31 agosto 2010

Agora (Alejandro Amenábar, 2009)

Dopo le didascalie che introducono il periodo storico appare il nostro pianeta blu visto dallo spazio, un'immagine conosciuta, un pianeta che nella realtà quotidiana non è possibile vedere nella sua totalità, perché la nostra prospettiva appartiene al dentro e la vista dal fuori può essere solo supposta oppure accertata con l'ausilio di foto scattate dallo spazio e oggi persino con Google Earth. Sulla superficie, visti dall'abisso della distanza, somigliamo a una miriade di formiche che si muovono freneticamente e si agitano, si industriano, discutono, litigano, combattono, si uccidono. La verità astronomica, oggi naturale ed ovvia, che si trova al di là dell'apparente esperienza empirica, è un fatto matematico, è la scienza, presuppone la capacità di uscire dal proprio corpo e "volare" con la mente nello spazio. Anche il cinema richiede la capacità di astrarre e di costruire, di comprendere il rapporto tra le immagini e le geometrie all'interno dell'inquadratura. Vedere il parabolano che cammina velocemente nel fuoco, quasi come un impacciato prestigiatore che non convince nessuno, esclusi i cristiani di Alessandria, equivale ad accettare una prospettiva storica e a domandarsi: noi a cosa avremmo creduto? Invece vedere il pagano bruciare, dopo essere stato gettato nelle fiamme, ci riallinea agli spettatori dell'agora: gli dei sconfitti non possono niente mentre il nuovo dio protegge le sue pecorelle. Ma la prospettiva del film è storica: oggi possiamo giudicare con maggiore serenità, perché conosciamo gli eventi e perché sappiamo che Ipazia era una scienziata che non credeva a ciò che vedeva bensì a ciò che poteva ricostruire con la ragione. L'occhio viene facilmente ingannato da quello che vede mentre la mente si rifiuta di credere a forze che certamente esistono anche se non sono visibili a occhio nudo. A volte servono strumenti (microscopi, telescopi), e soprattutto può servire un punto di vista onnisciente, e nel caso di un film sulla vita di un'Astronoma, serve uno sguardo dal cosmo. Mentre Oreste suona il flauto doppio nel teatro in onore di Ipazia, lo sguardo distante, sereno, osserva la Terra, osserva Alessandria del V secolo. La prospettiva non è solo quella di un dio: è anche un viaggio nella mente di una donna che non poteva (visti i mezzi dell'epoca) "vedere" la rotazione delle sfere celesti, ma che "sapeva" discernere e ricostruire. Lo spazio extraterrestre, con vista sulla Terra e il suo satellite, sono il locus amoenus di noi spettatori, sono la nostra platea. Non ci troviamo seduti nel teatro di Alessandria a seguire le storie d'amore e di morte e gli scontri tra le varie fazioni, ci troviamo piuttosto in un'altra epoca e sappiamo quanto in fondo potremmo trasformarci in formiche piene d'odio. Amenábar non vuole raccontarci la barbarie dei parabolani che uccidono una donna, perché nell'epilogo la mdp si allontana dall'agora per farci intuire più che mostrarci il momento in cui i cristiani fecero a pezzi la scienziata. La realtà storica è ancora peggiore: Ipazia fu squartata con le conchiglie (forse cocci di tegole). Eppure ad Amenábar interessa mostrare la verità e per questo è sufficiente ascendere, assumere il punto di vista onnisciente, mentre l'inganno, la prestidigitazione, è nelle cose terrene, si trova nell'oscurantismo e nel dogma. Il film mostra il percorso dell'errore che diventa legge, ossia credere alla fissità della "scrittura", anziché alla mobilità della ragione e del sentimento. I cristiani rimpiccioliti dalla plongée che sciamano tra l'agora e i templi, dopo la distruzione della biblioteca, sembrano formiche che escono dal nido per una battaglia. La sensazione è amplificata dalla velocità dei movimenti di quei "punti neri" che brulicano in ogni dove. Oltre a una distanza spaziale (una visione innaturale per l'epoca) si aggiunge una distanza temporale (le "formiche" che velocizzano i movimenti). L'accelerazione del tempo preannuncia la sequenza di una nuova visione dal vuoto: si vedono sulla destra la Grecia e l'Anatolia con il nord posto sulla base dell'inquadratura, poco sopra Creta e Cipro e l'Egitto con il delta del Nilo. Il Mediterraneo è mostrato per metà in un unico colpo d'occhio. Il mare sembra una pozzanghera. Gli uomini si schierano in fazioni e si uccidono solo per affermare le loro verità quando l'Immenso dei loro occhi è infimo fango calpestato da un gigante:

