Un film imponente: per la spesa e per gli effetti speciali messi in campo dalla Digital Domain con la computergrafica per creare acqua digitale, ma anche persone digitali. Un film che mette in scena l'attimo di un disastro, il mito della catastrofe, il sogno dell'America, nonché un modello attanziale (Greimas) basato sulla storia d'amore tra Rose, divina e raffinata ragazza aristocratica che viaggia in prima classe, e Jack, numero zero della marmaglia in cerca di fortuna che affronta l'epilogo in terza classe. Eppure, nonostante l'overdose di "realismo" proposta dal film e che Cameron ha voluto puntualizzare nel ricostruire una realtà ancor più reale dell'inabissamento del 1912, nel film vi sono zone non coperte, faglie non ancora studiate che potrebbero cedere, evanescenze, parvenze significanti che distolgono dai significati e che ci trasportano in una "zona morta" dove dominano l'incertezza del tempo e dello spazio. Mentre nell'intreccio siamo di fronte al clima sociale e politico degli anni dieci (ricchi che pagano cifre elevate per il biglietto e poveri che viaggiano rinchiusi sottocoperta senza mai vedere la luce), nella zona morta stiamo viaggiando tra i fantasmi. In fondo il Titanic è una nave fantasma che fluttua nell'Oceano dal 1912 e Cameron si è "limitato" a riprendere quegli ectoplasmi danzanti e quelle orchestre romantiche che suonano mentre il ghiaccio ribolle sui ponti e lo squarcio abbatte l'inaffondabile. Gli stessi Jack e Rose sono fantasmi, puro pathos di un altro luogo che non conosciamo se non attraverso le immagini impressionanti del cinema (nel senso che impressionano la nostra mente lasciando le stesse impronte degli oggetti quotidiani). Entrando nel labirinto dei ponti, scendendo la scalinata della splendida sala da ballo, sdraiandoci in poppa a prendere il sole o camminando tra le macchine infuocate che stanno in basso, non facciamo che entrare in quella dimensione evanescente e vacua del film che ci trasmette echi lontani, ci attanaglia l'animo con suoni distanti, e ci angoscia con le urla degli gli stunt-man digitali caduti/fatti cadere dall'alto della poppa sollevatasi perpendicolarmente prima d'inabissarsi. Il labirinto di emozioni fa da pendant al labirinto della nave, trappola/feretro per chi vi s'addentra, ma anche festa stile Overlook Hotel dove i fantasmi stanno festeggiando l'eternità dell'attimo. In fondo l'inabissarsi del Titanic è impresso da sempre nel nostro immaginario e la rievocazione di quelle due ore e quaranta fa riemergere questi spettri abbandonati alla storia. La ricostruzione del tempo non è lineare proprio perché il tempo della storia viene dilatato dal tempo filmico (il film dura più della tragedia) come un ralenti che vuole indagare/guardare, distillando i movimenti dei personaggi, per sondare l'attimo inesplicabile ed espanderlo fino a farlo esplodere. La nave è un non-luogo ossia uno spazio dello standard (Marc Augé), struttura dove nulla è destinato al caso perché all'interno tutto è precisamente calcolato: la macchina efficiente, strutturata, è il doppio dei tanti non-luoghi che frequentiamo nella vita di tutti i giorni (aeroporti, supermercati, strade, ecc.), è il non-luogo dell'accaduto, dell'eterno ritorno agli spettri e al loro mondo risucchiato dal mare. Ma la nave è anche labirinto di immagini, perfette, ritoccate dalla computergrafica, incredibilmente false nel loro incommensurabile realismo, immagini che scorrono come falde freatiche sotto la faglia in procinto di cedere. Mentre il tempo, rievocato, rivisitato, analizzato, sottomesso alla legge del business, forse riprende il sopravvento, quando negli occhi della vecchia Rose brilla l'attimo di un gioiello: il Cuore dell'Oceano che possiede la forza di formare il cristallo del tempo, simbolo nostalgico di un ricordo ancora racchiuso nel suo sarcofago marino e fulcro della mancata analessi che si apre sin dall'incipit (mancata perché non ritorna al presente del racconto). Come afferma Deleuze la nave è infatti il germe che insemina il mare, nave dalle due facce: quella vista dall'alto, "dove tutto deve essere visibile ordinatamente" e "una faccia opaca che è la nave che si vede dal basso e che si svolge sott'acqua". Quindi un non-luogo infestato da fantasmi danzanti (evanescenze ectoplasmatiche) immerso in un'assenza di tempo ove la tragedia è sempre lì, pronta per essere rivisitata, ricostruita ri-decodificata e tutto questo è racchiuso in un diamante sepolto "in una bara di freschezza" . Col mare/mi sono fatto/una bara/ di freschezza (Ungaretti, Il porto sepolto).
10 commenti:
proprio ieri stavo pensando di rivederlo...mi piacerebbe scriverci qualcosa...prima però devo procurarmelo, ho un ricordo troppo vago...
Ottima riflessione, come sempre!^^
Ciao
Lo rivedrai sicuramente, perché è molto facile da reperire. Grazie per il commento.
Da bambina andai tre volte a vederlo al cinema e non so quante altre volte l'ho rivisto in VHS. Un film che nel bene e nel male rimarrà nella storia.
Ottima analisi come sempre ^_-
Ale55andra
Sono d'accordo con te: nel bene e nel male. Grazie per il commento.
Dio come sei semiotico!! ;-)
E' uno di quei film di cui non potrei dire nulla.
Che ci posso fare se piango ogni volta come quando avevo 13 anni?
quando uno riesce a scrivere un bel post su un film che odio preconcettualemente e ad invogliarmi alla visione, bè chapeau!
(pensavo di averti linkato ma mi accorgo or ora di non averlo fatto! provvedo subito, perdona il ritardo!!!)
@Trinity. No, no... tutt'al più posso essere semi (nel senso di metà), ma semiotico, credimi, proprio no. Piangere per un film è un'emozione meravigliosa e per me un vero cinefilo deve anche avere il coraggio di farlo.
@Dome. Chapeau per le tue ottime recensioni. Sono onorato di essere stato linkato. Grazie.
E' stato a lungo nella mia fase adolescenziale una fissa. Ora lo reputo un giocattolone.
MrDAVIS
Pensa che io l'odiavo. Adesso un po' meno. Ma una visitina (ammesso che esista ancora) sul modellino della nave la farei volentieri.
Grazie per aver letto tutte queste recensioni. A presto.
@Pebbles. Thank you very much^^
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