
The Artist è il tentativo (purtroppo solo accennato) di inserire il cinema in una decrescita globale al fine di recuperare la capacità di appassionarsi al profumo intenso e coinvolgente della celluloide. Quando il cinema parlava una sola lingua (quella delle immagini) e non c’era bisogno di “rovinare” i dialoghi con il doppiaggio o tramite la lettura, la passione di raccontare era immensa perché il mondo era pronto ad aprirsi a tutte le storie. L’avvento del sonoro concluse quest’epoca d’oro e pose dei “limiti” all’immaginazione. Infatti i dialoghi erano più che altro immaginati e regolati da qualche didascalia. Poche frasi in mezzo a un mare infinito di immagini. I pensieri poi, le sensazioni, i sapori, gli stati d’animo venivano spesso mostrati tramite trucchi oggi considerati obsoleti (es.: comparazione visiva tra stato d’animo e ppp). Nel film qualcosa resuscita anche se la struttura fondamentale è tipicamente post-classica, adattata pertanto al gusto contemporaneo. Ma ci sono dei segnali. A parte il bianco e nero, colori ideali per “ricostruire” il ricordo di epoche passate, è l’espressività del muto ad attrarre l’attenzione, la capacità di rendersi conto come sia possibile ancora oggi lasciarsi trascinare nel flusso degli eventi pur non udendo un dialogo. Magia del cinema, consapevolezza di quanto ancora il cinema sia in grado di donarci. Un mondo senza suoni (che sopraggiungono solo nell’incubo di Valentin o nell’ultima sequenza) viene percepito come “reale” in modo che lo stile da film muto, i suoi colori e i suoi suoni insonorizzati, riescano a stupirci e meravigliarci. Una sensazione gradevole: “ascoltare” il dolore di Valentin per una carriera stroncata dal nuovo cinema sonoro e vedere crescere l’amore tenero e materno di Peppy per un uomo che ha sempre amato. Nessuna frase, nessun discorso avrebbe potuto maggiormente riportare alla luce questa “vecchia storia” romantica. Eppure intravedo un limite a tutto questo, un limite che si palesa nell’evidente fragore delle scene mute, in quanto The Artist sfrutta l’artificiosità del plot per innestarsi nel mutismo delle sequenza. In altri termini: girare un film “muto” con un plot tanto usurato è la logica conseguenza di una scelta obbligata. Anzi, proprio perché la narrazione e l’usurato epilogo sono decisamente precostituiti nella mente dello spettatore e di noi tutti, il film diventa stranamente rumoroso. Cinema sonoro.
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