Un film apparentemente stabile, nel senso che gli eventi si accatastano (pur nella loro inevitabile e persistente drammaticità) seguendo una linea già tracciata, senza sussulti o colpi di scena, ma che non mostra una stessa stabilità del discorso. Revolutionary Road è l'accaduto che si palesa, è l'evento che si pone davanti al nostro sguardo come racconto già finito. Eppure è assente nella colonna sonora la voce over che riferisca di questo rapporto travagliato, di questa condizione disperatamente conclusa. La delusione sopraggiunge troppo presto: già dopo la sequenza dell'incontro un'ellissi ci trascina fino allo spettacolo teatrale, alla chiusura del sipario e agli applausi di un pubblico ipocrita che in realtà non ha apprezzato la piéce. Lo abbiamo capito ancor prima di vedere il palcoscenico, semplicemente osservando lo sguardo preoccupato di Frank, forse disgustato e dispiaciuto allo stesso tempo, e lo abbiamo capito vedendo per un attimo April, poco prima della chiusura del sipario, con la delusione del fallimento stampata sul suo volto. La carriera di April è già conclusa, il suo sogno di diventare un'attrice è già scoppiato come una bolla di sapone. Adesso inizia la sua fuga dal sogno. Ma questa fuga matura subito, senza che il dramma abbia possibilità di sedimentarsi. La storia dei coniugi Wheeler collassa nell'incipit, o perlomeno nelle prime sequenze. E lo Spannung arriva implacabile nella sequenza dell'auto che riporta a casa i due coniugi subito dopo quella della recita. Abbiamo capito che sono sposati, che è trascorso molto tempo (improvvisamente appariranno i bambini come fantasmi che sconvolgono lo sguardo di uno spettatore impreparato). Revolutionary Road ci coglie di sorpresa per tre accelerazioni non ancora metabolizzate e cioè: si conoscono e subito dopo sappiamo che sono sposati e da molto perché già litigano come una coppia navigata. Hanno bambini? Non li hanno? Arriveranno come un'improvvisa agnizione. Hanno amici anche ipocriti che assistono alla recita di April. Nessuna immagine sul periodo prematrimoniale o sui primi giorni di matrimonio, tutto è già trascorso. Forse il regista avrebbe potuto evitare persino la sequenza del loro primo incontro, ma non avrebbe potuto mostrarci il sogno di April, di una vita straordinaria non allineata con lo standard quadridimensionale imposto dalle regole di una norma più o meno prestabilita di vita codificata dal senso comune. Se non avesse dovuto mostrare il sogno, notevole sarebbe stato uno sguardo sul dopo, solo sul dopo e non sui presupposti di quel matrimonio. Un incipit con Spannung ex abrupto, la sequenza più drammatica di tutto il film data in pasto al nostro sguardo mai sazio. Ma ciò avrebbe rilasciato un altro senso, avrebbe trascinato il plot nei meandri di un rapporto sofferto, doloroso, intimo, dove un tradimento può fare male, un litigio può finire con un abbraccio e una scopata con un sorriso prima di una nuova tempesta. Ma in questo film è tutto accaduto perché l'Accaduto si è rifugiato in un riflesso, nelle pieghe dell'onda portante di un riflesso: una foto di guerra che mostra Frank in una Parigi liberata. Il sogno svanito come una bolla ritorna non come produzione della mente ed evoluzione di un vissuto e di un mondo pieno di esperienza (il passato di April), ma come il punto di flesso malefico di un'immagine condizionato da un immaginario che non è tangibile, non è allo stato sperimentabile. La Parigi sognata da April non è paragonabile al suo ex-sogno di diventare attrice, per due motivi: uno riferito all'intreccio, l'altro al discorso. Intreccio: la signora Wheeler ha perso il suo futuro e il suo carattere, il suo ego che rifiuta l'omologazione (casalinga felice in attesa del marito che torna la sera dal lavoro), una volta perduta la possibilità di realizzarsi-trasformarsi in colei che veste i panni dell'altro (fallito