31 maggio 2008

Il tempo in Proust secondo il punto di vista di Deleuze

Le acutissime osservazioni di Gilles Deleuze (famoso ai cinefili per i suoi due magistrali volumi sul cinema “L’immagine-movimento” e “L’immagine-tempo”) sul romanzo di Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, inducono a riflettere sulla percezione del “tempo” non solo nel romanzo del celebre scrittore francese, ma anche sulla percezione del tempo “cinematografico”.
Il senso della Recherche, non «[…] si basa sull’esposizione della memoria, ma sull’apprendimento dei segni»(1). C’è dell’emozione nel ricordo, e la sua espressività sta tutta nella ricerca di questa emozione, nella sua conquista. Riguardo al “problema” del ricordo e della deformazione che comporta (ma una deformazione che non è mai la stessa, perché si ri-forma e si ri-deforma ogni volta che il ricordo si tras-forma), è interessante l’analisi che fa Deleuze della Recherche di Proust. Per Deleuze appunto la Recherce si basa sull’apprendimento dei segni. I segni sono dei codici, delle regole che valgono in un contesto, ma possono non aver nessun valore in un altro. Questi segni non sono tutti dello stesso genere e non hanno un identico rapporto con il loro senso, afferma Deleuze. Vi sono segni della mondanità, segni dell’amore, segni delle impressioni o qualità sensibili, infine segni dell’arte. Si tratta di trovare il senso del segno, come il geloso vuole decifrare, interpretare, capire dai piccoli gesti della persona amata quegli impercettibili segni che possono tradirlo, segni involontari e non segni dell’intelligenza. Il geloso cerca la verità, vuole decifrare, capire, spiegare. La trasformazione in questo caso porta verso l’annientamento, «[…] i segni dell’amore anticipano […] la loro alterazione e il loro annientamento; in essi è implicito il tempo perduto allo stato puro»(2). Anche i segni sensibili possono essere segni di alterazione e di scomparsa, in cui non troviamo il tempo, ma il segno di un tempo perduto per sempre (ad esempio il ritrovamento di un oggetto appartenuto ad una cara persona morta, ricordo straziante che ci porta il sentimento della morte), ma in generale le impressioni spesso fanno ritrovare il tempo (un profumo, un sapore, un’immagine dell’infanzia) restituendocelo in seno al tempo perduto. «I segni dell’arte ci danno un tempo originale assoluto che comprende tutti gli altri»(3). L’apprendimento dei segni passa attraverso gli oggetti, ma non è l’intelligenza che interviene, perché «[…] l’intelligenza è portata all’oggettività, come la percezione è portata all’oggetto»(4). L’intelligenza è ragionamento, è una filosofia, la si può paragonare all’amicizia più ciarliera. L’amore invece è paragonabile all’arte(5). I segni sensibili tentano di restituirci il significato esplicito dell’oggetto che li emette: il ragionamento cerca tramite questi segni di restituirci il senso del tempo, ma è solo una deludente illusione. Non a caso Proust non ama la letteratura cosiddetta realistica che interpreta i segni riferendoli ad oggetti designabili, ma soprattutto una letteratura che confonde «[…] il senso con significati intelligibili, espliciti e formulabili»(6). La delusione di questo fallimento porta al tentativo di sostituire l’interpretazione oggettiva con l’interpretazione soggettiva, tramite associazioni d’idee. Il sapore delle «madeleine» può essere considerato una di queste associazioni, dandoci l’illusione di restituirci il tempo, ma il sapore delle «madeleine» è qualcosa di più di un’associazione. Il rapporto tra oggetto e soggetto non è sufficiente a rendere conto dell’apprendimento. Per Proust la vera unità del segno e del senso è l’essenza che «[…] costituisce il segno, in quanto irriducibile all’oggetto che lo emette; […] costituisce il senso, in quanto irriducibile al soggetto che l’afferra»(7). L’essenza è una differenza, non differenza tra due esseri o due oggetti, ma una differenza assoluta, e la differenza è il punto di vista che esprime ogni essere, ogni soggetto; e non è il soggetto a esplicare l’essenza, ma è l’essenza che costituisce la soggettività. L’essenza è un mondo inviluppato che costituisce l’individuo. L’essenza s’incarna nell’opera d’arte attraverso la materia, come scrive Deleuze «Il vero tema di un’opera non è […] il soggetto trattato in essa, soggetto cosciente e voluto che si confonde con ciò che designano le parole, ma i temi incoscienti, gli archetipi involontari da cui non solo le parole, ma anche i colori e i suoni prendono senso e vita. L’arte è una vera trasformazione della materia»(8). Infine l’essenza accosta due oggetti completamente differenti, è la stessa qualità comune di due oggetti differenti; il saldamento di questi due oggetti avverrà tramite lo stile, ossia per Proust, tramite la metafora, ossia tramite la metamorfosi. Lo stile è quindi la trasformazione continua, metamorfosi di oggetti che esprimono nella loro continua trasformazione, la differenza sempre identica ripetuta eppure sempre diversa. È la memoria involontaria che può avvicinare all’arte. Nella vita interviene attraverso i segni sensibili, qualità sensibili, sensazioni, sapori, profumi, immagini. Proust chiama i segni della memoria involontaria reminiscenze: sono metafore della vita come le metafore sono le reminiscenze dell’arte. Il meccanismo delle reminiscenze è «[…] un meccanismo associativo: da un lato, rassomiglianza tra una sensazione presente e una sensazione passata; da un altro, contiguità della sensazione passata in un insieme da noi vissuto un tempo, che risuscita sotto l’effetto della sensazione presente»(9). La sensazione di un sapore (le «madeleine») è simile allo stesso sapore che abbiamo gustato nell’infanzia (a Combray) e questo stesso sapore fa rivivere Combray. Non è questa un’associazione di idee, perché la “realtà” che il sapore fa rivivere non è quella che veramente abbiamo vissuto in quel tempo in cui conoscemmo quel sapore. Questa sensazione produce una gioia del tempo ritrovato, che la memoria volontaria, (il ricordo voluto, cercato) non può ricreare, perché questa memoria non afferra veramente il passato, ma lo ricompone tramite i presenti, ricostruisce insomma il presente che è stato e lo rapporta al presente attuale: è un rapporto di presenti. La memoria volontaria è simile ad una mostra fotografica(10), come afferma Deleuze alla memoria volontaria sfugge l’essere in sé del passato.
Al livello della memoria l’idea di Proust coincide con quella di Bergson, in quanto il passato quale è in sé coesiste col presente che è stato, non gli succede, in quanto se il momento non coesistesse in sé come presente e passato, non potrebbe mai passare e non potrebbe mai essere rimpiazzato da un nuovo presente. La peculiarità della memoria involontaria, a differenza di quella volontaria, è la differenza interiorizzata, una differenza immanente, perché la Combray affiorata alla mente tramite il sapore delle «madeleine» si è ormai interiorizzata nella situazione presente, situazione che non è più possibile separare da «[…] questo rapporto con l’oggetto differente […] Combray appare in un passato puro, che coesiste con i due presenti, ma al di là della loro portata, dove né la memoria volontaria attuale, né la trascorsa percezione cosciente possono raggiungerlo»(11). Anche qui come nell’arte, ma ad un livello più basso, vi è l’essenza che s’incarna nel ricordo involontario. Mentre nell’arte l’essenza ci rivela un tempo originale, che oltrepassa le proprie serie e le proprie dimensioni, l’essenza che s’incarna nel ricordo involontario ci fa ritrovare lo stesso tempo perduto. Concluderei questa lunga parentesi su Proust riportando ciò che afferma Deleuze a proposito della gerarchia di importanza tra ricordo e sogno:

