: la pioggia non è la causa dell’incontro, e la sequenza non realizza un significato nel sintagma ma rimane immobile nel suo stesso nulla, isolata in un tempo non sottomesso all’immagine azione. La pioggia pertanto è una serie che non contribuisce a formare un significato immediato – anzi lo allenta – in quanto non ci è permesso conoscere l’incontro tra i due innamorati, né udire le parole che si sono detti. In questo caso la pioggia deve navigare in altri lidi, mentre spetta alla moltiplicazione di tre componenti la formazione del senso profondo dell’incontro tra Su e Chow. Dopo l’inquadratura di Su, seduta nel negozio di noodles in attesa che spiova, vediamo l’inquadratura della strada bagnata e poi Su e Chow che stanno salendo insieme le scale della casa della signora Suen. E il qipao di Su è sempre lo stesso. In questo caso il qipao ha ricucito un’ellissi, il salto temporale è stato breve, legato ad una discontinuità spaziale (noodles shop, strada, scale della casa della sig.ra Suen). Ciò che in molti casi ha formato una sorta di atemporalità, adesso ha compromesso pure questa certezza. È come se il qipao avesse ostacolato la zuppa, formando un tipo diverso di ellissi. Anche in questo caso l’atemporalità si muove fra non visto, non detto e salti irregolari e destrutturanti di tempo. Inoltre il suono dello Yumeji’s  Theme  di Shigeru Umebayashi, che scandisce e accompagna le sequenze del noodles shop, contribuisce ad allentare le forze intense della narrazione lasciando scivolare i movimenti e i comportamenti di Su e Chow in una terra senza tempo. Il tempo insomma diventa (come nei film della Nouvelle Vague) un tempo senza senso, un tempo qualunque, che non ha punti di riferimento, che non aiuta a ricostruire un principio e una fine, che non parte da e non arriva a nessuna parte. Eppure il senso profondo delle sequenze, nel loro decomporsi e ricomporsi nella casualità, s’ingigantisce restituendo allo sguardo l’intensa, atemporale, vastità di un amore. Di una poesia.

(1) Interessante sarebbe ampliare questa ipotesi alla luce della Recherce di Proust, putroppo devo ironicamente ammettere che “non ne ho il tempo”.

2 commenti:

Stefano ha detto...

Analisi eccezionale (per un film che ne ha bisogno), come se ne trovano sempre sul vostro blog.

Luciano ha detto...

@Stefano. Grazie, sei molto gentile. In effetti il film, pur essendo considerato in generale un ottimo film, andrebbe rivalutato per l'incredibile forza espressiva ed erranza dei significati che lo rendono (posso affermarlo?) un capolavoro.