13 agosto 2011

The Tree of Life (Terence Malick, 2011): 2/4 Una cura

“Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città” (1)

Quelle sequenze girate nel giardino, quei primi piani dei volti della famiglia O’Brien e le voci off che sussurrano la frantumazione delle immagini, a prima vista richiederebbero di essere superate. La mente vuole essere appagata e pretende che il regista “approfondisca”, dica qualcosa, ci mostri l’evoluzione, lo sviluppo, il futuro della famiglia. C’è un uomo già alle soglie della vecchiaia, sono trascorsi molti anni: è Jack: è cresciuto, il mondo è cambiato. Vediamo un po’ cosa ci racconterà Malick di quest’uomo. Cos’è successo nel frattempo?. La mdp ondeggia mostrando in un unico piano sequenza (a volte anche di brevissima durata) primi piani e campi medi dei personaggi ripresi spesso dal basso, iterando la stessa istanza denotativa con un altro piano sequenza che mostra sempre primi piani e campi medi degli O’Brien. Se il film fosse stato solo questo probabilmente saremmo stati davanti a un’opera forse sempre interessante, ma debole. Invece Malick non esaurisce il suo discorso nel mostrare uno spaccato di vita familiare (con i suoi drammi, i suoi momenti di felicità), ma pretende di collocare questo “spaccato” di vita (la sua stessa famiglia dell’infanzia?) in un limbo dove il ricordo e l’orientamento si incontrano fecondandosi a vicenda. Malick sente il bisogno di urlare al mondo la ricerca di una cura. E per curarsi bisogna sapere orientarsi: orientare un equilibrio, come una “grazia” offerta all’uomo da un dio, un pass che apre le porte delle buone azioni, al fine di raggiungere la salvezza. Orientarsi per “ricostruire” un centro di gravità cercando il senso della propria storia e immetterlo nell’assenza di senso della Storia (la Natura ostile e incomprensibile), se non addirittura della “pre-historia”, allo scopo di avviare un percorso di guarigione (percorso di conoscenza). L’attimo, già abbastanza ampio da contenere un dramma (bellissima ed efficace la sequenza dell’annegamento), può cambiare la vita di una famiglia se non di una comunità o del mondo intero. La proiezione del dramma nel mondo non è sufficiente a giustificare qualcosa di più importante, qualcosa che attraversa lo spazio e il tempo, che è contenuto nelle cose ed è un’istanza dell’eternità. Il film racconta la faticosa ricerca di un orientamento, la forza di vivere e ricordare per ricostruire una biografia (non solo personale ma addirittura cosmica). La storia potrebbe essere il pensiero smarrito e frammentato di un Jack adulto incapace di ricomporre i pezzi della propria vita. E siccome la maturità porta con sé l’analisi continua e ineffabile di certe “sequenze” del passato, più o meno sempre le stesse, sempre più intollerabili perché non recuperabili, non rimovibili e soprattutto non modificabili, la coeva realtà perde consistenza, contribuendo a gonfiare quel magma inesplicabile definibile come eccedenza emozionale di ricordi in grado di pescare quegli eventi che hanno dato seguito a conseguenze non modificabili. Eppure lo sguardo sul passato (che Proust definirebbe “memoria volontaria” a cui sfugge però l’essere in sé del passato) può essere anche uno sguardo della memoria involontaria, ossia una reminiscenza (segno della memoria involontaria), una metafora della vita che unisce il presente al passato resuscitato dalla sensazione provata nel presente. Ma non si tratta però di un “passato” solo resuscitato, per cui si ha un allineamento tra l’adesso e il ricordo, bensì di un “passato” indissolubilmente legato al presente e pertanto capace di trascinare a sé il presente della memoria o alcuni suoi “sintomi”, sensazioni, emozioni, sofferenze, disagi (il Jack adulto che “entra” in campo accarezzando sua madre ancora giovane o che incontra i fratelli e il bambino che è stato sulla spiaggia)(2). Il mondo cambia, la materia si plasma in nuove forme mentre il passato, l’attimo abbastanza ampio, rimane inspiegabilmente immutabile. La cura potrebbe essere una rimozione ma anche una biografia emozionale. Non intendo invadere il campo dell’analisi biografica a orientamento filosofico (ABOF) – tra l’altro percorso interessante che cerca di tessere linee pregne di senso capaci di collegare passato presente e futuro del paziente – sia perché la materia richiede specializzazioni che non possiedo, sia perché il discorso di Malick si proietta oltre la sfera umana, ricollegandosi a qualcosa di più ampio con cui ci confrontiamo giorno per giorno: il rapporto tra la nostra complessa vita (importante ma anche confusa tra quella di altri miliardi di vite) e la Vita (Infinito,Tempo, Spazio, Natura, Cosmo). Lo scontro tra le due esigenze conduce spesso alla perdita di un orientamento, all’insicurezza e al conseguente bisogno di rideterminare il proprio ruolo. Ma non si tratta solo di questo. Provo a soffermarmi in particolare a riflettere su alcune sequenze della prima parte del film che sintetizzano bene l’angoscia dell’uomo moderno schiacciato tra il suo ruolo pregno di senso (ricerca del successo per dare un senso della vita) e il desiderio di ricominciare sotto mentite spoglie (il nulla come resettaggio globale: una spiaggia affollata dove incontrare una personale reminiscenza): in pochi minuti Malick riesce a inebriarci d’eternità, quel bisogno di assoluto che ci contraddistingue, in grado di indicare la labilità dei gesti e delle tessiture narrative con cui “organizziamo” una biografia proiettandola in accadimenti futuri non verificabili (speranze, sogni, progetti per una propria vita da concludere). Queste sequenze conducono dal generale al particolare, dall’eternità all’attimo con un restringimento di campo che definirei trans-referenziale nel senso che il Referente, in quanto Oggetto del