Personaggi
erotti direttamente dalla fotografia a indicare il predominio di un’immagine
che occupa completamente lo sguardo senza ricercare nel sintagma un
completamento al senso già pienamente incluso nel fotogramma. Personaggi che
ricreano nella loro staticità (memori dei tempi di Cinico TV) il logos dello spettatore “entrato”
finalmente nell’immagine facente vece di sguardo che occupa il suo stesso agire (il bambino escluso dai giochi
della piccola Serenella immobile nella piazzetta dello Zen a osservare la vita
che scorre così come l’uomo simulacro di un narratore muto, entrambi testimoni
e pertanto donatori di senso ad eventi di per sé inafferrabili). Il narratore
omodiegetico infine, allo stesso tempo dentro e fuori la storia: fuori, per la
gran parte del film, come narratore che racconta eventi di un’epoca nonostante
tutto migliore di questa (è sufficiente vedere “lo sviluppo storico” della
piazzetta dello Zen da trent’anni a oggi, degradata già negli anni ottanta ma
oggi completa di auto incendiate all’epoca ancora “oggetti” da ammirare);
dentro, nell’epilogo, come identificazione del figlio che ha pagato senza colpe
e a cui adesso non rimane che il ricordo di un’epoca infelice ma allo stesso
tempo degna (perché viva) di essere ricordata, mentre l’oggi (che tutto brucia
e ricicla) non possiede più lo spessore (persino tragico) per essere
rappresentato o ricostruito in una sceneggiatura in quanto irrimediabilmente
banalizzato dai media in una rappresentazione/identificazione da
cronaca-spettacolo, mondo in cui la disperazione diventa interessante solo
quando genera audience (peraltro già mistificato come dato di fatto, certezza
in una statistica su cui nutro grossi dubbi – ossia il campione di spettatori
“autorizzati” a rappresentare il gusto di un pubblico immaginato dal potere). E
se Nicola Ciraulo raffigura una comicità “silenziosa”, non fragorosa, dagli
urli “[…] muti, subito troncati, senza eco, o le risate a freddo, reiterate
tragicamente dentro il solito degrado urbano […]” (1) in quanto “icona” di una
disperazione anni ottanta ancora dolorosamente paranoica, Tancredi è già
tipicamente eroe tragico postmoderno immerso in una catarsi autoreferenziale nel
narrare la storia, nell’attesa in un ufficio postale, ai clienti di turno, novello
Forrest Gump che non ha niente di
straordinario da raccontare. Identificherei
nei due personaggi, nel racconto che li unisce e li separa, due istanze allo
stesso tempo divergenti ma anche corrispondenti.
Nicola
come degrado della tragedia. La vita funestamente tranquilla della famiglia
Ciraulo immersa in fotogrammi provenienti dalle esperienze di Cinico TV (ma
anche dalla notevole filmografia di Ciprì e Maresco di film quali Totò visse due volte oppure Lo zio di Brooklyn) viene scombinata da
un evento di per sé sventurato, degno finale di tanti film classici: la morte
della piccola Serenella uccisa per errore da due killer mafiosi. Quello che
potrebbe essere un momento assai drammatico non è lo Spannung, ma solo l’inizio di una serie di conseguenze che
porteranno al tragico epilogo ossia al momento più drammatico della storia. L’andamento
degli eventi però non segue una crescita del dramma, nel senso che cosa ci
potrebbe essere di peggio che perdere una nipotina in maniera tanto crudele? La
linea “di(e)gradante” si forma nei seguenti caposaldi: (a) Serenella uccisa per
errore, (b) non arriva il contributo di solidarietà dallo Stato e pertanto
bisogna rivolgersi a uno strozzino a cui Nicola non può restituire i soldi
dovendo chiedere altri prestiti; (c) quando finalmente arriva l’assegno e deve
pagare i creditori (strozzino, fornitori, ecc.) dispone di una modesta cifra
per cui (d) decide di acquistare una Mercedes che (e) Tancredi, guidandola
all’insaputa di Nicola, insieme a suo cugino danneggia lievemente lasciando
alcune rigature sulla carrozzeria. Questo fatto determinerà la sconsiderata
reazione di Nicola e l’inizio della fase più dolorosa del film. Il percorso
discendente mostra come il dramma non può essere soltanto il risultato di una
crescita di eventi concatenati atti a catturare l’attenzione dello spettatore
nell’enucleazione di una trasparenza narrativa con il suo iter classico di
spettacolarizzazione (aumento graduale della tensione), ma soprattutto l’ indebolimento
psicologico di un evento incontrollabile (la mafia interviene casualmente nella
vita dei Ciraulo) rivolgendo lo stress su eventi più dozzinali (se pur tragici)
per cui il calo di tensione (morte
Serenella>burocrazia>strozzino>danni auto → Spannung, omicidio e determinazione della colpa), pur acquisendo
caratteristiche da tragicommedia (il dramma calato nella banalità del
quotidiano), conduce direttamente nella catastrofe della famiglia per cui la
cronaca non riesce a spiegare tanti omicidi familiari apparentemente dovuti a
futili motivi.