Dopo essersi riposati un poco, mangiarono per colazione due montagne, cucinate abbastanza bene dai loro servitori. Poi vollero esplorare il piccolo paese dove si trovavano.[...] Siccome quei forestieri camminavano abbastanza presto, fecero il giro del mondo in 36 ore [...]. eccoli così tornati al punto da cui erano partiti, dopo aver visto quella pozza, quasi impercettibile per loro che chiamiamo Mediterraneo [...] (1)
Per Micromega, abitante di Sirio, il Mediterraneo era solo una pozzanghera e per il saturniano che lo accompagnava (un nano rispetto al siriano) era appena più grande. In un mondo così piccolo ai loro occhi era impossibile scorgere certe pulci microscopiche chiamati uomini e per il nano (l'abitante di Saturno) sulla Terra non c'era nessuno. Ma Micromega "[...] gli fece capire , educatamente, che non era un bel modo di giudicare, perché, diceva, «voi non vedete, coi vostri piccoli occhi certe stelle di cinquantesima grandezza che io vedo molto chiaramente: concludete perciò che quelle stelle non esistono?» (2)
Questa inquadratura dallo spazio divide la narrazione in due parti: la prima è come una lunga introduzione e racconta l'avvento del cristianesimo ad Alessandria e la perdita della biblioteca; la seconda parte descrive il cambiamento nei costumi che diventano più morigerati, il consolidamento del potere dei parabolani e del Vescovo Cirillo e la debolezza del prefetto Oreste (convertitosi al cristianesimo) e infine i fatti che portano alla morte di Ipazia. Una zumata ingrandisce le regioni e si focalizza in una zona poco distante dal delta del Nilo dove, tra la palude Mareotide e il Mediterraneo, si trova la città di Alessandria. Adesso sono visibili gli edifici e quello che è rimasto della biblioteca, la mdp attraversa una finestra e inquadra la camera ardente del vescovo Teofilo appena morto. Quindi il nipote Cirillo prende il suo posto. La sequenza seguente ci mostra l'aggressione agli ebrei riuniti a teatro. Le pietre scagliate contro di loro sono pietre scagliate contro l'arte. Dopo la distruzione della scienza (la biblioteca del Serapeo) adesso tocca all'arte (il teatro). La struttura del film segue questa contrapposizione: da una parte immagini dall'alto e dallo spazio come simbolo di prospettiva storica portatrice di verità e di conoscenza (i fatti della storia come, ad esempio, le persecuzioni contro altri famosi scienziati e filosofi tra i quali Giordano Bruno e Galileo Galilei), nonché le sequenze che mostrano un'Ipazia scienziata, libera pensatrice, unica donna tra tanti uomini che vuole affermare il proprio diritto di pensare e di lavorare; dall'altra lo sciamare del fanatismo, sequenze di uomini che impongono la propria visione del mondo soprattutto con la violenza e distruggono la libertà. In Agora dominano il chiaro e lo scuro (3) che non sono una forma di manicheismo per crittografare e separare i buoni dai cattivi ma una scelta formale per dividere la scienza dall'oscurantismo, la conoscenza dall'ignoranza. Intorno vi sono le sfumature del grigio, i dubbi e gli errori anche dei colori chiari. Alessandria stessa d'altronde è bianca e dietro si staglia infinito il bianchissimo deserto. Le nubi della stratosfera, viste dall'alto sono bianche. In altri termini il bianco, il chiaro, non sono simbolo di bene e serenità bensì di ricerca e sofferenza, consapevolezza del dubbio, paura e sconforto; rappresentano la debolezza dell'uomo (Oreste che teme Cirillo e prega Ipazia di convertirsi, il Vescovo Sinesio che rimprovera Oreste per non essersi inchinato al cospetto di Cirillo). Il nero e l'oscurità al contrario rappresentano la forza della certezza, l'assenza del dubbio (la Terra è piatta), la semplificazione eccessiva (ogni cosa è già scritta nei testi sacri), ma anche il cliché (le cose sono come le vediamo) e l'inganno (la magia che scaturisce da un dio protettore). Interessante notare che Ipazia a volte porta vestiti scuri: probabilmente perché la sua è la certezza nella forza della ragione, una sorta di ragionamento di tipo illuminista e positivista ante litteram. Agora è un film che non mostra la pietà per l'uomo (e questo credo rispettando il senso del concetto di bene per l'uomo antico), cerca al contrario di dare il senso della perdita e della sconfitta. Allontanando la mdp nel momento in cui la salma di Ipazia viene lapidata per poi essere tagliata a pezzi (e questo immagino per rifuggire dal cattivo gusto) Amenábar preferisce mostrare la stessa immagine dell'incipit di una Terra vista dallo spazio come contrappunto dello sguardo di Ipazia che osserva per l'ultima volta il cielo prima di morire soffocata. Grande è il rammarico per la perdita di una donna (peraltro gravissima come tutte le morti violente di ogni tempo), e soprattutto per un'occasione persa.

