25 gennaio 2011

La bottega del macellaio (Annibale Carracci, 1583-1585)

La bottega del macellaio, pur riprendendo un genere di tradizione prettamente nordica riconducibile in particolare alle opere di Pieter Aertsen e di Joachim Beuckelaer, ma soprattutto ai lavori di Bartolomeo Passarotti, è un’opera straordinaria per la capacità di descrivere un lavoro all’epoca umile e bistrattato. Il macellaio, uomo del popolo e pertanto spesso dipinto come personaggio goffo e/o divertente, che si sporge in avanti e ammicca (come nei quadri del Passarotti), qui è presentato con naturalismo straordinario, intento a svolgere il suo quotidiano lavoro. Ma ciò che intendo mettere in evidenza non è il fatto che l’opera sia “[…] solo in apparenza una scena di genere come avrebbe potuto concepirla un pittore del tipo di Vincenzo Campi […] o lo stesso Passarotti […]”(1) né tantomeno evidenziare la sua qualità di “[…] rappresentazione che sente la vita vera, in un colossale scherzo figurativo carico di riferimenti precisi alla concretezza della vita vissuta dalla famiglia Carracci […](2)(il padre Antonio era un beccaio), quanto sottolineare la sua forza espressiva che induce la mente a “ricostruire” un evento apparentemente banale ma in fondo pregno di senso e porta spalancata sulla conoscenza. Il desiderio di conoscere la vita quotidiana che si svolgeva in una macelleria agli albori del Barocco va oltre la rappresentazione in sé. Mentre la caricatura dei mestieri più umili (genere a cui si dedicarono pure i Carracci) andava incontro al gusto del pubblico e dei committenti dell’epoca, identificati con le classi più abbienti, la semplice figura resa con toni naturalistici senza distorsioni o punti di vista obliqui (che avrebbero potuto condizionare i propositi dell’autore) mostrava le qualità intrinseche di un mestiere per quei tempi negletto come tutti i lavori più umili. Anche se il capolavoro in questione risale all’epoca dei primi esperimenti del Carracci, il risultato è notevole perché l’artista ricostruisce e restituisce un momento topico di vita quotidiana di fine XVI secolo. La visione frontale per noi posteri abituati alle distorsioni più estreme del segno e del colore, serve a dare forma e a ordinare lo spazio allo scopo di “raccontare” una giornata di duro lavoro e pertanto a condensare sulla scena eventi cronologici differenti. Non si tratta di meravigliare lo spettatore con la definizione di punti di vista improbabili o con la moltiplicazione dei punti di fuga, in quanto lo sguardo si è posato sul lavoro degli umili e vuole conoscere la vita quotidiana che si svolgeva in una macelleria. L’uscita dal Manierismo doveva per il Carracci passare attraverso un pittura che recuperasse e analizzasse il «vero naturale», tenendo conto della lezione di pittori Rinascimentali quali Raffaello e Tiziano. Ma non si tratta secondo me di ri-formare gli eventi con una ricostruzione statica dell’immagine, nel senso che se tale scena prendesse vita nel filmico o semplicemente nell’immaginario non dovrebbe mostrare l’esattezza del quadro carraccesco. L’esigenza di condensare una giornata in un attimo incunea il tempo nell’immagine, ordinando sul palcoscenico le attività che accadevano o sarebbero potute accadere nell’arco di una giornata di duro lavoro. Pertanto il garzone intento ad abbattere un capretto e il macellaio sulla sinistra che sta pesando un trancio di carne, come anche il macellaio dietro il bancone in procinto di disporre le bistecche di vitello sul banco, o il personaggio sulla destra del quadro occupato ad appendere al gancio un mezzano di vitello, forse non svolgevano le proprie attività contemporaneamente. L’immagine sincronica del quadro evidenzia in realtà la diacronia intrinseca, lo scorrere naturale del tempo che regola l’umile lavoro e i compiti dei vari personaggi. L’opera non è solo la fotografia di un evento ma la messa in opera di un progetto, la sintesi di un racconto quotidiano, lo sviluppo di una giornata tipica, la storia di un lavoro umile. Nel quadro c’è anche la clientela raffigurata dall’alabardiere che si fruga nel borsellino per prendere il denaro da consegnare al macellaio intento a pesare la carne con la stadera. La mente recepisce un’immagine siffatta formando una ricostruzione diacronica, una sorta di sequenza che regola lo svolgersi del tempo e con esso il dipanamento dell’intreccio. E il cinema si appropria dell’evento spalmando la giornata lavorativa forse in una sequenza, magari intervallata da altre immagini con un montaggio alternato, il post-moderno potrebbe portarci (o allontanarci con una carrellata all’indietro) dentro lo sguardo terrorizzato del capretto o sul volto affaticato del macellaio che appende al gancio il quarto di manzo, oppure potrebbe restituirci la sintesi dei pensieri e dei bisogni dei personaggi con brevi flashback o flashforward sul loro futuro desiderato o citare lo stesso quadro preso in esame visto nella Christ Church Gallery di Oxford. A me piacerebbe vedere una sorta di sequenza dei Fratelli Lumière abbinata a effetti speciali in stile Méliès, ma forse sarebbe più appropriata un’immagine-tempo (3) al fine di sollevare l’icona dalla sottomissione a una storia definitiva (la bottega di macelleria come luogo umile di lavoro visto dal benestante come un “oggetto” consumato dalla routine) per disperdere i personaggi in un ambiente casuale, in uno spazio-tempo qualsiasi (la bottega unisce il tempo della memoria storica al tempo attuale del nostro sguardo) e immacolato (unico e irripetibile), ma proprio per questo capace di regalarci momenti di vita vissuta con la sua fatica, il sudore, il sangue, il suono dei coltelli che tagliano le ossa, il belato del capretto che sente l’ineluttabile e magari un brusio acusmatico dei clienti che attendono, dietro l’alabardiere, di acquistare (fortunati loro) una fettina di carne.

(1) Claudio Strinati, Annibale Carracci, Art Dossier n. 168, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze 2001, p. 13
(2) Ibid.
(3) cfr. Gilles Deleuze, L’immagine-tempo, Ubu Libri, 1985

4 commenti:

Chimy ha detto...

Post interessantissimo. E' sempre un grande piacere leggerti Luciano :)

Luciano ha detto...

@Chimy. Non so perché, ma ogni tanto sento il bisogno di scrivere post sulla pittura. Grazie^^

Anonimo ha detto...

complimenti...notevole descrizione..
Credo comunque che l'alabardiere sia disegnato in tono diverso dai macellai... sembrerebbe quasi manierista
come per prendere in giro lo stile...tu che dici?

Luciano ha detto...

@Anonimo. Grazie, molto gentile. L'alabardiere ovviamente indossa la sua divisa già di per sé piena di fronzoli e colori che contrasta con l'abbigliamento da lavoro dei macellai. In questo vedo comunque un certo tipo di naturalismo molto distante dalla "maniera". Però già la scelta di "posizionare" sul campo un alabardiere contrasta con le attività della macelleria e in effetti si potrebbe anche leggere una certa "volontà" di ridicolizzare il manierismo. Non saprei. Comunque nell'insieme siamo molto distanti dal genere.