Tancredi
come sconfitta dell’innocenza. L’innocenza si divide in due motivi
contraddittori (pubblico e privato) confrontandosi con esiti di verità che la realtà o il tempo non possono
moderare (Serenella e la storia di Tancredi),
per cui se per il mondo Serenella è vittima meritevole di risarcimento
statale (una morte pregna di significato, degna di un articolo in prima
pagina), Tancredi non è degno di essere ricordato (uno dei tanti drammi
familiari) se non come narratore definibile certamente come omodiegetico (è
proprio lui vent’anni dopo) ma destinato a rimanere soprattutto extradiegetico
(così preferisco immaginarlo: come un narratore che avrebbe voluto incidere
maggiormente e magari partecipare agli eventi ma che ne è sempre stato escluso);
la sua morte civile è al contrario densa di “significante” da adattare in un
film. Questa “regressione” nel privato (non a caso il narratore Tancredi cerca
di raccontare la storia del “figlio” in un luogo pubblico a chiunque si sieda
in attesa di pagare i bollettini postali), legata alla distanza, scioglie il
pathos in un esito naturale di un futuro (l’oggi) che ha già bruciato qualsiasi
storia e non riesce a riformare e riaccreditare come racconto ulteriore
qualsiasi evento o accadimento. Mentre verso la fine del mondo era ancora
possibile coniugare l’intreccio con il quadro, adesso non rimane che la
desolazione di un esito irrappresentabile in un universo che può solo concedere
attenzione tra uno scatto e l’altro dei numeri sul cartellone elettronico di un
ufficio postale. Mentre nella storia
della famiglia Ciraulo la crescita del primo piano si “spiega” nel volto di
Nonna Rosa che nell’epilogo occupa l’intero quadro nel dettare le nuove regole
per uscire da una situazione d’impasse (come risolvere al meglio la scomparsa
di Nicola e permettere quindi alla famiglia di sopravvivere), oggi la storia
dipanata alla meno peggio sui seggiolini dell’Ufficio postale (mentre fuori la
tragedia scorre come cronaca – vedi l’incidente e la gente che si agita e
discute sulla piazza dietro la vetrina) viene allontanata di nuovo nei campi
lunghi e nei totali della stanza del narratore, digressione nel mare magnum
dell’incomunicabilità e della fine degli eventi già bruciati e consumati ancora
prima di essere raccontati. La tragedia della famiglia Ciraulo non è la storia
della famiglia Ciraulo ma il ricordo degradato dalla mente, reso evanescente in
un mondo privo di memoria.
(1) Cfr. Ciprì Daniele, Maresco Franco, Cinico
Tv. Vol. 1: 1989-1992, Cineteca di Bologna, 2011
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5 commenti:
sto cercando di identificare il tema musicale di 'destino cieco' e non riesco a venirne a capo... tu sapresti dirmi il titolo... o l'autore...?
grazie,
pw
è un film che mi è piaciuto molto, avevo letto il libro da cui è tratto, di Roberto Alajmo, il libro è molto bello e il film lo arricchisce ancora.
ecco chi ha fatto la musica di "Destino cieco": Wojciech Kilar
grazie!
pw
pw@ Purtroppo in questo periodo non riesco a "visitare" neppure il mio stesso blog. Mi fa piacere comunque che ti abbia risposto ismaele. Grazie per la visita.
@Ismaele. Un gran bel film che mi ha molto emozionato. Purtroppo non ho letto il libro. A presto e grazie.
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