18 giugno 2008

Ultimo tango a Parigi. 3. La peste: Living Theatre o del contagio artaudiano. (3/4)

L’ultimo tango è una danza continua, inarrestabile, che si trasmette di scena in scena, corrompe l’animo inquadratura dopo inquadratura. Bertolucci conosceva benissimo Il Living Theatre. Aveva visto uno spettacolo di Julian Beck e Judith Malina nel 1963 (Mysteries), i quali avevano iniziato nel 1943 in uno scantinato di Wooster street a New York. All’inizio era un teatro ripreso dai Nô giapponesi (1) e varie altre rappresentazioni ( Ibsen ad esempio e il teatro medievale). Ma negli anni sessanta Beck aveva già iniziato a coinvolgere il pubblico, rivedendo anche il concetto stesso di spazio teatrale (distinzione tra platea e palcoscenico). Nelle loro rappresentazioni gli spettatori potevano avere la sensazione di essere aggrediti dagli attori per il coinvolgimento fisico. Nella cosiddetta seconda fase del Living Theatre (Off-Broadway) la compagnia teatrale iniziò un suo percorso itinerante, soprattutto verso l’Europa e l’Italia, con rappresentazioni pacifiste e libertarie. Ad esempio Paradise Now (performance svoltasi anche in Italia nel 1968) era in parte improvvisata mentre gli attori si spogliavano in scena. Questo provocava l’intervento della polizia che obbligava a terminare la rappresentazione. Ma in fondo il Living Theatre si rifaceva ad Artaud ed alla sua idea di teatro tradotta in un libro “Il teatro e il suo doppio”. Paul e Jeanne, si muovo all’interno dell’appartamento vuoto come due attori artaudiani inserendosi in quel “teatro della crudeltà” che mette in mostra se stesso anziché la rappresentazione. Ad esempio nella sequenza dell’amplesso i due amanti improvvisati scivolano in terra staccandosi subito dopo aver consumato; e mentre lui rimane supino con la faccia sprofondata nella moquette, lei, quasi per voler fuggire dallo strazio del rapporto appena concluso, “rotola” sul pavimento imprimendo al cappotto un movimento avvolgente. Il cappotto che copre il suo pube non è assimilabile ad un “gesto volontario”, ossia un atto semantico espressivo e/o significativo (come dire: adesso mi copro perché ho vergogna), ma rappresenta un “segno” oscuro, profondo, di un disagio o un conflitto tra Jeanne e il suo stesso corpo. In altri termini, in linea con il concetto di teatro caro ad Artaud, molte sequenze del film mostrano una serie di segni prodotti non dalla scelta dell’Autore-Dio ma dal movimento coinvolgente di corpi e segni. Il teatro di Artaud è la messa in scena di situazioni di un impatto emotivo violento e destabilizzante, utilizza espedienti tecnici cruenti e crudeli al fine di suscitare la reazione attiva dello spettatore. Non si vuole insomma un evento narrativo, un racconto che suddivide lo spazio e il tempo in parti uguali o correlate, non si vuole affidare dei ruoli ai partecipanti convenuti e riunitisi (da una parte gli attori che recitano una "storia", dall’altra gli spettatori che assistono alla rappresentazione). Altrimenti lo spettacolo diventerebbe un cliché, un evento conosciuto, reiterato e reiterabile, che rifletterebbe la sua stessa logica artificiosità. La situazione risulterebbe statica e rituale, non sarebbe uno spettacolo ma una messa. Per Derrida (come afferma nella sua prefazione al libro di Artaud) un teatro estraneo al teatro della crudeltà è un teatro che assegna una parte fondamentale alla parola, un teatro che si distanzia, si allontana dalla vita, dalla sacralità della vita. Per Derrida un teatro che si distanzia è pedagogico, mentre un teatro della crudeltà deve essere politico, quindi richiamare una partecipazione. Lo spettatore in questo tipo di teatro non può immedesimarsi, ma deve partecipare. Questo senso della partecipazione, reiterato e restituito all’altra parte che sta oltre la quarta parete, riduce la distanza, avvicina i corpi. Il corpo danzante scivola tra gli oggetti, si