film serve a supporre “la Storia”, transitando nei molteplici punti di vista. Ebbene, questo modo di procedere trascina la sguardo nella purezza del Referente. Voglio dire che (e spero di non essere criptico) l’Oggetto immediato di Pierce (significato), ossia quel particolare punto di vista tra i tanti sull’Oggetto dinamico (referente) identificato dal Rappresentamen (significante) si assolutizza identificando o, meglio, fondendo connotazione e denotazione. In altri termini l’Oggetto dinamico, ossia il Referente, si mostra unico e compatto inglobando l’Oggetto immediato. La prospettiva del film non risulta pertanto quella di un unico punto di vista, ma si presenta unica e allo stesso tempo molteplice, come se l’Oggetto mostrato non fosse il risultato di un particolare punto di vista intorno all’Oggetto dinamico (Referente) ma il risultato di un simultaneo accatastarsi di punti di vista differenti concepiti come unica istanza referenziale. L’Oggetto si solidifica e l’angolo di campo dello sguardo si allarga a 360°, un po’ come una foto panoramica in cui il lato sinistro della foto e il lato destro mostrano lo stesso ubiquo oggetto. La Storia quindi potrebbe essere rappresentata come l’interno di una sfera che comprende il Tutto (Creazione, Vita, Passato, Futuro, Morte, Dio), una sfera “srotolata” in immagini e pertanto come una visione impossibile e intollerabile. Malick non ci racconta una storia (trama, narrativa, ecc.) ma filtra una ricerca, una speranza raccontando il percorso della Vita dall’Alfa all’Omega, l’innalzarsi al cielo dell’albero della vita perso da Adamo con il peccato. La sequenza, molto lunga, richiede una sintesi: il dolore della madre per la perdita del figlio è filtrato dal ricordo del Jack adulto. I suoi pensieri, i suoi ricordi si mescolano unificandosi in un limbo extracorporeo in cui si sommano immagini distanti sintetizzate dalla mente dell’uomo costretto a vivere in “un mondo che va a rotoli”. La realtà degli edifici vetrosi, trasparenti da cui filtra una luce plumbea, si alterna ai ricordi e alle immagini di Jack adulto: il volto della madre che cammina affranta nel giardino, disperata davanti alla finestra, si porge allo sguardo dopo alcune immagini di un mondo desertico quasi preistorico (che anticipa la preistoria), quindi Jack adulto osserva la madre e la carezza per consolarla nel giorno della notizia della morte del figlio. Jack si appropria di quelle immagini nella vana speranza di determinare un cambiamento illudendosi di poter trasformare il passato. Vede il volto della madre e poi vede il mondo com’era o forse è sua madre a vederlo o forse è il dolore di entrambi che si unifica al di là del tempo (i due sono divisi da almeno quarant’anni di storia) per attraversare una biografia cosmica: la Genesi, la creazione, il cosmo e lo splendore della galassia, la visione della nebulosa Testa di Cavallo in Orione, il sole, una Terra preistorica con i primi organismi viventi e la vita che pullula negli oceani, quindi la creazione degli organismi multicellulari, gli cnidari, un plesiosauro, un dinosauro che risparmia la vita a un altro dinosauro ferito, Saturno e Giove, l’asteroide che cadde sulla Terra 65 milioni di anni fa, il mondo dopo il disastro percorso da Jack adulto che cammina sul ghiaccio formatosi in un terreno preistorico. Poi la storia della famiglia: la signora O’Brien incinta, nascita del primo figlio, sua crescita, educazione, l’altro figlio, i figli crescono, le notti che scorrono buonanotte dopo buonanotte e bacio dopo bacio dato ai figli prima di spegnere l’abat-jour, la madre che lievita davanti all’albero e di nuovo il volto di Jack adulto. Proiettare la sensazione di un fallimento personale che si somma al fallimento di un’intera società (“La gente è avida e va sempre peggio”) in una comunione cosmica e temporale, coinvolgendo il senso stesso dell’esistenza, comporta già di per sé un impegno notevole, ma addirittura fondere, associare e racchiudere il ricordo di Jack adulto in quello della Signora O’Brien, colta nel giorno della sua più grande tragedia (la morte del figlio), mi ha suscitato emozioni intense, inesplicabili. Chi “vede”, chi ricorda, chi ricostruisce le sequenze dell’evoluzione darwiniana-creazionista? La madre che proietta il suo dolore nel dolore del creato intero? Che proietta la sua fede (“Lassù è dove vive Dio”) nella capacità della Grazia (che ingloba la pietà del Dinosauro) di dare un senso al creato? Oppure Jack adulto che vorrebbe cambiare il destino dell’uomo (rivedere il fratello morto), o smarrirsi in un paesaggio preistorico da rifondare dopo l’estinzione dei dinosauri? E poiché l’evoluzione darwiniana viene ricostruita da un pensiero collettivo, un ricordo che ci ravvicina nella capacità di riconoscere un retaggio comune all’intera umanità, ognuno potrebbe incollare i ricordi della propria infanzia e della propria personale vicenda? Jack adulto riuscirà a lavare le vesti prima di attraversare la sua porta nel deserto? Il passaggio della porta non è solo l’attraversamento di una soglia. Oltre la porta di un aldilà fisico? Oppure un messaggio mistico che consola la paura del Nulla? Il suo Altrove, abitato da uomini donne e bambini di ogni età o epoca, non è un mondo di anime (almeno suo padre sembra esistere nell’epoca dei palazzi vetrosi ) ma una dimensione in cui si affastellano tutte le combinazioni possibili (anche quelle non realizzatesi per vari motivi tra cui la morte di un fratello) e dove è possibile incontrare il proprio passato o quello di un’altra vita che avremmo voluto vivere. E non è questa una prerogativa del cinema? Trascinare l’anima al di là dell’Apocalisse per vivere emozioni che altrimenti ci sarebbero precluse, perché tutti hanno diritto all’albero della vita. Anche i maghi e i registi (3).

