17 ottobre 2008

Un invito a casa Alexander

La quinta sequenza è una delle più complesse, più elaborate, più contraddittorie e contravvenienti sequenze della storia del cinema: una sequenza in altre parole disturbante perché trascina la gioia nell’incubo, la “polarizzazione” dell’evento nella contraddizione di inquadrature apparentemente confusionarie e antitetiche. L’effetto teatrale tipico delle sequenze precedenti si alterna all’effetto reportage, il grandangolare che deforma lo spazio (in questo caso le stanze e l’ingresso di casa Alexander) si avvicina ai due protagonisti trasformando il volto di Alexander in una maschera tragica e il naso posticcio di Alex in uno strumento fallico che preannuncia l’epilogo. L’apparente calma della casa è mostrata nella tranquillità di una posa teatrale con due quinte: un muro con porta alla sinistra di chi osserva e una libreria posta dietro il Sig. Alexander colto nell’atto di scrivere seduto a un tavolo (ma questa prospettiva sarà smentita da una seguente inquadratura che riallinea, restringendolo, lo spazio). Questa staticità viene accentuata da una carrellata laterale (con abbrivo dopo il suono di un campanello simile all’incipit della quinta sinfonia di Beethoven) che scorre a mostrare il fuori campo, inquadrando il soggiorno in cui vediamo una donna intenta a leggere seduta in una poltrona-astronave. La donna si alza e si allontana uscendo dalla porta posta sul fondale. L’inquadratura seguente (un corridoio con specchi), pur assimilando e riprendendo la staticità della scena precedente, preannuncia già un cambiamento, in quanto lo spazio viene amplificato (effetto Droste) a causa degli specchi posti ai lati delle pareti, illudendoci (il pavimento-scacchiera e la donna in rosso si moltiplicano all’infinito) di percorrere il labirinto degli specchi dei Luna Park. Il gioco inizia e con esso la separazione semantica dell’ultraviolenza nelle sue componenti manichee e drammaticamente inconciliabili. I Drughi, che imperversano tra gli specchi moltiplicandosi in un esercito bianco e gioioso, si proiettano “liberi” verso il loro abisso morale ove alternanza di inquadrature “statiche” (nel senso di inquadrature più teatrali con camera ferma o carrellate laterali) si alternano ad inquadrature “dinamiche” (che trascinano nel centro dell’azione con camera a mano). Superlativa la nona inquadratura con il primo piano di Dim che rotea il corpo della donna tenuta sulle spalle in senso orario, movimento accentuato dalla camera a mano (magistralmente impugnata da Kubrick stesso) che rotea in senso antiorario intorno ai due personaggi, poi interrotto dal primo piano del volto del sig. Alexander tenuto forzatamente a terra da un drugo. Quando giunge il fischio-ciak di Alex per riposizionare i personaggi, seguono le inquadrature più sconvolgenti e “belle” (sì, oso dirlo) della storia del cinema: campo totale di Alex che accenna un passo di danza canticchiando Singin’ in the Rain. La canzone diventa così “musica” diegetica che accompagna la violenza subita dai due malcapitati, mentre nel campo totale il ritmo dei calci e degli schiaffi, che Alex propina all’uomo ancora per terra e alla donna che si trova sempre sulla spalla di Dim, diventa accompagnamento sinfonico della voce. La gioia dei calci dati al marciapiede inzuppato dalla pioggia, che Gene Kelly distribuisce saltellando sulle pozzanghere, si trasferisce in un ritmo infernale nella gioia dei Drughi, nel gusto irrinunciabile alla violenza. Ma l’angoscia di questo apparente caos, questo rimescolamento di metodi diversi nel muovere la macchina da presa, questi contrasti tra riprese teatrali (campi medi e totali) e reportage (primi piani e rotazione della macchina a mano) creano simmetrie ed asimmetrie che oserei definire interne/esterne allo spazio scenico. In fondo davanti a noi quello che tecnicamente sembra lo sguardo in macchina di Alex e che diegeticamente è l’incontro deformato dei due Alex(ander) (il drugo e lo scrittore), nell’immagine in sé, avulsa da ogni raccordo sintagmatico, diventa una penetrazione mediatica. Nell’asimmetria e nella convulsione delle inquadrature (solo apparentemente casuali ma in realtà giustapposte senza lasciar spazio a dubbi e incertezze), dove dominano ritmo delle immagini, equilibrio della prospettiva spaziale e della sua deformazione, si amalgamano due punti di vista allo stesso tempo distanti e (con)fusi: la gioia espressa da una canzone-simbolo del cinema classico, oltraggiata da un uso “moderno”, si spegne nello sguardo del “fratellino” che ricorderà la lacerazione di quella musica. L’immedesimazione che si realizza in un’incontro di sguardi e in una richiesta (“Guarda bene, fratellino, guarda bene!”) e che non persiste (a causa di continue fughe dai personaggi e “uscite” dal pathos della narrazione), tornerà a galla in un’altra sequenza a causa di una canzone che, mentre per Alex il drugo è la gioia incontenibile di Gene Kelly, per Alex(ander) lo scrittore è l’orrore di un momento. Una simmetria che si stabilisce tra sequenze (la stessa canzone) ma anche una asimmetria (il ricordo di quella canzone) che stabilisce un punto di vista. Questo scambio in effetti procura un dolore fastidioso, trascina dentro e fuori la gioia di Alex, fuori e dentro la sofferenza di Alex(ander). Immedesimazione e distanza, coinvolgimento e sguardo asettico, teatro e pubblico separati da un diaframma ma anche coinvolgimento “violento” del reportage che trascina dentro l’azione, dentro e fuori allo stesso tempo, gioia e dolore (vite e morte) temi domina(n)ti dall’ultraviolenza, fusi e confusi nell’estremo suono (gioia-dolore di Alex) dell’Inno alla gioia.