da sempre, relegato nell'Accaduto), si rifugia nel riflesso di un lampo, nello sguardo di un marito ancora giovane-soldato fotografato in una Parigi che non esiste più. Il rifugio non è il sogno, ma la degenerazione di un sogno: vuole solo far esplodere un mondo che non sopporta, regole che codificano il suo corpo e la sua mente, sguardi che osservano le sue forme che non potranno essere le stesse; e perché non offrire il suo corpo-forma ad uno spasimante innamorato forse più del marito, anche se con rabbia, con disperata consapevolezza di un non ritorno? Il viaggio a Parigi non è il porto del suo viaggio sensoriale, ma è un'idea di altri universi incompiuti (April ha sempre saputo di non essere al suo posto). Discorso. Ci sono due aspetti. Primo aspetto: il corpo di April. Il suo sogno è la realtà di Kate Winslet; il corpo della bellissima attrice, realizzato il sogno (almeno nel suo rapporto con il personaggio interpretato), recita in una piéce (alla quale non siamo stati invitati ad assistere) che sancisce il fallimento del suo personaggio. Ossia l'attrice Kate recita la parte di April che recita la parte in una commedia. Poniamo che Kate nel suo inconscio abbia realizzato il suo sogno (riferendomi al contesto cinema in cui discutiamo devo dare per scontato che sia effettivamente così), inoltre ci è dato sapere che al contrario April ha fallito (lo diamo per scontato perché non siamo stati invitati tra il pubblico a constatare se effettivamente April sia o meno una brava attrice teatrale). Secondo aspetto: una Parigi della seconda guerra mondiale accende il desiderio di April che vuole andare in una Parigi degli anni cinquanta. Il suo sogno primario si è trasferito nel sogno scaturito dalla visione di una foto. Ritengo sia un percorso molto complesso. Un'immagine storica, la storia, recupera ciò che il cinema non ha realizzato, ma il viaggio di April non vuole essere storico, ma immaginifico. A lei non interessa la storia ma la luce, la luce della fotografia riporta alla mente la Ville Lumière, è un nuovo surrogato cinematografico, è il cinema che April vuole, è recitare la sua parte di donna infelice, immedesimarsi nell'attrice che è e nel corpo che cede agli anni. Il resto del film è la storia di questa mancanza, lo sviluppo inevitabile di una mortificazione, la disperazione per una vita che non può avere, perché relegata al di là del suo plot, perché costruita nel suo mondo lontano. Non possiamo comprendere in fondo il disagio di una casalinga americana degli anni cinquanta (neppure di quelle come Helen che sembravano perfettamente allineate al conformismo dell'epoca). Non possiamo conoscere l'effettivo grado zero (1) della finzione. In altri termini April recita la sua parte prima di affidare lo sguardo definitivamente al colore, recita la raggiunta tranquillità convincendo Frank della sicurezza normativa del matrimonio. Qui infatti comprendiamo che April sa recitare, sa ingannare e gli sguardi in sala del nostro pubblico-riflesso si sono sbagliati. Noi ci siamo sbagliati: noi pubblico ideale immaginato da Mendes, codificato, cristallizzato nel pubblico dell'incipit, un pubblico che non sa valutare le capacità di April, ma che di rimando, oltre lo schermo, sa valutare le capacità di Kate. Pertanto uno sguardo su una Parigi ideale e artificiosa - che mi ricorda la tavola prospettica detta di Urbino(2) - conduce nell'assurdo di una trama che cerca di uscire dal suo percorso come se il film intero ci chiedesse di entrare nella tela perché siamo noi i fantasmi che stanno sognando un mondo ideale che non toccheranno mai. Parigi è la nostra Parigi. Non potremo mai vederla se non provando a perdere lo stesso rosso (3) che cola dalla vagina di April sul tappeto di una stanza perduta.
(1) Mi perdoni Barthes se prendo in prestito il termine dal titolo del suo famoso saggio "Il grado zero della scrittura".
