28 novembre 2007

Cinque pezzi facili (Bob Rafelson, 1970)

La sceneggiatura del film è stata scritta da Adrien Joyce (pseudonimo di Carole Eastman). Rafelson fa parte di un gruppo di giovani registi che, in quegli anni, intendono allontanarsi dal vecchio modello hollywoodiano di fare cinema, in un momento in cui si sente forte la contaminazione europea della Nouvelle vague ed in un periodo in cui si va affermando la figura dell’antieroe. In questo film, il modello di antieroe che prende piede è quello dell’individuo "asociale", che Nicholson saprà interpretare in modo assolutamente convincente. La storia di questo individuo (Robert) è senza tempo, porta con sé il significato di un certo tipo di disagio e di malesseri propri di chi si ritrova a condurre un’incessante ricerca dell’equilibrio interiore.

In Robert la necessità di doversi esprimere senza mezzi termini, liberamente, e questo lo pone in una condizione di continuo confronto con una realtà profondamente diversa che alimenta in lui il senso di inadeguatezza. Per quanto riguarda la struttura del racconto filmico, seppure molto semplice, la scansione narrativa segue un crescendo surreale; emblematica la scena in cui Robert, bloccato nel traffico insieme ad un collega-amico, scende dalla macchina ed inizia a gridare, poi salta sul retro di un vecchio furgone che trasporta un pianoforte e comincia a suonare la Fantasia di Chopin i Fa minore, ne è talmente preso che viene trasportato via dal furgone mentre abbandona la via principale. Le reazioni esasperate di Robert ci aiutano a capire il personaggio, l’impossibilità di potersi identificare o integrare in un qualche gruppo predefinito lo rende inquieto ma nello stesso tempo lo spinge a staccarsi da amici e da affetti. La fuga continua non assume il significato dell 'abbandono, per Robert il viaggio è puro istinto nella continua ricerca di una dimensione a lui più consona nella quale poter vivere serenamente.
Una curiosità: La versione originale del film si apriva con una sequenza che mostrava Robert da piccolo con un libro di esercizi per pianoforte intitolato "Cinque pezzi facili", eliminare questa sequenza (premessa) ha dato la possibilità al regista di rivelare il passato di Robert confrontandolo continuamente con gli eventi vissuti nel presente.

17 commenti:

Luciano ha detto...

Purtroppo mi manca questo road-movie di Rafelson (ed è una mia carenza da colmare immediatamente) un film (insieme a Easy Rider, Il laureato, Il mucchio selvaggio. M.A.S.H.)che ha contribuito a rilanciare il cinema americano (negli anni seguenti poi usciranno i grandissimi film che tutti conosciamo: La rabbia giovane, Taxi Driver, Nashville, Io e Annie, Il cacciatore, Apocalypse now e metterei anche Qualcuno volò sul nido del cuculo). L'importanza appunto di questi film è tutta nella consapevolezza che il cinema acquisì grazie all'influenza della Nouvelle vague, ossia la capacità di considerare il prodotto "film" come un oggetto di qualità, un testo, un'opera d'arte e considerare il regista come l'autore indiscusso del prodotto finito. Questa consapevolezza contribuì a rilanciare il cinema americano che si era impantanato nei cliché del cinema industriale dei decadenti anni sessanta, un cinema di genere, considerato solo un prodotto come tanti buono da vendere. Ciao.

M.S. ha detto...

Meraviglioso Cinque Pezzi Facili. Mi è rimasto impresso per due ragioni fondamentali: la sceneggiatura brillantissima e scorrevolissima che fa bere tutto d'un sorso il film, senza colpi d'arresto e senza che ci si renda conto del trascorrere del tempo (100 minuti in un secondo) e l'interpretazione di Karen Black, attrice di poco successo, ma formidabile. Non dico nulla su Nicholson perchè sarebbe tempo sciupato, non ha mai fallito un colpo.
stasera me lo rivedrò.

Anonimo ha detto...

