
Corpo. I corpi di 12 anni schiavo sono il naturale sviluppo o prosecuzione di un percorso che deve comprendere la trilogia del corpo di Steve McQueen. La perdita del controllo del proprio corpo è motivata da differenti situazioni: o si tratta di una dipendenza (Shame) o di una protesta (Hunger). Qui il corpo è diventato un oggetto, una proprietà, una merce da scambiare “liberamente” per il progresso e lo sviluppo economico di una società. Verrebbe da fare riflessioni ossimoriche del tipo “il liberismo del corpo sottomesso” che non renderebbero giustizia alla bellezza del film. Il corpo adesso non è fuori controllo come in Shame dove le pulsioni sessuali trascinano in scelte distruttive, e non è un mezzo per protestare contro un potere visto come oppressore (Hunger). La capacità dello schiavo di controllare il proprio corpo, persino negli ultimi momenti della vita è notevole. Solomon riesce a danzare in punta di piedi per non essere strangolato dalla corda, Patsey mantiene la propria dignità di donna nonostante lo stupro e le frustate. Dalla sua schiena emergono i dagherrotipi che mostrano vere cicatrici di reali schiavi frustati dai loro padroni. Eppure Patsey non è annichilita, il personaggio cresce sequenza dopo sequenza diventando sineddoche di un’intera razza. Tutto il contrario di ciò che accade a Edwin. Costui, il padrone, il proprietario, lo stupratore innamorato di una donna di colore, non controlla il proprio corpo, dopo lo stupro rimane sfinito ed esausto, avvilito dalle proprie debolezze, incapace di manifestare in pieno il proprio amore, schiavo del suo stesso mondo, dei costumi della sua società. Edwin è molto simile al Brandon di Shame (ad esempio due tabù: in Shame è terrorizzato dall’idea di poter amare la sorella; in 12 anni schiavo è sconvolto dalla consapevolezza di amare una schiava). La libertà è una condizione interiore e infatti, citando un aforisma di Tagore, è molto facile, in nome della libertà esteriore, soffocare la libertà interiore dell’uomo.
Musica. Mentre la storia si attarda a far emergere l’immagine (campi lunghi di paesaggi ma soprattutto primi piani di volti), la musica assume valenze narrative. Rischiando di semplificare direi : passaggio dalla musica classica o classicheggiante dei bianchi ad una musica nuova, moderna, dei neri. Da Devil's Dream a Roll Jordan Roll c’è un lungo percorso che conduce il protagonista dall’essere un uomo libero integrato nella società nordista dei bianchi, eccelso suonatore di violino, accettato a pieno diritto ma alle condizioni dettate da una società controllata dai bianchi, ad uomo che prende coscienza della complessità del mondo, luogo in cui, comunque sia, la sua razza deve soccombere (uomini liberi ma accondiscendenti al nord, schiavi al sud o frustati o amanti o affrancati). Per un uomo appassionato di violino e della musica che esce dalle sue corde, distruggerlo e poi intonare con la voce nella piantagione di cotone il canto da cui nascerà la grande musica americana del novecento (spiritual , jazz, ) il passo è enorme: presa di coscienza della condizione strutturale di una società ingessata a cui non basterà un secolo per affermare i diritti sacrosanti di ogni uomo e donna, sviluppo narrativo di una melodia che assume valenze narrative scavando nel senso profondo di una storia. Da Storia come événement, limitata “al suo racconto frettoloso, drammatico, di breve respiro” (1), a storia di lunghissima durata, una struttura che per “[…] gli storici è senza dubbio connessione, architettura, ma più ancora una realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo. […]”. Queste strutture sono “[…] al tempo stesso dei sostegni e degli ostacoli. Come ostacoli, esse si caratterizzano come dei limiti, in senso matematico, dei quali l’uomo e le sue esperienze non possono in alcun modo liberarsi. Si pensi alle difficoltà di spezzare certi quadri geografici,certe realtà biologiche, certi limiti della produttività, ovvero questa o quella costrizione spirituale: anche i quadri mentali sono delle prigioni di lunga durata”.(2). La musica di 12 anni schiavo non è solo racconto e sviluppo psicologico del personaggio. Quando nella piantagione di cotone Solomon intona il canto degli schiavi unendosi ai fratelli, quasi balbettando e stupendosi lui stesso di questo atteggiamento, la musica, il canto, è molto di più di un racconto; ha assunto il nerbo di una struttura, un “ostacolo”, una disperazione, il lamento di una impossibilità. Questo percorso musicale spiega bene le fratture delle faglie che determinano certe condizioni (pensare ad esempio alla linea Mason-Dixon, confine artificiale ma anche confine culturale tra il Sud e il Nord degli Stati Uniti), che si espandono all’indietro cercando origini sconosciute, onde che propagano i propri effetti sino ad oggi.
1 Fernand Braudel, Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1973, Oscar saggi 1989 p. 60.
1 Fernand Braudel, Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1973, Oscar saggi 1989 p. 60.
2 cit., p. 65
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