Basta che funzioni è un più o meno gradito ritorno ad uno stile molto caro a Woody Allen che informa molti suoi grandi film, soprattutto quelli degli anni settanta ed ottanta. Eppure, nonostante una certa rassomiglianza, questo lavoro col suo supposto lieto fine (ma è un lieto fine?) non si allinea del tutto al vecchio caro stile alleniano. Lo sviluppo dell'intreccio potrebbe anche essere fondamentale, ma un ostacolo insormontabile impedisce allo sguardo di accettare la storia e cavalcare la cresta dell'onda d'urto dell'incipit. Perché quello sguardo in macchina iniziale rivolgendosi a noi-pubblico non è solo un espediente del narratore autodiegetico per introdurre l'argomento trattato, ma è anche il tentativo di uscire veramente dallo schermo. Non è come nella Rosa purpurea del Cairo (1985) quando Gill Shepherd esce dallo schermo di un cinema incuriosito dalle numerose visioni di Cecilia (la quale si recava ogni giorno a vedere il film per dimenticare la grama vita della grande crisi sperando di affogare la disperazione nel mare in movimento delle immagini), perché lì il pubblico era simbolo e proiezione del pubblico reale (o meglio, dal punto di vista di Allen, ideale) che stava al di là del secondo schermo. In quel caso si sapeva che eravamo un pubblico al quadrato (forse anche elevato ad una potenza più alta ma non voglio complicare il discorso). In Basta che funzioni c'è il tentativo diretto di uscire dallo schermo. Ovviamente un tentativo ancora in nuce perché il desiderio di strappare dall'interno la tela può funzionare soltanto se chi strappa riesce a saltare il mondo fisico lacerando la tela che si forma nelle menti degli spettatori. Quel "basta che funzioni", oltre che un invito a subire le indicazioni della quantistica senza preoccuparsi dei cliché della conformità, è anche il tentativo di disintegrare tutto ciò che avverrà in seguito. Voglio dire che Woody Allen non intende solo sostenere che la felicità risiede nel coraggio di svelare il dentro (togliere il velo per mostrare l’orrore del nostro mondo interiore) ma che il cinema si assesta sul confine tra la paura di ovattare il milieu e il timore di perdere un contatto con il pubblico (orrore di mostrare una disperazione senza fondo). E come Boris Yellnikoff è un dio in quanto al di sopra di tutti (nella storia perchè un fisico quantistico nel discorso perché il "proprietario" unico di ciò che sta per raccontare), lo spettatore è un dio dell'altro versante, è il referente "invisibile" ed evanescente che esiste solo nella nostra mente e nei luoghi che possono interessare la sociologia (nel senso di pubblico come oggetto del mercato) ma che è parcellizzato, destrutturato, complesso, imprevedibile. Nel dialogo dell'incipit Boris si rivolge a me, non al pubblico in generale, mi guarda diritto negli occhi e cerca di uscire dallo schermo per entrare nel mio pensiero. Ho pensato a questo durante l'intera visione del film e ho scoperto che il lieto fine rimane come sospeso e immortalato in una foto di famiglia, come quando guardo una vecchia immagine e scopro i miei cari più giovani mentre oggi sono invecchiati o non ci sono più. Questo quadretto "funzionante" è la scoperta del valore di un ricordo, il carpe diem di un momento felice ed inalienabile, non il risultato del caso perché il caso non crea storie ma solo immagini. Per questo il film mi è sembrato allo stesso tempo divertente (stile di Woody Allen sempre encomiabile) e destabilizzante. Quel “basta che funzioni” non è solamente la constatazione di una scelta (amore, amicizie), ma la consapevolezza che un meccanismo si è messo in funzione (immagine in movimento) e per questo un'entropica decontestualizzazione storico-culturale (il tempo futuro di altre generazioni) disancorerà il senso profondo di un'immagine da happy end.
22 commenti:
Ben detto, Luciano. Un film molto importante nella carriera di Woody e che ricorda l'Allen migliore.
E ricorda di cantare due volte "tanti auguri" mentre ti lavi le mani :D.
come se arrivati alla vecchiaia il gusto di essere cinico e graffiante cedesse il passo, per paura di troppa solitudine (come voler bene per sempre a un cinico e rompiscatole), a un atteggiamento accomodante, quasi ecumenico?
commento troppo cinico?
