14 giugno 2008

Ultimo tango a Parigi. 2. Strategie del sublime dalla caverna alla "Storia di una ragazza". (2/4)

“La storia di una ragazza”(il film che Tom sta girando) prosegue nel verosimile solo apparentemente. In effetti fuori dalla caverna platonica (1) si entra in un altro incubo. Il verosimile, inteso come moralità imposta e punto di vista artificioso del potere (che pretende di formare e plasmare luoghi comuni a sua immagine e somiglianza), registra e coordina un certo modo di intendere e definire l’etica comportamentale di Jeanne. Infatti Jeanne riprende la sua forma imposta dai luoghi comuni (fidanzata, brava ragazza, un passato, ricordi) che non possono stabilizzarla, coordinarla, armonizzarla in un’etica. Mentre nell’appartamento il corpo di Jeanne riesce a riflettersi attraverso le lenti deformanti distorte da una luce stroboscopica e “baconiana”, nella stazione, dove Tom l’attende con la sua equipe, la luce diventa casuale (aspetto tipico della Nouvelle Vague) non luminescente, insignificante (2). La trasformazione, nel montaggio discorsivo (3), non interviene come contrapposizione tra oscurità (caverna) e luce (sole), ma come un continuum che si limita a trasferire questa caduta agli inferi da un quadro all’altro. In altri termini, il mondo di Tom non è l’antitesi del mondo di Paul, ma solo un altro luogo ove abbandonarsi al flusso incontenibile e irrappresentabile del mondo. Questa incapacità di proporre un’alternativa (ma in fondo l’alternativa è l’ “inferno” della caverna) si esorcizza attraverso un’altra lente che non deforma la luce, lo spazio e il tempo, ma la rappresentazione. Con questo voglio dire che Tom, regista televisivo, già al primo incontro definisce la storia d’amore con Jeanne solo attraverso il cinema, quindi tramite un’arbitraria rappresentazione. Tutto quello che nel rapporto con Paul viene mostrato attraverso una deformazione pittorica (ma non solo) qui, negli incontri con Tom, può solo essere fiction. Il verosimile sembrerebbe prendere il sopravvento, ma non accade perché le capacità autoriali, creando sequenze metacinematografiche, annullano questa pretesa. Mostrando il rapporto tra Jeanne e Paul filtrato dal medium, Bertolucci dimostra l’impossibilità di una redenzione. I flussi evanescenti e sfocati di Bacon sono diventati false immagini che si sciolgono nello scarto tra ciò che il mondo sta preparando a Jeanne e l’impossibilità di definire questo mondo. Questa aporia chiude definitivamente ogni possibilità di aprire una via di uscita attraverso la ricerca classica e accattivante di una bellezza anamorfica. A questo punto mi interessa trovare e proporre una lettura che esula dall’arte “classica” nel senso di non tecnologica. Il bello (in senso kantiano) risiede nei nostri giudizi espressi dalle nostre aspettative estetiche, come dalle nostre emozioni e dagli stati d’animo del Soggetto, ma non va considerato a mio avviso come una misura per esprimere un giudizio sul film, in quanto il “[…] bello della natura riguarda la forma dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione […]”, mentre in Ultimo tango a Parigi gli oggetti non hanno forma perché implicano una rappresentazione dell’illimitatezza. In altri termini, il film mostra la propria forza attraverso la deformazione del sublime. Mentre il bello secondo Kant “[…] implica direttamente un sentimento di agevolazione e intensificazione della vita, e perciò si può conciliare con le attività e con il gioco dell'immaginazione, il sentimento del sublime, invece, è prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da una più forte effusione delle forze vitali, e perciò, in quanto emozione, non si presenta affatto come un gioco, ma come qualcosa di serio nell'impiego dell'immaginazione”(4). Purtroppo il Sublime concerne la natura (sublime dinamico: tempeste, incendi, eruzioni, ecc.; sublime matematico: immensità della natura nei casi di oceani, deserti, ecc.) , è uno spettacolo che non riguarda l’arte e in questo mi trovo d’accordo con Mario Costa (5) quando afferma come il sublime provoca “[…] uno scacco e una sospensione del simbolico e come, pertanto, esso sia assolutamente indicibile; nominare il sentimento del sublime significa già lasciarsi dietro il sublime e passare dal sublime al simbolico[…] (6). Nell’arte non è realizzabile proprio perché il sublime, in quanto esperienza di “un eccesso destrutturante, […] è indicibile nella sua esperienza”, per cui “nel momento in cui il sentimento del sublime si trasforma in parole o in altre forme equivalenti si passa dall’ordine del sublime all’ordine del simbolico”. Quindi “nulla di quello che ha assunto la forma del simbolico può essere ritenuto veramente sublime” (7). Ma con l’avvento delle tecnologie l’arte ha cominciato a sostituirsi alla natura e ha “dato forma” al suo sublime tecnologico (8). A questo proposito ritengo che Ultimo tango a Parigi porti avanti le sue strategie del sublime ponendosi come uno spettacolo, o meglio (citando sempre Costa) il sublime può essere reso oggetto, ma un oggetto senza forma. In altri termini, riprendendo sempre il discorso di Costa, il sublime tecnologico può essere inteso come “una disposizione d’animo che nasce non dalla forma dell’oggetto ma dalla relazione dell’animo con la situazione-oggetto” (9). Ultimo tango a Parigi è una situazione-oggetto che provoca nello