(1) San Giovanni, Apocalisse, 22:14
(2) Sull’argomento vorrei segnalare un bellissimo lavoro di Mauro Carbone, Una deformazione senza precedenti, Quodlibet, Macerata, 2004 che sarebbe interessante approfondire. Il rapporto tra il film e la Recherche di Proust (rimando qui al mio vecchio post su Proust e Deleuze ) meriterebbe da solo una approfondita analisi.
(3)” Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!” (San Giovanni, Apocalisse, 22:15). Quest’ultima frase del post non vuole essere una polemica o un critica dell’Apocalisse di Giovanni ma sottolineare la capacità del grande cinema di stimolare pensiero ed emozione, suggestioni e riflessioni, credenze e Fede.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi trovi ovviamente d'accordo sulla contemporaneità di oggettività e soggettività di tutto ciò che viene "narrato"-mostrato in questo film che secondo me è contrassegnato da un inusitato potere visivo e, soprattutto, emotivo.

Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. "Inusitato potere visivo e, soprattuto, emotivo". Sono d'accordo. Ogni volta che ripenso a questo film provo sempre emozioni intense come le ho provate durante la visione. "Contemporaneità di oggettività e soggettività": hai riassunto in tre parole ciò che non sono riuscito a "raccontare" in due post. E' una sensazione indescrivibile!

Ismaele ha detto...

dici "in pochi minuti Malick riesce a inebriarci d’eternità, quel bisogno di assoluto che ci contraddistingue",
vero, a me è rimasto questo dopo il film, mi è sembrato che Malick abbia voluto "criticare" la religione del successo e la religione tout court, sono due cose che fanno crescere i bambini in un finto benessere, ma tristi, e con senso di colpa che li opprime.

e poi la magnificenza dell'evoluzione (quello che certi chiamano quark, senza capire niente del film, credo) confrontata alla vita della famiglia di Brad Pitt, forse semplifico, mi sembra che Malick voglia dire che piccola e poca cosa siamo noi umani.

Luciano ha detto...

@Ismaele. Davanti all’Infinito e all’eternità, quando riusciamo veramente a intuire, anche per un solo attimo, il concetto, è complicato poi rapportarsi alla quotidianità che sembra apparentemente immutabile ma che in realtà è aleatoria e in perenne trasformazione. Secondo me Malick è riuscito ad accostare questi due aspetti: il concetto di immensità con i piccoli temporanei gesti quotidiani. Un’opera di ampio respiro.