4 aprile 2012

Pierrot le fou di Jean-Luc Godard(*): Generazione dei mostri (parte prima) 4/5

3. GENERAZIONE DEI MOSTRI

    L’occhio vede, l’orecchio ascolta e infine lo spirito afferra drammi incompiuti. Un vascello che veleggia su una immobile tartaruga, la confusione del colore (confusione di sfumature e contrasto di chiari e di scuri) capace di distorcere la luce in  infiniti bizzarri riflessi.  L’universo in frammenti mescola i colori e riporta  dall’eternità “gridi interrotti”: l’oggetto  evoca  anche la sua “colonna sonora”, ma interrotta, perché accumulatasi con altre colonne di altri oggetti.  Un  caos  apparente,  dunque,  dove  l’immaginazione  riesce  ad  “afferrare drammi incompiuti”, riesce cioè a “leggere” pezzi di storia, drammi subito repressi dall’evocazione di altri drammi; il tutto in un perpetuo caleidoscopio che ronza nella mente. Ecco mostri generati, mai esistiti di per sé. Ecco pezzi, frammenti di universi portati dall’incertezza, portati dalle leggi del mondo fino a noi, divenire “mostruose” creature, inquietanti, incapaci di cullare il nostro desiderio di controllare il reale. Questi nuovi mostri creati dall’accumulo caotico trasportano Raphaël (5) nel loro mondo, passando di esistenza in esistenza, di tempo in tempo, di luogo in luogo, di emozione in emozione. Raphaël dubita infine della propria esistenza, gli pare d’essere come quegli strani oggetti, né del tutto morto, né del tutto vivo.
      Esseri né morti, né vivi, vaganti nella storia e nella natura, tra i colori e le forme, di citazione in citazione.  Non sembrano i nostri due  eroi romantici?  Mille  pensieri  li accomunano, li allontanano; la vita li intrappola nelle sue apparenze; la costruzione della loro storia naufraga tra le onde del mondo; la narratività li attraversa a tratti, a tratti sfugge, si riflette nei loro corpi; la “storia” si allenta, il movimento diventa statico e il tempo prende il sopravvento. Il sapere allora salta fuori dall’immagine, non è nell’immagine, è sì evocato dall’immagine, ma non è nel sintagma, si attesta di fuori, cerca il suo mostro, anzi si porta sulle spalle il suo mostro lungo un interrotto cammino proprio come in un racconto di Baudelaire (6).
    Questi mostri accovacciati sulle spalle non mollano mai le loro vittime, penetrano negli sguardi (sono fatti di colore e di tempo “visto”) oppure  fluttuano fino alle orecchie (sono gridi interrotti e ripresi fatti di poesia e di tempo “udito”), per cercare un contatto con lo spettatore, per far capire che il film non è trasparente, ma è dentro di lui. Io sono l’altro, io sono il film, il film è dentro di me. Il sapere non è ancora un fuori che sceglie,  è una differenza: qualcuno mi dice una cosa e poi un’altra; non è la prima cosa che vale, a cui debbo credere, ma neppure l’altra, bensì la loro differenza.
    Il sapere è in questa differenza; si situa tra il sogno di un’avventura e l’avventura di un sogno. Tra ozio e viaggio la differenza non è il movimento. Anche ozio è viaggiare (viaggio nel linguaggio del diario, viaggio nel colore dei tramonti e dei soli alti all’orizzonte, viaggio nell’isolamento di Robinson-Ferdinand con Venerdì-Marianne), e anche viaggiare è ozio (l’auto è ferma mentre i paesaggi le scorrono ai lati, mentre i colori deformati scivolano sul parabrezza, i milioni di secondi trascorrono sulle labbra, citati da Marianne, nell’immobile imbarcazione sotto cui scivola il mare). La differenza è proprio il sapere. Che ne so io se Marianne vuole una vita di “macchine, rivoltelle e nights” e se la vuole perché devo saperlo? Perché il linguaggio scorre scomposto sul diario di Ferdinand? Cosa  c’è “tra” le cose? I mostri creati dalle citazioni, pezzi di “reale”, oggetti presi da altri contesti, non si generano lentamente, ma appaiono come un’improvvisa agnizione. Gli oggetti e i colori acquistano una loro autonomia, non sono accessori dell’immagine, ma diventano componenti di vere e proprie serie, servono insomma per creare mostri.

(5) Raphaël è il personaggio principale del romanzo di Honoré de Balzac: La pelle di zigrino.
(6) Mi riferisco al racconto intitolato A ciascuno la sua chimera, in Lo spleen di Parigi (1861), Milano, Garzanti 1989, pp.22-25.

(*) Luciano Orlandini, Pierrot le fou di Jean-Luc Godard, in Annali del Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo, Università Firenze, Anno II, 2001, pp. 141-150.

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