Ciao vale, complimenti per la scelta,
uno dei migliori film degli anni 70! Nicholson in un'altro personaggio che non si dimentica! lo rivedrò al più presto

Anonimo ha detto...

Grazie Luciano per il tuo intervento, a tal proposito volevo chiederti qualcosa riguardo alla collocazione di questo film nel "road-movie", a me sembra un pò limitativo in questo specifico caso, perchè in questo film il dramma psicologico dell'uomo viene raccontato così bene da uscire fuori dal tempo e dal contesto. Tu che ne pensi?

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti, Mario S. e Mash, grazie per essere intervenuti! sono lieta di aver fatto riemergere nella vostra memoria uno de film che ci hanno fatto conoscere il camaleontico Nicholson.
Buon cinema!

chimy ha detto...

Una delle vette della New Hollywood...un capolavoro.
Jack Nicholson, quando guardi questo film (così come in altri), si può considerare uno dei migliori attori della storia...
Un saluto

Luciano ha detto...

Non avendo visto il film (ma colmerò la grave lacuna e poi ti riferirò) posso solo prendere come esempio il romanzo "On the road" di Kerouac,scritto nel 1957, che probabilmente si può considerare l'antesignano del genere (anche se nel cinema ci si dovrebbe riferire a Easy Rider). Il romanzo racconta la libertà, la ribellione, il desiderio di lasciarsi alle spalle il conformismo e il viaggio rappresenta una fuga verso la libertà, la scelta di girare l'America casualmente, senza mezzi, viaggiando come meglio capita (autostop, treno, ecc.), insieme a "Urlo" di Allen Ginsberg e "Il pasto nudo" di William Burroughs rappresenta l'icona della Beat Generation, è simbolo di libertà, di rifiuto delle regole delal società borghese, ecc.ecc. Ma in realtà nel romanzo, secondo me, il viaggio (nel senso di percorso che conduce a...) non ha importanza. Ha importanza invece il viaggio come conoscenza (lo stesso che Dante effettuerà nella Divina Commedia per rimediare al suo smarrimento), come ricerca del proprio io. "On the road" in realtà è la storia dell'incontro con Dean M. A volte percorrere miglia e miglia è solo un modo per attraversare i propri limiti, per espandere i propri sensi allo scopo di cercare ciò che non può essere trovato. La conoscenza si attraversa senza mai sapere quand'è il momento in cui stiamo per uscirne. L'importante non è l'arrivo ma l'atto stesso di viaggiare. Credo che i road-movie (naturalmente solo quelli di qualità) siano di per sé un modo per esorcizzare le proprie paure e affrontare i propri limiti. La fine del viaggio non finisce col testo, il viaggio prosegue sempre all'infinito. In Easy Rider prosegue anche oltre la morte. Quello che affermi riguardo al dramma che esce dal contesto e dal tempo (non posso che prenderne atto perché non ho visto il film)rende il film opera d'arte, ma la "strada" secondo me non è un contesto (come profilmico certamente è un contesto) ma una predisposizione mentale. Ciao

chimy ha detto...

Eh eh..guarda il romanzo di Kerouac è in assoluto uno dei miei libri preferiti. Amo in toto la beat generation (argomento della mia tesina liceale): da Jack a Ginsberg, a Burroughs...aggiungo anche il leggendario Neal Cassady, da cui prende spunto l'immenso Dean Moriarty. Come sottolinei giustamente non è la meta che conta, ma il viaggio stesso...
Per quanto riguarda il cinema certamente ci si collega alla new hollywood (Easy Rider e 5 pezzi facili su tutti).
Vorrei proporti però un altro paragone (come al solito sono curioso di sentire il tuo parere) collegandomi ad un film antecedente alla beat generation: "Tempi moderni" (argomento della mia tesi universitaria triennale).
In un capitolo proponevo una lettura dei due protagonisti, il vagabondo e la monella, come precursori di un immaginario beat.
Questo si può notare in diverse scene (es.Charlot le chiede dove abita, lei risponde che non abita in nessun luogo, tutto il mondo è la sua casa... questa frase sarà uno dei cavalli di battaglia di Kerouac e soci..) e soprattutto nell'indimenticabile finale: i due, ancora pieni di speranza (grazie a Charlot che fa tornare il sorriso alla monella), si mettono in marcia "sulla strada", alla ricerca di un futuro migliore, mentre un nuovo giorno sta nascendo...
Come al solito parlando con te mi dilungo tantissimo ^^