 

34 commenti:

Ale55andra ha detto...

Straordinaria incursione in una delle sequenze più forti e più belle mai viste in un film.

Alberto Di Felice ha detto...

Ci sarebbe da denunciare il mio babbo per avermi fatto vedere tutto questo da bambino (quanti anni avevo quando ho visto "Arancia meccanica" per la prima volta? In ogni caso, sicuramente ero più piccolo di quanto si dovrebbe). Ma poi, ci sarebbe anche da dargli un premio come genitore modello con dei gusti ottimi.

Anonimo ha detto...

mi sembra, se non ricordo male, di averlo rivisto in un cinema di Londra quando l`hanno riproiettato..1999 - 2001..mah...forse ho sognato...

al cinema, la sequenza che tu descrivi e` ancora piu` un sogno astrattamente folle. Piu` che REM, direi RMM, rabid mind movement

amen

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Ti ringrazio. In effetti per me è una delle migliori sequenze che abbia mai visto. Possiede un non so che, come una sorta di opacità, che la rende misteriosa nonostante la conosca ormai a memoria. Ogni volta è come se la vedessi per la prima volta. Un'emozioe forte.

@Alberto. Sicuramente tuo padre sarebbe da premiare. Però adesso mi hai ricordato che forse avrei dovuto avvertire che la visione del video è sconsigliata ai minori di 14 anni!

Luciano ha detto...

@Artaud. Vero, non ci avevo pensato! Più che REM direi RMM! Non posso che essere d'accordo.

chimy ha detto...

Post magnifico. Leggere i tuoi post su Kubrick è sempre bellissimo... ;)

Luciano ha detto...

@Chimy. Come sempre gentilissimo. Grazie! Questo è un film che mi è entrato nel sangue e tutto ciò che ho scritto e scriverò su Arancia meccanica non mi sembra (e non mi sembrerà) mai sufficiente per esprimere tutte le emozioni che provo. ^^

Zonekiller ha detto...