I segni sensibili che […] corrispondono [alla memoria involontaria] sono perfino superiori ai segni mondani e ai segni dell’amore. Ma restano inferiori ad altri segni non meno sensibili, segni del desiderio, dell’immaginazione o del sogno (questi ultimi hanno già materie più spirituali, e rimandano ad associazioni più profonde, che non dipendono più da contiguità vissute). A maggior ragione, i segni sensibili della memoria involontaria, avendo perduto la perfetta identità del segno e dell’essenza, sono inferiori a quelli dell’arte. Rappresentano solo lo sforzo della vita per prepararci all’arte, e alla rivelazione finale dell’arte (12).

La memoria involontaria è quindi soltanto una tappa del cammino verso l’arte, è un tirocinio. Invece desiderio, immaginazione e sogno sono tappe che ravvicinano sempre più all’arte, tappe di un viaggio che porta dai segni del quotidiano a quelli del ricordo dell’immaginazione e del sogno ai segni dell’arte. E il desiderio (o il sogno) di ritrovare il tempo allo stato puro, un istante di eternità che inglobi e comprenda tutti gli altri tempi, perché come dice Deleuze nel suo saggio su Proust, «[…] solo in esso ogni linea di tempo trova la sua verità, il suo posto e il suo risultato dal punto di vista della verità»,(13) non può che essere la conclusione dell’avventura. La fusione nell’eternità di un cielo divinizzato, azzurro, dove il tempo allo stato puro unisce la morte, l’amore, la vita mondana ecc., cioè i segni di questi universi frammentari, non può che essere l’epilogo (o l’inizio), il punto d’incontro di tutti i segni del percorso, un punto che li contenga, senza farli uguali, ma rimarcandone la differenze, la frammentarietà, la trasversale di tutti i tempi, di tutti gli oggetti. Allora riemerge chiaro il senso della poesia di Rimbaud (14), in cui tempo e cose andate danno il senso dell’eternità, ma (cerco di cogliere lo spirito del saggio di Deleuze su Proust) in cui il tempo ci dà il senso di pezzi frammentari che non sono capaci di riunirsi in un tutto sia nello spazio che, per successione, nel tempo. «Il tempo è precisamente la trasversale di tutti gli spazi possibili, compresi gli spazi di tempo»(15).