Ciao

Deneil ha detto...

film che mi manca ma la bella recensione mi invita a dargli senza dubbio un' occhiata!e poi cioè..c'è jack nicholson e io non l'ho visto vogliam scherzare??

Pickpocket83 ha detto...

Bellissimo film, di quelli che si giravano solo in quegli anni lì...e grandissimo Nicholson (grande, grande Jack...Jack for president). Ciao!

Luciano ha detto...

@Chimy. Sì Dean Moriarty è l'emanazione di Neal Cassady di cui (ehm...) non ho letto il suo unico romanzo, ma forse si può considerare il vero immenso ispiratore della beat generation della vita on the road insieme alla musica che accompagnava le loro avventure, ossia lo stupendo bop di Parker, Davis, Gillespie, Monk e altri. L'dea del Vagabondo e la Monella come precursori di un immaginario beat mi sembra interessante soprattutto per l'affermazione "tutto il mondo è la mia casa" (frase che esclude l'idea del vagabondaggio non come scelta ma come rifugio estremo imposto dalle ristrettezze della vita). La scelta invece viene esplicitata dalla frase della ragazza, divenendo così atto di accusa contro la convulsa vita moderna, che ha ridotto l'uomo a ingranaggio, ma anche proposta alternativa se non addirittura "eversiva" (uso questo termine in senso positivo). Ottima osservazione Chimy. Ciao.

philippewinter ha detto...

che gran film! è uno di quelli che mi riconcilia con l'umanità.
nel senso che fa bene ricordarsi che in effetti si vive di tensioni, ricerche e solitudini... cioè anche di questo e non sei l'unico stronzo che ci si sente immerso...
amo incontrare questo cinema.
lo rivedrò anch'io!
(ma come siete tecnici, sono capitata in un blog di addetti ai lavori?)

Anonimo ha detto...

Bellissima analisi che mi ha fatto venire una voglia matta di vedermi al più presto questo film che ho da tempo ma che non ho avuto ancora modo di guardare.
Ciao Ale55andra ^_-

Noodles ha detto...

dici bene all'inizio: la grandezza di questi antieroi del cinema americano di quegli anni è la loro storicità che però travalica il momento e sa essere e diventare ontologica. Un empasse che forse chiunque di noi vive.

p.s. ma perché non è più possibile inserire il link del blog nella finestraq dei commenti? o lo fa solo a me?

domenico ha detto...

uff, questo proprio non lo conoscevo!
rimedierò. ho una vita davanti (si spera ^^)
ciao!
(@noodles: è blogger che ha fatto una cretinata colossale...)

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti, volevo ringraziare chimy per avermi indotto a vedere Tempi moderni, e devo dire che la tua osservazione è molto acuta, tuttavia vedo ancora una profonda differenza tra il personaggio di cinque pezzi facili e gli stessi rappresentanti della beat generation...avremo modo di approfondire con altri film...

Sono rimasto molto colpita dal commento di Philippewinter, io condivido perfettamente quello che dici, per quello che mi riguarda sono unpò meno addetta ai lavori...avrei piacere di rincontrarti di nuovo nei meandri dell'etere e della mente...

Luciano ha detto...

@Vale. La tua affermazione sulla differenza tra il poersonaggio di Cinque pezzi facili e le icone (o anche i personaggi) della beat generation è molto interessante. Dovrò decidermi a veder il film velocemente.