Favolosa analisi, complimenti!
Kubrick manca mortalmente...questa sequenza è in grado anche di eccitare, solleticando pulsioni che credevamo di non possedere...enigmatica e sbalorditiva complessità della mente umana...I'm singin' in the rain...

domenico ha detto...

chapeau

Noodles ha detto...

Sei sempre "il meglio". Quando scrivi di Kubrick lo sai che son contento. Volevo anche aggiungere qualcosa ma hai detto tutto benissimo e mi hai dato delle chiavi di lettura nuove cui non avevo pensato (molto interessante tutto il discorso sulle scelte di movimento di mdp).
Solo un corollario: credo, corregimi se sbaglio, che questa scena sia la quintessenza del concetto poetico e cinematografico di Kubrick: ossia il caos che viene a sovvertire l'ordine. Kubrick è famosissimo per il bilanciamento perfetto del quadro e dei suoi elementi interni, ma poi spesso fa "rovinare" quell'immagine sparandoci dentro improvvisamente la macchina a mano (accadeva lo stesso in Barry Lyndon, nella sequenza che precede/segue la lotta in pubblico tra Barry e Bullington). Mi sembra uno dei tanti modi di Kubrick di raccontare senza le parole, affidandosi unicamente alle immagini. La casa degli Alexander, luogo di tranquillità familiare, e di inquadratura statiche e "teatrali", in un attimo viene sconvolta dall'irrompere dela camera a mano,dei grandangoli e degli sguardi in macchina: tutti "errori" e destabilizzazioni dei canoni del linguaggio cinematografico classico.

Anonimo ha detto...

Molto facile analizzare Kubrick, basta averlo capito. E soprattutto letto. Ci vuole poco a comprare tre libri sul regista e trarne un sunto su una o due sequenze che interessano.
Tutto è stato scritto, quale altra interpretazione potrebbe venirne fuori?

Luciano ha detto...

@Zonekiller. Sono perfettamente d'accordo. L'angoscia nasce proprio dall'orrore di scoprirsi compagni di "gioco" di Alex. Kubrick riesce sempre a mettere a nudo la nostra coscienza. Grazie, sei gentilissimo^^

@Honeyboy. Merci beaucoup^^

Luciano ha detto...

@Noodles. In effetti questo film per alcuni critici è atipico proprio per l’eccesso di “errori” e per l’utilizzo di uno stile che in maniera molto approssimativa definirei “ibrido”. La prima volta che vidi Arancia meccanica rimasi sconcertato; mi rendevo conto di aver assistito a uno spettacolo inimitabile, di essere davanti a un Kubrick (stile riconoscibile), ma era diverso dal Kubrick che conoscevo (tra l’altro possiedo il libro di Burgess, una vecchia edizione che riporta il titolo italiano ante-film “Un’arancia ad orologeria”). Del resto AM è anteriore a Barry Lyndon, a Shining e Full Metal Jacket. Secondo me in questo film prende il via un “meccanismo” nuovo, un’idea di cinema di rottura, una accelerazione ulteriore del suo stile e in effetti sarebbe interessante analizzare la questione (anche cercando riscontri tra i lavori che trattano di questo film). La sequenza in questione è calcolata al millesimo. Ogni volta che la vedo m’illudo di averla “assimilata”, ma inconsciamente la ripudio e non perché non mi piaccia o mi sembri banale e inutile, ma perché ogni volta questa sequenza riesce a scoprire i mie nervi, mi “scoperchia” l’anima. In effetti concordo con il tuo punto di vista. Secondo me questo è cinema moderno in quanto destabilizzante e disorientante. Moderno perché mette in crisi le “sicurezze” e le convinzioni etiche ed estetiche di chi osserva. Questa sequenza ci getta dalla parte “sbagliata” con una semplice canzone, con la gioia del ricordo di un cinema che sapeva essere un punto di riferimento e che oggi (anni 70) non è più possibile. Grazie, sei molto gentile^^

Luciano ha detto...