(1) Micromega in: Voltaire, Candido Zadig Micromega L'ingenuo, Garzanti, Milano 1973 p. 178.
(2) Ib.
(3) Semplificando: il bianco e il nero.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

E' proprio il fantastico gioco di prospettive, ma non solo, che mi ha fatto amare moltissimo questa pellicola.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Sì, in effetti nel film vi sono molti spunti di riflessione. Un ottimo lavoro.

Giuseppe(eraservague) ha detto...

ho molto apprezzato anch'io agorà, cosi come la recensione, mi mancano da leggere le tue ultime recensioni luciano. a presto

Luciano ha detto...

@Giuseppe. Senz'altro un film interessante e ben costruito.
In effetti ho recuperato molti film non visti in inverno e proiettati all'aperto in agosto.
A presto.

cinemaleo ha detto...

Un poderoso affresco di un’epoca e di una mentalità di cui poco si parla, un ritratto intenso e profondo delle nostre origini che molti di noi preferiscono non ricordare o ignorare. Una decisa e non diplomatica analisi della religione...

Luciano ha detto...

@cinemaleo. Hai sintetizzato benissimo quali sono i temi fondamentali di questo film.

Cotone ha detto...

Ma sono l'unica a pensare che alcune trovate di questo film siano davvero scarsamente realistiche?
Io ho avuto per tutta la seconda metà del film l'impressione che Amenabar si sia letteralmente scordato della sua protagonista, finchè non le fatto dire "Eureka" in una maniera che sono abituata a vedere solo in qualche telefilm giallo di bassa lega.
Anche le frames of references mi sembrano francamente deboli. Che senso ha buttar via l'evento, lasciarlo sullo schermo solo per approssimazione, senza provare a spiegarne le cause? (Neanche mezza causa).
Trovare su questo blog, l'unico che si esprima davvero in termini semantici, una recensione così positiva di un film di cui ho pensato così diffusamente male mi lascia un tantino stupita.
Forse dovrei riguardarlo.
Non so.

Luciano ha detto...

@Cotone. Poiché la narrazione filmica ha bisogno del nostro apporto (ricostruire e ricucire le parti mancanti) ognuno di noi rimane impressionato da aspetti diversi del film. Nel mio caso lo sguardo dallo spazio mi ha stimolato molto facendomi ricordare immediatamente (addirittura sin dall’incipit) il racconto di Voltaire. Forse ciò ha influenzato il seguito della visione, non saprei. Per quanto riguarda il quadro di riferimento storico, in effetti (anche se le notizie degli eventi sono limitate a quanto riportano Socrate Scolastico e Filostorgio, probabilmente due uniche e valide fonti contemporanee ai fatti) sarebbe stato possibile girare un film più attento nell’analizzare quella che è stata una vera e propria mutazione genetica del Cristianesimo dell’antichità (i cristiani da vittime a carnefici). Oppure si sarebbe potuto anche girare un film che avesse curato maggiormente l’evoluzione della matematica e dell’Astronomia all’epoca di Ipazia, magari chiarendo che l’idea di un Tolomeo come organizzatore dell’Astronomia antica è un concetto tutto medievale. In realtà gli scienziati dell’antichità discutevano, ragionavano consideravano quella tolemaica una delle tante ipotesi. Fare un film con tutto questo non deve essere semplice ed effettivamente se Agora fosse stato tutto questo saremmo stati davanti a un capolavoro. Forse troppi rischi ed esigenze di produzione hanno convinto il regista a distaccarsi un po’ dal personaggio e dai fatti lasciando galleggiare gli eventi come fossero un po’ sospesi nel “dubbio storico” per non dare adito a polemiche che purtroppo ancora oggi vengono alimentate da chi non vuole macchie su Cirillo, uno dei “sistematori” del Cristianesimo. Comunque il film presenta molti aspetti interessanti e per questo merita una visione. Anch’io l’ho visto solo una volta e spero di rivederlo.

A presto.

Cotone ha detto...