(2) http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/cb/Piero_della_Francesca_Ideal_City.jpg
(3) «Non del sangue, del rosso» risponde Godard in un’intervista su Pierrot le fou. J.L. Godard, Il cinema è il cinema (1968), Milano, Garzanti 1981, p. 237
(1) Mi perdoni Barthes se prendo in prestito il termine dal titolo del suo famoso saggio "Il grado zero della scrittura".
(2) http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/cb/Piero_della_Francesca_Ideal_City.jpg
(3) «Non del sangue, del rosso» risponde Godard in un’intervista su Pierrot le fou. J.L. Godard, Il cinema è il cinema (1968), Milano, Garzanti 1981, p. 237
15 commenti:
un fattore che mi ha particolarmente scosso durante il film è il contrasto visivo/emotivo: la luce durante il film è nitida e netta, taglia l'immagine senza indecisione, e questa va in netto contrasto con il tema ombroso del rapporto di coppia tra i due protagonisti..
@er kaiser. Un'osservazione profonda e interessante che meriterebbe di essere sviluppata.
Bellissimo approfondimento del personaggio di April, ma di lui che mi dici?
Arrivi un po' in ritardo, stavolta, ma diamine lasci sempre il segno. Concordo sul fattore della scena iniziale. E' strano davvero ricevere in faccia la sequenza più dura... ad apertura film. Mendes ci dice subito che non sarà una passeggiata... Kate bravissima.
A me è piaciuto molto (strano, visto che Mendes di solito non mi piace) e mi è anche cresciuto con il tempo. C'è da dire poi che i due attori protagonisti sono davvero bravi (ma non è una novità...).
@Ale55andra. Infatti avrei dovuto scrivere almeno un altro post, ma per il poco tempo a disposizione ho preferito concentrarmi su April, personaggio che mi ha molto scosso. Ovviamente ciò non giustifica la mia risposta e la tua osservazione rimane pertinente. Su Frank ci sarebbe molto da dire perché è complementare ad April e ovviamente senza Frank non sarebe stato possibile "creare" un personaggio meraviglioso come April.
@Noodles. Purtroppo arrivo sempre più spesso in ritardo. E sapessi quanto ne sono infastidito. Infatti anch'io sono rimasto colpito da quell'incipit così drammatico. Non c'è tempo per l'amore, la loro storia non è mai iniziata se non forse nella sala di un teatro, quando ormai è già finita. Nessuna passeggiata.
Bè, spero che tu possa trovare il tempo per scrivere anche l'altro post, perchè mi interessava davvero poter leggere le tue impressioni sull'altra parte della medaglia di questa coppia.
@Christian. Sta facendo lo stesso effetto anche a me. Ogni giorno che passa il film mi sembra migliore. Dovrò rivederlo presto per verificare.
@Ale55andra. Il tuo interesse per le mie (opinabili) impressioni mi fa molto piacere e ti ringrazio. Appena mi sarà possibile butterò giù qualche riflessione su Frank. Il film in effetti è molto bello e scriverne in modo parziale non gli fa onore.
Aprile è un personaggio che non si dimentica, anzi un personaggio che ti resta incollato per sempre.E per ora solo quello della Scott thomas è riuscito ad avere la meglio sul quantitativo di disperazione e lacrime versate.
La scena della telefonata finale è da incubo.Ci credo poi la Winslet è corsa in bagno a vomitare al termine delle riprese!
MrDavis
@MrDavis. Un personaggio indimenticabile come indimenticabile è la sequenza della telefonata. Non sapevo della corsa in bagno della Winslet.
Questo l'ho perso. Già mi dispiaceva prima, leggere adesso la tua interessante recensione sul personaggio di April mi fa pentire ancora di più. Aspetto il DVD o qualche seconda visione.
la sorpresa (positiva) della stagione.
@Roberto. Mi sembra infatti un film che merita una visione. Attendo con impazienza di leggere un tuo post al riguardo.
@Iosif. Senza dubbio una bella sorpresa e sento che il film mi piacerà ancor più dopo una seconda visione.
Posta un commento