@Neemo. Un testo, un’opera d’arte possiedono sempre una loro opacità, un mistero da “scoprire” o un segreto da rivelare, una polisemia del senso che incide in maniera differente in ciascuno di noi. Ad esempio leggerei volentieri un tuo post su questo film, perché troverei sempre qualcosa che mi è sfuggito. Ho letto molti libri su Kubrick e può darsi che mi abbiano influenzato (tutto ciò che facciamo ci influenza) ma nonostante tutto, prima di scrivere questo post, mi sono rivisto la sequenza innumerevoli volte e innumerevoli volte ho provato la sensazione di una mancanza. In altri termini, sento che qualcosa di questo film mi sfugge. Per questo lo riguarderò ancora e leggerò ancora libri e recensioni. Se poi per te è tutto chiaro, questo mi fa molto piacere. Io non sono così fortunato.

Anonimo ha detto...

Io dico che questo post è INDISPENSABILE. E come sempre eccelso.

"Arancia meccanica" è stato IL film che mi ha "rivelato" il cinema. Lo vidi per la prima volta (e registrai) clandestinamente un sabato a notte fonda da un passaggio sul giurassico "Telepiù". Fui colto con le mani nel sacco da mio padre, che credeva fossero entrati i ladri in casa. :)

Un abbraccio

Luciano ha detto...

@Pickpocket. Sei gentilissimo! Grazie^^ Penso che in questo caso ne sia valsa la pena. "Rubare" cultura è forse l'unico "furto" che non lascia sensi di colpa ;) Un caro saluto.

Francesco Dongiovanni ha detto...

ottimo post...

ciao,
bandeàpart

Luciano ha detto...

@Bande à part. Grazie, sei molto gentile!

A presto!

Noodles ha detto...

Sottolinei un aspetto importante: l'equilibrio precario tra repulsione e partecipazione, il modo in cui è girata la sequenza e come essa si evolve rompendo lo schema è il punto di rottura che ci traghetta nel punto di vista di Alex, per cui stuprare e esercitare violenza è divertimento da accompagnare a una melodia felice. E' il primo step di Kubrick che c sta preparando il terreno per farci poi definitivamente empatizzare con Alex, il mostro, quando subirà gli ingiusti (anche per lui) processi della Cura Ludovico.

Luciano ha detto...

@Noodles. Sono perfettamente d'accordo. Kubrick sta lentamente trascinandoci nel punto di vista di Alex, facendoci simpatizzare per un ragazzo che in fondo è "soltanto" un pericoloso teppista e che la cronaca liquiderebbe in tre righe malamente riportate in una terza pagina. Eppure dietro c'è la volontà di mostrare quanto il cinema (e tutti i media) siano in grado di manipolare le menti di chi si lascia andare al flusso delle immagini. Non puoi odiare Alex, nonostante i suoi crimini, perché gli eventi non sono neutrali (come li immaginiamo nel mondo) ma "organizzati" in un certo modo. E Kubrick possedeva la capacità di mostrare il meccanismo con una naturalezza che stupisce.

Anonimo ha detto...

ed è una sequenza straordinaria proprio perchè è una sequenza, a mio parere. farne un film intero come in funny games snatura un po' il tutto e lo banalizza...
splendido post, come al solito
Simone

Anonimo ha detto...

la mia scena preferita è quella al ralenti, sul canale.

Luciano ha detto...

@Simone. Naturalmente è impossibile paragonare Funny Games a questo straordinario capolavoro. Ti ringrazio per la gentilezza^^

@Iosif. In effetti è una sequenza stupefacente. In questo film Kubrick ha mostrato ogni tecnica di ripresa possibile.

M.S. ha detto...

sequenze che si piantano nella memoria con radici inestirpabili, e che affondano allo stomaco un pugno dolorosissimo e liberatorio. eccellente.

Luciano ha detto...

@Mario. Ha trovato l'immagine perfetta per sintetizzare il senso profondo del film: "pugno dolorosissimo e liberatorio".

liuis ha detto...

