Poiché
To The Wonder tende a distaccare la narrazione, a indebolirla, con
movimenti, sguardi, posture che mirano lontano,
“frasi” acusmatiche che ondeggiano nella colonna sonora, volti che si adombrano
o si illuminano nel gesto, piroette, campi lunghi di città, paesaggi marini o
agresti, è possibile che il senso a sua
volta aumenti di volume saltando tutti i dati intermedi, i fatti contingenti,
assolutizzando l’evento, mostrando in altri termini l’archetipo primordiale che
alberga sin dalla notte dei tempi nella nostra mente? Indebolire la narrazione
non significa rimuovere il senso, ripudiare il racconto. Per Greimas ogni
enunciato presuppone sempre un’enunciazione anche se non percepibile del tutto.
L’enunciazione è sempre presente nell’enunciato anche se a volte implicitamente. Eppure la mancata
esplicitazione dell’enunciazione diventa ancora più significativa di quella
palese, evidente, dei testi classici. Il disinnesco, la separazione tra
enunciato e enunciazione, il débrayage(1), diventa enunciativo con discorso
impersonale, senza dialoghi (le poche frasi dette non sono sufficienti a
definire To The Wonder un film molto “parlato”), senza movimenti o posture
canoniche; gli attori spesso voltano le spalle, camminano, i loro sguardi non
sono raccordati, i paesaggi – in particolare Mont Saint-Michel – sono sì
affascinanti ma vivono di vita propria, potrebbero anche non essere visti
perché gli uomini non li vedono ma ne fanno parte, vi danzano dentro, si
muovono all’interno. Ma allora chi è l’osservatore e qual è il punto di vista?
Come si distribuisce il sapere ed esistono un sapere e una verità in fondo al
tunnel (l’epilogo del film)? Neil è il focalizzatore, ci racconta una storia?
Oppure è Marina? Qual è il senso profondo del film? La separazione? La perdita
della fede? Il perdersi e il ritrovarsi? Qual è la funzione dei paesaggi?
Troppe domande a cui, pur pensandoci a lungo, non saprei dare una risposta. Se
da un lato il rischio di tanto cinema contemporaneo è di mostrare lo stereotipo
(spesso ben recepito e compreso, perché connesso all’esperienza dello
spettatore) i film di Malick sembrano vagare alla ricerca dell’archetipo. In
effetti un percorso complicato e di dubbia efficacia ma senz’altro originale e
pregno di stimoli per chi vede il cinema come esperienza e non solo
intrattenimento. Estrarre l’archetipo dalla carne densa e vischiosa della
storia, depurare il senso dalla cronaca per mostrarlo come unica storia
riferibile, può risultare pratica di conoscenza. L’Ombra ad esempio,
l’archetipo impersonato dai “cattivi” di turno (siano essi personaggi od
eventi) potrebbe diventare il senso di tutti i significati conosciuti dalla
razza umana dalla preistoria ad oggi? In To The Wonder appare
d’improvviso sul volto di Marina già prima di incontrare l’amante. Allora viene
da chiedersi: perché Marina tradisce Neil? C’è un motivo, l’ha tradita, l’ha
trascurata, l’ha picchiata? Tuttavia l’Ombra non è un oggetto concreto e denso
(pur essendo stata personificata nel cinema da innumerevoli personaggi e/o
attanti: assassini, demoni, violenti, maniaci, guerrieri ecc.). L’Ombra non ha
consistenza, si muove dal mondo all’anima e viceversa, penetra la carne e ne
esce, vaga sull’onda portante di un’umanità depressa che ha bisogno del male
per esorcizzare le proprie paure. Apparentemente non ci sono motivi per cui
Marina debba tradire Neil perché Malick deve raccontare il senso, quello stesso
senso di afflizione che ho provato nel vedere i balletti all’indietro di una
donna che esprime voluttà, paura e rabbia in inquadrature ravvicinate. L’eroe,
(forse Neil, forse Marina, forse lo stesso padre Quintana) attraversa i
personaggi relegando gli altri nella nebbia.
L’eroe tramonta e risorge di sequenza in sequenza. Mentre padre Quintana
porta il suo conforto agli emarginati e ai malati, intraprende il suo dialogo
interiore con Cristo coinvolgendoci nella sua crisi. Questo dialogo evidenzia
il suo Sé ossia il Mentore che è in lui, Dio stesso che lo mette alla prova, e persino il Guardiano
della Soglia, il suo Demone, che lo pone davanti alle sue contraddizioni, alla sua crisi interiore, impronunciabile.