Foto in alto a sinistra: Gilles Deleuze; foto a destra: Marcel Proust.
(1) G.Deleuze, Marcel Proust e i segni (1964), Torino, PBE 1986, p.6.
(2) G. Deleuze, op. cit., p. 19. Deleuze vede il tempo della Recherce diviso in quattro strutture, ognuna delle quali ha la sua verità: il tempo che passa altera l’essere, annientando ciò che fu; il tempo perso, il tempo cioè che perdiamo ad essere mondani, ad innamorarsi, invece che a fare opera d’arte; il tempo ritrovato come tempo ritrovato in seno al tempo perduto e infine il tempo ritrovato come eternità che si afferma nell’arte (p. 18).
(3) Ivi, pp.24-25.
(4) Ivi, p.29.
(5)«Vale più un amore mediocre di una grande amicizia: perché l’amore è ricco di segni e si nutre d’interpretazione silenziosa. Vale più un’opera d’arte di un’opera filosofica; perché ciò che è implicato nel segno è più profondo di tutti i significati espliciti»: Ivi, p.30.
(6) Ivi, p. 32.
(7) Ivi, p. 37.
(8)Ivi, pp.45-46.
(9)Ivi, p. 53.
(10)La memoria volontaria per Proust fa somigliare, ad esempio, i ricordi di una città ad una mostra fotografica, una lunga noiosa serie di istantanee. Cfr. nota pag. 55 del saggio di Deleuze, Proust e i Segni, cit.
(11)Ivi, pp.57-58.
(12)Ivi, p. 61.
(13)G.Deleuze, op. cit., p.82.
(14) “Elle est retouvée! / Quoi? L’éternité. / C’est la mer mêlée / Au soleil. […]” (Rimbaud, L'éternité in Une saison en Enfer).
(15) G. Deleuze, op. cit., p. 120.

6 commenti:

Giuseppe(eraservague) ha detto...

splendido post, mi hai fatto venir voglia di leggere la "recherche" opera che non ho mai letto( e in parte non credo sia impresa facile, soprattutto per il mio di tempo che viene a mancare). E il genio di Deleuze si riconferma anche qui, di lui ho soltanto letto i due volumi in merito al cinema che sono altrettanto magistrali.

ah volevo chiederti se hai mai scritto qualcosa su Jean Epstein regista francese degli anni 20 che io amo alla follia, sia per i film, sia per quanto as critto in merito alla teoria del cinema.

a presto ciao

Luciano ha detto...

@Vonmajor. Ti ringrazio^^. Come saprai la Recherche è composta da sette volumi (Dalla parte di Swan, All'ombra delle fanciulle in fiore, I Guermantes, Sodoma e Gomorra, La prigioniera, La fuggitiva e Il tempo ritrovato). Ed è uno splendido "romanzo circolare" sull'uomo e sul tempo. Sicuramente da leggere, ma molto impegnativo se non altro per l'eccessiva lunghezza. L'analisi di Deleuze è molto interessante, come quella di Genette (usata come esempio nel suo Figure III). Non ho ancora recensito film di Epstein, ma dovrei scrivere qualcosa su "La caduta della casa Usher". Purtroppo non ho letto nessuna sua opera (vorrei leggere "Photogénie de l'imponderable") ma solo alcuni brani su testi vari di cinema.

simonebocchetta ha detto...

deleuze mi attira... ho letto che 'dopo di lui la critica o sarà deleuziana o non sarà'...
forse prima o poi mi deciderò a leggerne qualcosa (sempre da profano appassionato)

Luciano ha detto...

@Simone. E' stato un grande filosofo e un critico raffinato, interprete attento della filosofia di Nietzsche, critico di letteratura, di cinema, arte. Personaggio complesso e affascinante, ha certamente contribuito allo sviluppo del post-moderno e del post-strutturalismo anche se risulta complesso (come accade spesso con i grandi)inquadrare schematicamente il suo pensiero. Anch'io ho letto purtroppo solo una minima parte dei tanti testi da lui scritti.

chimy ha detto...

Splendido post.
Anche perchè non conoscevo proprio queste considerazioni di Delueze sul capolavoro di Proust... molto molto molto interessanti.

Grazie davvero.

Luciano ha detto...

@Grazie a te Chimy per aver letto questo post che in tutta sincerità è poco "cinematografico", ma che ho voluto proporre perché riguarda l'analisi di un grande testo (La Recherche) prodotta da un grande filosofo (Deleuze) che poi scriverà due testi fondamentali sul cinema.