spettatore un senso di indeterminatezza e di attrazione-repulsione (Kant) provata da un osservatore di fronte all’indeterminatezza e all’improponibilità di questo film (e non alla grandezza come nel caso della natura). Le situazioni-oggetto si stratificano l’una sopra l’altra, quasi fondendosi e rendendosi “invisibili” allo sguardo ma completamente rilevabili attraverso un’induzione (10) dell’animo. Insomma il sublime è indicibile. Queste situazioni sono eventi emozionali-visuali-sonoro-tattili,una sorta di sesto senso che si connettono con la nostra incapacità di gestire l’evento provocando un senso di incompiutezza e smarrimento. Le strategie di questo “ragno” formano dei punti, degli “snodi”, dei passaggi che permettono di vagare nel film come vagabondi che urlano verso il treno della metropolitana. Uno di questi snodi può essere ad esempio la carrellata in avanti che mostra la vetrata smerigliata del portone di ingresso dell’appartamento da affittare (che si trova in rue Jules Verne). Quando Jeanne suona il campanello al lato del portone-vetrata, la mdp esegue una carrellata (leggermente inclinata verso il basso) da destra a sinistra della vetrata sfocata e mostrata in primissimo piano, finché, non appena vediamo il giovane volto di Jeanne fare capolino prima di uscire, ci rendiamo conto che il “lieve” travelling è proseguito in un’ellissi. Questa scena rappresenta un punto di vista temporale, uno spazio-tempo concentrato in un punctum (11)(non formato?) in quanto restituisce un punto di vista che si trova allo stesso tempo in due momenti differenti. In altri termini Jeanne è già stata nell’appartamento, tutto è già accaduto o sta per accadere, oppure niente può essere controllato o coordinato ma solo respirato. Stessa situazione nella cabina telefonica all’interno del bagno di un bar occupata da Paul, mentre Jeanne in attesa si guarda allo specchio del bagno davanti alla porta smerigliata. Quando Paul sta per uscire si ha la sensazione che apra la porta della cabina, mentre in realtà apre la seconda porta (sempre smerigliata e identica alla prima) che dà direttamente sul bar. Nella sequenza in cui Jeanne si reca in stazione (immersa in una luce diurna poco luminosa, una luce quasi trasandata in stile Nouvelle Vague) la vediamo, ripresa in primo piano dal basso, quasi scomparire come in una dissolvenza “naturale”, sotto un effluvio di luce che colpisce la mdp accecando in un bagliore violento lo schermo. La luce solare (Lumière = luce = F.lli Lumière) nella stazione dov’è arrivato il treno (La Ciotat?). Adesso inizia la parte metacinematografica in cui la disperazione assume toni ancora maggiori: dalla caverna platonica, in cui vediamo le ombre del reale proiettate sul muro, alla stazione, in cui non vediamo neppure quelle ombre, ma solo la luce che “scolpisce” il tempo (12) e in questo caso una luce abbandonata nel mondo che non ha pretese narrative. “Allora tu mi hai abbracciato e sapevi che era un film. Che vigliacco. Brutto traditore!” dice Jeanne mentre Tom le risponde: “Vedrai, è soprattutto un film d’amore”. E quando Tom le chiede cosa ha fatto tutto il giorno, lei replica recitando la sua bugia (“Ho pensato tutto il giorno a te. Amore non posso vivere senza di te”), mentre Tom, con entusiasmo: “Magnifico! Stop! Fantastico!”. Questi “snodi” sono numerosi e mutevoli. Nella sequenza ambientata nella casa di Jeanne, Tom, spengendo un mangianastri, interrompe una musica che sembrava extradiegetica e che solo adesso apprendiamo essere pertinente alle immagini una volta relegata nella diegesi (ma una diegesi di secondo grado considerata come “tentativo di diegetizzare l’assenza di senso dell’iconico). Poco dopo la musica però esce dall’alveo della diegesi riappropriandosi dei connotati pseudo-classicheggianti. Altro aspetto (sempre nella stessa sequenza) la voce off di Jeanne intenta a raccontare i ricordi della sua infanzia nel momento in cui vediamo un gruppo di bambini che corrono nel giardino. Sembra un salto temporale, un flash-back, ma in realtà si tratta di un “inganno dell’iconico” in quanto poco dopo gli stessi bambini vengono colti in flagrante da tutta l’equipe mentre stanno facendo i bisogni nascosti dietro una siepe. Questa parte del film, come giustamente detto e ridetto, vuole essere un omaggio alla Nouvelle Vague, ma vuole anche essere il bisogno di dilatare il senso di scacco attraversando un certo tipo di cinema moderno. Se osserviamo bene le scene con Tom, non ci troviamo davanti a un cinema prettamente attinente alla Nouvelle Vague (almeno non soltanto), perché la recitazione enfatica di Leaud (che spaventa più delle “manie” erotiche di Paul) amplifica il modo di Tom di affrontare il rapporto con Jeanne (un parossismo cinefilo forse più melodrammatico del récit all’interno degli appartamenti). La luce casuale contribuisce a infondere un senso di angoscia, sottolinea lo spavento del falso e la difficoltà di mantenere uno stile a tutti i costi. La luce alla Nouvelle Vague è ancora più spaventosa della luce deformante di Bacon, mentre i riflessi di specchi, gli ostacoli apparentemente trasparenti (staccionate, normali porte di legno, un treno che divide il dialogo tra i due fidanzati nella metropolitana, ecc.) , sottolineano la distanza immane dei loro mondi. Sguardi del dopo e del nulla, il loro gioco sprofonda nell’indicibile tecnologico.