muove in uno spazio vischioso, come per voler condurre il nostro “corpo evanescente” (perché diluito nell’altrove della sala) nella danza perpetua. La stessa forza che mostra Jeanne e Paul nudi (rannicchiati l’uno di fronte all’altra, colti nell’atto di pronunciare il loro innominabile nome con un grugnito) si trasmette anche nei movimenti parossistici di Tom, quando si muove (nella sequenza in casa di Jeanne) per le stanze e rotea intorno al tavolo, allungando le braccia per afferrare le spalle della ragazza. Pertanto mentre Tom continua con la sua crudele follia (“Chiudi gli occhi. Non ti fermare… Così ritrovi la tua infanzia… Non aver paura. Superi tutti gli ostacoli”) lei, indietreggiando, tocca gli oggetti della sua infanzia. La crudeltà può essere fisica (Paul) o psicologica (Tom) ma diffonde sempre un contagio. Gli attanti sono come degli appestati che mi contagiano. Quando mi lascio trasportare dai loro movimenti, dalle loro danze, dal loro tango crudele, mi sento coinvolto, scivolo con loro lungo le pareti vuote di rue Jules Verne o scivolo attraverso gli oggetti-ricordo della mia infanzia. L’happening ha inizio, rimango coinvolto e sconvolto da questo lento, inesorabile trascinamento (pellicola-emozione?), da questo récit corporale che mi contagia, mi unge, trasferendo la peste nel mio corpo. Ultimo tango a Parigi è una peste nera, è un film pericoloso che ammorba, forma una malattia, suggerisce una danza, un “tarantismo” (2). La “tarantella” che si impossessa di me e mi fa danzare. Non seguo più gli eventi (in fondo la storia di Paul e Jeanne, che contiene la storia della fedifraga Jeanne, è un classico triangolo che non mi interessa), ma partecipo, rimango coinvolto, mi ammalo, vivo. L’happening mi trascina, mi coinvolge, mi trasferisce nei gesti e nelle performance degli attori che si muovono intorno a me suscitando una reazione desta e conscia. Mentre nell’happening l’irruzione avviene in uno spazio quotidiano qualsiasi, magari in un non-luogo (3), e riflette l’esigenza di una rappresentazione artistica che coinvolge il pubblico rilasciando documenti del tempo vissuto (fotografie o filmati), il teatro della crudeltà è uno scannatoio, uno studio dentistico dove partecipo all’evento, ossia all’estrazione cosciente (nessuna anestesia) del mio molare. Non c’è via di fuga, bisogna sottostare e farsi “riprendere” dal cinema di Tom o farsi “imburrare” dal dito di Paul. È una sensazione fisica, un dolore che riflette il dolore di Jeanne nel momento in cui viene coscientemente sodomizzata, rimanendo sospesa in questo happening di attrazione-repulsione. Questa struttura “crudele”, queste danze che ammorbano, scorrono lungo ogni sequenza. Voglio ricordare in particolare le ultime sequenze del film, quando Jeanne fugge dalla sala dove ha ballato con Paul un tango “particolare” (da affetti da “tarantismo”): Paul le corre dietro lungo le strade parigine, la raggiunge, la vuole afferrare, lei lo allontana, i due si strattonano, si afferrano, si respingono (questa è un’altra stupenda danza), poi lei gli sfugge nuovamente, finché Paul la segue dentro l'appartamento di lei, le si avvicina nel momento in cui Jeanne prende una pistola da un cassetto. Mentre le cammina incontro dice: “Come lo vuole il suo eroe. Alla coque o strapazzato? […] Ma ora ti ho trovata. Ti amo. Voglio sapere il tuo nome”. Pronunciando queste ultime frasi le accarezza i capelli (primo piano del suo volto a sinistra e sulla destra, di spalle, parte della chioma fuori fuoco di Jeanne). Lei pronuncia il suo nome (adesso vediamo il primo piano del suo volto), ma la sua voce viene parzialmente coperta dal rumore dello sparo. La malattia che ci affranca dal verosimile ci appartiene come segno di una scelta non appagante, ma comunque cosciente e che può solo farci arrivare fino al davanzale con vista su una Parigi distante, dove nasceremo o moriremo di nuovo.