è vero, quel parlare a me colpisce, ma, chiedo, vuole uscire dallo schermo o portare dentro lo schermo ognuno di noi?
di sicuro instaura un rapporto personale con ciascuno.
"Quel “basta che funzioni” non è solamente la constatazione di una scelta (amore, amicizie), ma la consapevolezza che un meccanismo si è messo in funzione (immagine in movimento) e per questo un'entropica decontestualizzazione storico-culturale (il tempo futuro di altre generazioni) disancorerà il senso profondo di un'immagine da happy end".
Come sempre riesci a darmi un punto di vista che io non ero riuscita a cogliere. Grazie.
Ale55andra
@Dan. Giusto non ci avevo pensato. Cercherò di ricordarmelo ogni volta che mi laverò le mani (e mi capita spesso) ;)
@Francesco. Penso di sì. Un rapporto con ognuno di noi. L'idea di portarci nello schermo è interessante... ci penserò su, anche se forse trascinarci dentro è proprio lo scopo di un certo modo di fare cinema.
@Ale55andra. Lo stesso capita anche a me quando leggo i tuoi post. Grazie anche a te^^
a me quello sfondamento non ha convinto e un po' tutto il film così come il macchinoso happy end (anche presumendo che sia una caricatura è davvero troppo scoperta). Come troppo scoperto tutto il gioco del dialogo col pubblico. In Io & Annie funzionava molto meglio ed era più legato all'intreccio e al tema.
@Noodles. Io e Annie ovviamente non si tocca. Altro cinema, altra qualità. Però questo sguardo in macchina mi ha messo a disagio e istintivamente avrei voluto parlare col protagonista e dirgli di non gettarsi dalla finestra quando passo io e chiedergli come sia possibile abbinare la quantistica alla negromanzia. Forse funzionano incredibilmente entrambe? ;)
ciao!
visita il sito
www.visionaria.eu
@Visionaria. Già passato anche se per pochissimo tempo. Mi sembra ottimo. Conto di ripassare soffermandomi di più. Grazie.
Questo l'ho lisciato. E mi sembra molto interessante questo discorso del dialogo con lo spettatore.
Aspetto il DVD.
@Roberto. Benissimo. Attendo il tuo post^^
Non lo so, io non vedo la "disperazione senza fondo" dei personaggi. Io il film l'ho trovato pessimo: ripetitivo, privo vi verve macchiettistico nel senso peggiore del termine, contraddittorio (se niente ha senso come dice il protagonista, allora perché preoccuparsi del "basta che funzioni"?), tirato via, pieno di luoghi comuni, furbetto (poco onesto) e con solo un paio di battute veramente divertenti. Il personaggio è poi monodimensionale, ed artificioso: vomita insulti all'inizio di ogni conversazione con qualsiasi altro personaggio. Ma l'insulto dovrebbe essere funzionale al dialogo, non svincolato ad esso, sennò non solo non fa ridere, ma neutralizza tutto il dialogo che inaugura. Il risultato è che il personaggio è autistico, e questo è un problema perché il film ruota solo su di lui (la storia non c'è).
Io il film l'ho trovato una porcata vera, soldi buttati (per farlo e per guardarlo).
Ciao,
approfitto della benevolenza della connessione per salutare te ed i tuoi collaboratori...quanto a Woody Allen non vedo l'ora di vederlo...un saluto
nickoftime
@Onan Jr.Ovviamente il film non è da annoverare tra i migliori del regista ma prendo atto del tuo rispettabile punto di vista. Comunque, almeno per quanto mi riguarda, non ho visto il film con l’intenzione di ridere e nemmeno per “cercare” una storia. Il “basta che funzioni” non dovrebbe essere infatti una preoccupazione ma un progetto, un tu per tu con lo spettatore (o meglio con me stesso e nel mio caso con “cinemasema”), poi poco importa se funziona nella vita, perché la vita non è il cinema. Del tuo discorso mi affascina comunque quando affermi che il “personaggio è autistico”. Molto interessante. Non ci avevo pensato. Forse è proprio ciò che voleva Woody Allen. Grazie per la visita e per gli spunti interessanti del tuo commento.