(1) Platone, La repubblica.
(2) Nella stazione la luce del giorno che filtra da sopra le pensiline si riflette nei fumi dei treni, oppure diventa un raggio solare che, colpendo l’obiettivo della macchina da presa, annulla il volta di Jeanne.
(3) cfr. Vincent Amiel, Estetica del montaggio, Lindau, 2006
(4) Tutti le citazioni sono riprese dalla Critica del giudizio di Immanuel Kant.
(5) Mario Costa, Il sublime tecnologico, Castelvecchi, 1990.
(6) cit., p.28
(7) ibidem.
(8) Termine usato impropriamente e me ne scuso ma non riuscivo a trovare una definizione più esplicativa che rendesse bene l’idea. Riguardo al sublime tecnologico Costa afferma: “ Le neo-tecnologie comunicazionali (circuiti televisivi in “live”, reti telematiche, slow-scan Tv e telefax, tecnologie satellitarie…) e le tecnologie di sintesi (delle immagini, dei suoni, delle forme plastiche…) sono i media di questa dimensione del sublime tecnologico che ci si offre e che ci è dato di attraversare". (p. 39)
(9) p. 47
(10) Nel suo significato scientifico di fenomeno per cui un corpo vicino a un altro ne modifica alcune caratteristiche o ne determina alcune proprietà (De Mauro)
(11) Nel senso definito da Roland Barthes in La camera chiara, PBE 2003
(12) Andrei Tarkovskij, Scolpire il tempo, ubulibri, 1988

9 commenti:

Ale55andra ha detto...

Ultimo tango a Parigi è una situazione-oggetto che provoca nello spettatore un senso di indeterminatezza e di attrazione-repulsione (Kant) provata da un osservatore di fronte all’indeterminatezza e all’improponibilità di questo film (e non alla grandezza come nel caso della natura). Le situazioni-oggetto si stratificano l’una sopra l’altra, quasi fondendosi e rendendosi “invisibili” allo sguardo ma completamente rilevabili attraverso un’induzione (10) dell’animo.