(1) Il no, a differenza del kabuki, l’altro grande genere del teatro giapponese, rifugge da ogni effetto “naturalistico” e mimetico, per comunicare, attraverso un agire scenico altamente simbolico, un’intensità emotiva cui nessun dramma realistico potrebbe mai aspirare. Il no è in sostanza una forma di rappresentazione aristocratica e spirituale. Il suo fine è svelare un’emozione, un nodo psicologico di portata universale. Sulla scena verrà espresso l’uomo nella sua essenza svuotato di tutto ciò che è futile e materiale. (http://guide.dada.net/studi_orientali/interventi/2004/06/161782.shtml).

(2) Il tarantismo o tarantolismo è considerato un fenomeno isterico convulsivo, proveniente da antiche culture popolari. In base ad alcune credenze dell'Italia meridionale, sarebbe provocato dal morso di un ragno chiamato taranta […]. Il tarantismo comporterebbe una condizione di malessere generale e una sintomatologia psichiatrica simile all'epilessia. I sintomi sarebbero offuscamento dello stato di coscienza e turbe emotive. […] Il tarantismo ha generato una forma musicale ed un ballo detto pizzica o tarantella, e in questa forma ha perso il legame con la religione e la superstizione, vivendo di vita propria. (Wikipedia).

(3)Marc Augé, Nonluoghi, 1992

11 commenti:

M.S. ha detto...

ciao luciano, sono tornato on line, e ti ho linkato.
mario

http://relativestranger.blogspot.com/

Anonimo ha detto...

grande, grande film.
Ho sempre pensato che la canzone dei nomadi "Fatti miei", contenuta nell'album "Gordon", parlasse proprio di questo film...

Luciano ha detto...

@Mario. E' un piacere rivederti! Arrivo subito sul tuo nuovo blog e ti linko immediatamente. ^_^

@Alicesu. Ti ringrazio per la notizia. Conosco "Fatti miei" ma sinceramente non l'avevo legata al film. Cerco di procurarmela e risentirla. A presto^^

chimy ha detto...

Altro grandioso post.
Mi sto rendendo conto leggendo queste tue analisi di molti spunti presenti in "Ultimo tango a Parigi" ai quali onestamente non avevo proprio pensato.

Attendo con ansia l'ultimo :)


Un saluto

Ale55andra ha detto...

Forse è la prima volta che leggo di un tuo coinvolgimento emotivo così potente. Magnifico!!! A questo punto non vedo l'ora di leggere l'ultimo capitolo della strabiliante e profondissima analisi di questa pellicola.

Luciano ha detto...

@Chimy. Naturalmente i punti di vista su un film possono essere molti. Quando leggo una tua recensione trovo sempre spunti per me nuovi e idee a cui non avevo pensato. In questo modo mi sento arricchito. Grazie^^

A presto.

Luciano ha detto...

@Ale55andra. In effetti è un film che riesce, anche dopo anni, a coinvolgermi. Uno di quei film che attraversano indenni il tempo rimanendo sempre freschi e pieni di fascino. Guardarlo è un percorso in labirinti ogni volta differenti. Grazie^^

Martin ha detto...

Ehm... Bertolocci...?

Luciano ha detto...

Ah, ah! Grazie Martin! Un refuso che non avrei visto nonostante abbia letto e riletto il post. Provvedo subito a correggere in "Bertolucci". Merci^^

Anonimo ha detto...

se la risenti, dimmi cosa ne pensi!
Non ho mai avuto modo di confrontarmi con nessuno, sulla questione.

Luciano ha detto...

@Alicesu. Certamente. Appena mi è possibile ascoltarla ne discuteremo senz'altro. Purtroppo non possiedo il cd, ma dovrei averlo molto presto.