@Nickoftime. Grazie. Un carissimo saluto anche da parte mia. A presto^^
Tre veloci risposte:
(i) L'intenzione di ridere. Quella di ridere non è poi la mia intenzione (anche perché per farmi ridere ce ne vuole), è l'intenzione di Allen che fa sparare al suo protagonista una serie di battute loffie e inutilmente sforzate sul lato dell'insulto, che in confronto quel boia di Crozza è un genio della comicità.
(ii) Riguardo alla storia, non è che io la cerco, è Allen che ce la presenta, il suo protagonista vuole raccontare ai suoi amichetti una storia... E Allen ce la presenta con una sceneggiatura buttata lì. I genitori della ragazza non si capisce bene come dove e quando scapperebbero fuori; la conservatrice con il matrimonio distrutto arriva a New York e diventa senza colpo ferire una ninfomane anarchica; il marito scopre di colpo la sua omosessualità e non solo la accetta ma la spiega senza problemi al primo omosessuale incontrato in vita sua. Se queste non sono macchiette da Bagaglino, anche un po' offensive.
(iii) Riguardo al "Basta che funzioni", il protagonista dice una cosa e dil suo contrario, in modo rigido. O il protagonista è un personaggio sofferto macerato dal dubbio e dalle contraddizioni, o Allen non ha riletto i dialoghi dopo averli finiti di scrivere: dire "tutto fa schifo, niente ha senso" (dirlo in tutte le salse) e poi dire essere-in-due è fondamentale, quindi "basta che funzioni", l'amore ti salva. Ma allora le prime affermazioni? Boh.
@Onan Jr. Capisco il tuo punto di vista e credo che a questo punto rischierei di essere ripetitivo nel riportare ciò che ho scritto nel post. Semplicemente ci muoviamo in due (rispettabili) territori differenti: l'aspetto prettamente narrativo (cronaca, "coerenza logica"(?) di esistenti ed eventi, ecc.) non sono stati presi da me in considerazione e solitamente non rientrano (o rientrano in parte) nel mio modo di "vedere" un film. Comunque prendo atto delle tue osservazioni.
"un'entropica decontestualizzazione storico-culturale (il tempo futuro di altre generazioni) disancorerà il senso profondo di un'immagine da happy end."
il tuo commento è tanto forzatamente intellettuale quanto no-senso che il celebre maestro che citi (Woody) prenderebbe in giro così:
http://www.youtube.com/watch?v=o4u1DreWKOU
o così:
http://www.youtube.com/watch?v=lMU_H_bSdu4
o ancora...va bè basta.
Saluti
@Anonimo. Può essere una frase poco felice, ma, suvvia... non è poi così tanto complessa e non ci vuole molto a comprenderla. Se devo pendere da una parte preferisco non esagerare nelle eccessive semplificazioni e i due video sono esilaranti, grazie, ma Woody Allen secondo me puntava ad altro e non a sfottere chi cerca di esprimere la complessità delle emozioni. Grazie e tanti saluti anche a te^^
devo dire che non mi è piaciuto più di tanto...sì ci sono delle belle battute, dialoghi scoppiettanti e insomma tutto quello che mi(ci) piace di allen...ma lo sguardo in macchina iniziale e finale l' ho trovato fuori luogo, o meglio, mi da l' impressione di qualcosa di non finito...si ok, si rivolge a noi ma per cosa? e perchè lo fa solo boris? insomma non l' ho capito più di tanto e nel complesso rispetto ad altri film di woody mi è sembrato un pò lento...gusti personali ovviamente! ^_^ un caro saluto!
ps: quel film di vecchiali poi non sono riuscita a trovarlo, altrimenti ti avrei ricontattato :)
@Monia. Capisco. In effetti non è tra i migliori film di Allen ma proprio quel guardarmi negli occhi (e ti confesso che ho provato disagio nell'essere stato interpellato dal film) mi ha interessato, ricordandomi in particolare certi pezzi di cinema moderno di quaranta anni fa.
Ah, per Vecchiali mi dispiace. Proprio di estrema rarità eh?
A presto :)
Posta un commento