Se è davvero così, dovrei affrettarmi a recuperarlo!!

Noodles ha detto...

Volevo commentare alla fine del trittico ma inizio da qua. :P
Due cose soltanto. Mi sono sempre chiesto se Bertolucci, difensore e nfluenzato dalla Nouvelle vague, ne abbia dato qui una visione un po' ironico-satirica (il personaggio di Leaud - che da solo, come attore, già fa NOUVELLE VAGUE - a volte è ritratto come un fanciullo invasato più da concetti che da pratica).
Secondo mi piace molto questa frase: "il film mostra la propria forza attraverso la deformazione del sublime". Forse non c'entra un tubo, ma è possibile che la fine tragica della storia di Paul e Jeanne sia anche quella di decretare l'impossibilità dell'uomo di entrare nel sublime, di essere senza forma (anche sociale, anagrafica) senza (auto)distruggersi?
Chissà se il nome del personaggio della Schneider allude a un'altra Jeanne della Nouvelle. O se è casuale.

monia ha detto...

complimenti anche per questa seconda parte! la sequenza della stazione è davvero straordinaria, descrive tutto un mondo che concepisce un cinema confuso con la vita, che non riesce più a capire quale sia la realtà e quale la fantasia. io però ho sempre pensato che quello non sia un vero e proprio omaggio alla nouvelle vague ma piuttosto un modo per prenderne le distanze: tom che dovrebbe rappresentare la "vita reale" di jeanne è ancor più cinematografico di paul, ad esempio nel modo in cui appare e scompare nelle varie sequenze e léaud, nella sua veste di icona di quel cinema, enfatizzando al massimo il suo modo di recitare, crea quasi una caricatura (se pur splendida) di sé stesso.

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Penso di sì. Inoltre leggerei con molto piacere una tua recensione su Ultimo tango a Parigi.

@Noodles. Immagino di sì. Leaud recita la parte di un regista ossessionato più da un cinema "classicheggiante" che dal cinema auspicato dai "jeunes turcs". E' un'idea interessante e uno spunto da approfondire: impossibilità per l'uomo di sfuggire a una forma, di evitare una catalogazione. Rifletterò molto su questa tua osservazione. Ti riferisci a Jeanne Moreau? Mi ricorda Jules et Jim. Anche qui un triangolo e un tragico epilogo. Ultimo tango è la versione "deformata" e/o decostruita di Jules et Jim?

Luciano ha detto...

@Monia. Sono d'accordo. Tom è più cinematografico di Paul e Jeanne, uscendo dalla caverna, non entra nella sua realtà, ma ne esce. Il suo bisogno di "verità", il suo corpo sono nati nell'appartamento, nell'horror angosciante del "dentro". Fuori c'è la fiction, la maschera, la sua quotidiana, artificiosa "realtà", i luoghi comuni. E tutto ripreso in stile Nouvelle Vague senza essere Nouvelle Vague. Leaud non recita "alla NV" ma in modo tragico, falsificante, quasi da mélo. Questo non succede con Marlon Brando.

Anonimo ha detto...

Lascio un commento solo per farti i complimenti per la nuova immagine del template. SPLENDIDA! :)

Ciao,
Lore

Luciano ha detto...

@Lorenzo. Splendido è il film. Purtroppo il mio blog (per scarse competenze tecniche) non possiede una buona grafica. A presto ;)

chimy ha detto...

Altro post davvero (per usare una parola che hanno già usato) splendido, che dimostra il grandissimo spessore di questo film. Un'opera che scava davvero nel profondo.

Una curiosità... quante visioni (una più una meno) hai fatto del film?

Per analizzarlo così approfonditamente, credo ce ne vogliano molte....


Un saluto

Luciano ha detto...

@Chimy. Sei sempre gentilissimo^^ Ultimo tango è un film adatto per essere analizzato sotto molti aspetti differenti. Uno dei più importanti film italiani di sempre. L'ho visto, negli anni, molte volte (non le ho contate ma credo oltre la decina), ma per scrivere questi post me lo sono rivisto da poco (più di una volta). A presto.