Le fonti storiche sono poco esaustive sulla vita e sulle speculazioni di Ipazia, non sulla struttura e sull'humus culturale di una civiltà che produceva testi così forbiti. Questo s'intende (e sono sicura che ci troveremo d'accordo).
Francamente proprio non riesco a togliermi l'idea che Amenabar si sia servito di Ipazia esattamente come se ne servirono i teisti e Voltaire diversi secoli prima (ovviamente in maniera meno plastica e meno sottile dell'immenso Voltaire).
In più ci sono alcuni aspetti del film onestamente detestabili; prendi Ammonio, per esempio:
-Non morì affatto colpito da una pietra, ma subì un "regolare processo". Oreste lo fece letteralmente TORTURARE FINO ALLA MORTE. L' Imputato non arrivò alla sentenza. (Non ti suggerisce niente il fatto che proprio questo episodio sia stato così significativamente alterato? Oreste nel disegno di Amenabar è un perfetto alessandrino, dotato di cultura, benevolenza e buon senso, e tale DEVE restare. Il regista -evidentemente- ha deciso che non era il caso di macchiarlo di un delitto tanto grave, non credi?
personalmente, detesto quel genere di verità creata per forza di intenti.
Come se non bastasse, ho trovato alcuni momenti davvero ridicoli:
-L' idea che Ipazia avesse intuito le teorizzazioni di Keplero con così largo anticipo e "senza l' uso del cannocchiale" è pura buffoneria.
In più (e questo è il punto che mi interessa veramente)c'è una domanda molto importante, a cui il film risponde in maniera mediocre:
-chi erano questi cristiani?
Gente poverissima, che aveva attraversato a piedi uno spazio incredibilmente vasto. Molti di loro erano morti, molti si erano ammalati, molti penavano per la miseria dei propri cari. Erano arrivati in una città solida e moderna, ma non così tanto da abolire la schiavitù. Stracciaroli, raccoglitori di letame, schiavi di vario genere: questo popolo di emigranti era smaccatamente tagliato fuori da qualsiasi idea di dignità civile. Ora, questo popolo di barbari, mendicanti, che si metteva in livrea per due monete, non avendo una cultura, fece del cristianesimo la sua. Chiaramente per "cultura" intendo grossomodo qualcosa che si avvicini a un'identità popolare(non alla sua produzione letteraria).
Pleonastico, ma doveroso, ricordare che la schiavitù è (forse) la più grande forma di oppressione.
Il "Gott mit Uns" della Wehrmacht se lo poteva anche rispiarmiare.
Alfine, non credo che lo digerirò mai questo film.
Io continuo a pensare che sia sempre più opportuno valutare le Cause degli eventi, più che gli eventi.
Le prime danno delle spiegazioni. I secondi no. Non sempre.
Grazie mille per le tue osservazioni e buoni pensieri.
Michela

Luciano ha detto...

@Michela. Le tue osservazioni sono molto pertinenti e interessanti proprio perché potrebbero innescare una proficua discussione sugli aspetti storico-culturali del rapporto tra cristianesimo paganesimo ed ebraismo. Inutile ripetere i fatti storici (pietra lanciata da Ammonio, pubblica tortura da parte di Oreste, cristiani straccioni e poveracci, ma anche schiavi pagani ed ebrei). Suppongo che Amenabar abbia voluto soprattutto soffermarsi sulla figura di Ipazia certamente non uccisa barbaramente da poveri morti di fame ma dal potere della prevaricazione e del fanatismo (religioso o meno, non importa, cristiano o ebraico o pagano non importa). D'altronde le imprecisioni del film non sono poche. Però credo che gli aspetti più interessanti della storia di Ipazia siano da cercarsi nella lotta (non solo del IV secolo ma anche di altri secoli da venire) tra oscurantismo e forza della ragione (anche se Ipazia era Neoplatonica). Mi sembra che rappresentare le forze in gioco dell'epoca, a causa delle scarse fonti e dell'assenza dei lavori di Ipazia andati distrutti, non sia semplice, ma è fatto inamovibile che Ipazia è stata una vittima pagana della violenza "cristiana". Questo non deve essere però divenire atto d'accusa contro cristiani, pagani o ebrei (ci mancherebbe!) ma contro ignoranza, violenza, fanatismo, inganno. Pertanto mi sembra che nel trattare un argomento tanto delicato, nonostante molte semplificazioni anche dovute a una materia tanto vasta (troppi dati quali religione, scienza, violenza, eventi, ecc.), credo che da un punto di vista dei contenuti Amenabar non potesse fare di più. E comunque il film mi ha incuriosito più che altro per come è stato, diciamo, sistemato il materiale, organizzato il plot, giustapposte le sequenze. Durante la visione (conoscevo già la vicenda di Ipazia) ho cercato di non lasciarmi trasportare da un'emozione legata a fattori "esterni" anche se ho notato le discrasie tra film e Storia persino nel descrivere gli ultimi istanti della vita di Ipazia uccisa con una brutalità che Amenabar ci ha risparmiato. Grazie a te per le tue puntuali e graditissime precisazioni.