Mentre vaga tra gli invitati a un matrimonio una fedele gli dice che pregherà
per lui perché “così riceverà il dono della gioia”. Si aggira per le strade e
nei luoghi di sofferenza roso dal suo bisogno di un Dio che non riesce a
trovare (“Per quanto tempo ti nasconderai”, “fammi arrivare a te”). Lo cerca
tra i miserrimi della terra, tra gli psicolabili, vagando di edificio in
edificio, di strada in strada (“Ti cerco intensamente. La mia anima ha sete di
te. Esausta. Sarai come un ruscello che si prosciuga?”). In un incontro con
Neil dice allo stesso: «Devi lottare con te stesso. Devi lottare con la tua
stessa… forza». Mentre si reca in casa di una malata, provenendo da una mensa
per poveri di un Istituto di suore, prosegue il suo arrovellamento interiore,
senza soste (“Dove mi stai portando? Insegnaci dove cercarti”). La sua voce off
(sempre in spagnolo) procede mentre scorrono le seguenti inquadrature: Marina
che passeggia lungo il fiume, dà del cibo alle oche; uno stagno; lo stesso Padre Quintana che prima spinge un
uomo in carrozzina, lo aiuta ad alzarsi, poi conforta e assiste, con la Bibbia
in mano, una vecchia negli ultimi
istanti della sua vita; immagini di casette di un piano (“Cristo accompagnami.
Cristo davanti a me. Cristo dietro di me. Cristo in me. Cristo sotto di me.
Cristo sopra di me. Cristo alla mia destra. Cristo alla mia sinistra. Cristo
nel cuore”). La paura di perdere quel che si ha, o peggio ancora, di perdere
ciò che siamo. La fede, l’amore, la felicità, la sicurezza, la vita… Gli
archetipi formano storie, sono la struttura portante, recondita, ma stimolante,
di ogni storia. Apparentemente sembrano semplificare tanta narrativa, nel senso
che migliaia, milioni di racconti sono riconducibili a poche essenziali
funzioni. In realtà, prodotti di una scrittura arcaica, accompagnano l’uomo sin
dalla notte dei tempi e riescono a modificarsi senza perdere la loro energia
vitale trascinando lo sguardo dentro le immagini. L’archetipo affiora nel segno
primordiale, un’incisione, un solco, un rilievo. La scrittura è un archetipo.
Come afferma Derrida “[…] la scrittura
non sarà mai la semplice «pittura della voce» (Voltaire).
Essa crea il senso, consegnandolo, affidandolo a una incisione, a un
solco, a un rilievo, a una superficie che si vuole trasmissibile all’infinito.
Non che lo si voglia sempre, non che lo si sia sempre voluto; e la scrittura,
come origine della storicità pura, della pura tradizionalità, non è che il
telos di una storia della scrittura la cui filosofia resterà sempre a
venire”(2).Per usare una terminologia cara a Greimas, gli archetipi si
servono del débrayage enunciativo per potenziare l’embrayage (3), con la sua
capacità di creare l’illusione di una realtà dell’enunciazione che non è più
afferrabile, ormai scomparsa per sempre. Questo ritorno all’enunciazione, o al
suo fantasma, crea un’illusione di realtà impossibile da cogliere, ricomposta
dalla mente. Il senso profondo di questi archetipi amplifica la forza
dell’embrayage trascinando nell’assoluto piccole emozioni, deboli sensazioni,
dolci amarezze di noiose abitudini, della mia vita quotidiana che non riesco a
capire, ma che mi disturbano, mi conturbano, leggere nostalgie, delusioni
reiterate, debolezze, sofferenze per un amore non corrisposto o l’amara
constatazione di essere esclusi dal gruppo (che sia un salotto, un luogo di
lavoro o altro), come sensazioni di profumi persi, scoprire d’improvviso un
volto invecchiato o altro. Connettere il nostro piccolo mondo interiore alle
radici più profonde della civiltà, ai suoi prodromi, alle origini, la Genesi
dei nostri mostri: questa è la “meraviglia” di To the Wonder.
(1) cfr. Algirdas Julien
Greimas - Joseph Courtés, Semiotica, Dizionario
ragionato della teoria del linguaggio, Bruno Mondadori, Milano 2007
(2) Jacques Derrida, La
scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990(2) p. 16
(3) Greimas – Courtés, cit.
Per una conoscenza generica
dei concetti di débrayage ed embrayage
vedi la sezione “La semiotica generativa” su http://it.wikipedia.org/wiki/Enunciazione
2 commenti:
C'è una profondità d'analisi non comune in questo articolo! Complimenti!
milonem. Ti ringrazio. Sei molto gentile. Ho visto velocemente (purtoppo per il poco tempo di cui dispongo in questo periodo) il tuo blog e mi sembra molto interessante e di grande qualità. Conto di tornare presto. Un saluto.
Scusami per il ritardo della risposta ma come vedi non riesco neppure ad aggiornare il mio blog.
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