Campo fisso e camera a mano per raccontare incubo e piacere nella medesima scena. Geniale lui (si sa) ma complimenti a te per aver colto questa ennesima sfaccettatura di AM.

Luciano ha detto...

@liuis. Sei molto gentile, ma il merito (come hai giustamente sottolineato) è sempre del grande Kubrick. Non vedo l'ora di trovare un po' di tempo per visitare il tuo blog. A presto!

liuis ha detto...

Quando vuoi Luciano. Sei il benvenuto.

alice ha detto...

Kubrick.....ODISSEA 2001,DOMANDA...perchè termina con una stanza del secolo 1700?
ho fatto io commento su Resnais ma ho perso la pssword per cui contattami alla nuova....che testa!

Luciano ha detto...

@Alice. Be'... non saprei. 2001 è un film molto complesso e di difficile lettura ma allo stesso tempo, se si ha la fortuna di averlo visto per la prima volta a soli 10 anni, come è capitato a me, molto semplice e logico. Ho ancora i ricordi di quei giorni quando chiesi a mio padre cosa significasse: mio padre mi disse che era fantascienza, ma io rimasi colpito dal fatto che non mi sembrava tanto una "fantascienza" bensì una normale ricostruzione del tempo con sequenze giustapposte tese a mostrare le potenzialità del cinema (ovviamente non fu un ragionamento come questo ma una sorta sensazione, un intuito), poi dopo molti anni lessi che il monolite era una dissolvenza e in quel momento mi sembrò di tornare bambino.

Anonimo ha detto...

#Luciano
E'stanza settecento , secolo della ragione....il bicchiere si infrange.....dai,pensaci!alicedazero
ah,lasciami modo per farti commentare su mio blog,ciao!

Luciano ha detto...

@Alice. Non avevo capito che conoscevi già la risposta. Un esame? ;) Se intendi il "significato" (psico)logico del '700 come ossessione kubrickiana di ridefinizione di un linguaggio come espressione del raziocinio (lumi) e sguardo verso un mondo "logico", ragionevole e sicuro, matematicamente definibile ad uso e consumo dell'uomo, mondo che si sgretola e non risponde però al progetto dell'uomo e s'infrange (il bicchiere) perché gli oggetti (azioni, sensazioni, vita) non possono essere racchiusi e "controllati" da un progetto, un'idea, una logica ma sfuggono nell'irrazionale e nell'indefinibile per cui l'uomo deve iniziare un nuovo percorso di conoscenza (monolito, feto), ecc.ecc, devo dire che non mi trovo molto bene nelle "spiegazioni" tecnico-psicologiche perché il senso profondo dell'arte sta nell'interpretazione stessa e (nel caso di cinema e pittura) nella forza primordiale dello sguardo che oltrepassa certe logiche, mentre ritengo che l'arte non si esaurisca in una spiegazione ma sia soprattutto una forma di conoscenza ;)

Devo lasciarti la mia mail? (lo.cinema@gmail.com)

Un caro saluto

Anonimo ha detto...

@luciano
Quale meravigliosa interpretazione mi hai regalato.
La mia domanda e risposta erano osservazioni sull'immagine del film.alicedazero

Luciano ha detto...

@Alice. @Alice. Ah... ecco... intendevi l'immagine. Interessantissima domanda (e risposta). Ritengo che l'immagine del '700 sia stata l'ossessione di Kubrick che poi si esplicherà nel film sul '700 per antonomasia (Barry Lyndon). Ma a pensarci bene la "ragione" il "cervello" sono il modo con cui Kubrick ha girato ogni suo film, con la sua certosina mania dei particolari, precisione, ossessione di un equilibrio interno un meccanismo anche se microscopico come una insignificante rotella che però serve al complesso e fa girare l'orologio. Eppure tanta precisione nasconde il mistero e il senso polisemico delle sue opere e il suo orologio oltre che preciso è anche fragile e capace di andare in mille pezzi. Il cinema è un orologio frantumato.