
Gradevolezza dello spazio. Le immagini di una Parigi coloratissima del lungo incipit indugiano sulla bellezza della città “attuale” mostrando e anticipando la meraviglia di Gil, scrittore americano giunto nella ville lumière da turista ma poi interessato ad assorbirne l’arte e la poesia. Prendo per buona la teoria che l’incipit sia soprattutto un’immagine mentale di Gil, un’insistenza nel rimarcare la plasticità della città romantica per antonomasia. Eppure, nonostante la Parigi attuale sia la solita pedante, bellissima città che conosciamo, lo spazio aumenta la sua gradevolezza nei locali e nelle case di una Parigi che fu. Le immagini di questa Parigi storico-mentale perdono colore per assumere la fumosità di un passato glorioso: i bar, i ritrovi, la festa da ballo risultano intensi e interessanti, diventando ancora più pregnanti, forse perché passeggiare col pedante Paul, che spiega l’arte nei musei come la mia insegnante di storia dell’Arte me la spiegava al liceo, diventa una tortura insopportabile. La noia è tutta qui. Nonostante la luce, i riflessi, i colori pastello, la densità dei quadri, il mondo attuale è noioso e faticoso. Lo spazio pertanto, pur riducendosi nel passato dei Caffè e dei Salotti mondani, ha bisogno del tempo per acquisire il suo fascino. La bellezza di questi locali è il tempo stesso che si presenta in primo piano portandoci un elenco di artisti formidabili. Purtroppo questi due “spazi” risultano troppo separati. Gil li attraversa con semplicità come si attraversa il giorno e la notte, ma sarebbe stato interesante vederli affiorare uno dentro l’altro come proiezioni dirette del personaggio, come passaggi tra mondi (esterno vs interno) strettamente intrecciati l’uno nell’altro.
Debolezza del tempo. Il tempo potrebbe pertanto prendere il sopravvento e occupare intere sequenze trascinandoci fino all’epilogo. Quando ho visto Hemingway apparire davanti allo sguardo dell’incredulo Gil e ho visto la storia d’amore che stava per nascere tra Adriana e Gil, le mie aspettative sono aumentate. Mi sembrava di trovarmi nuovamente ai tempi della Rosa purpurea del Cairo o di Zelig. Una trasformazione spazio-temporale in atto, come uscire dai confini del corpo e assistere alla nascita di un pensiero. Purtroppo così non è stato e il film si è lentamente sgonfiato trascinandosi appresso anche quello che poteva essere un incipit diverso. Tanto per chiarire: le mie aspettative subito dopo l’incipit erano molto basse (immagini-cartolina) poi invece sono salite (la sequenza come spazio mentale di Gil turista in cerca di emozioni artistiche) poi nuovamente si sono sgonfiate (la sequenza troppo pedante se non sorretta da un epilogo altrettanto luminoso). In altri termini le sequenze finali hanno in parte ridotto il film che rimane sempre un ottimo lavoro per almeno due motivi: Amnesia temporale e Gli anni d’oro del cinema.
La passione di Gil per Adriana lo tiene aggrappato al tempo, se l’amore non segue spazio e tempo (e per esso siamo disposti a camminare sotto la pioggia) la Belle Époque di Adriana potrebbe essere un rifugio appropriato. La fiducia nel progresso e la sensazione di avere il mondo fra le dita, la certezza che la scienza possa spiegare ogni cosa e l’arte penetrare nei labirinti delle coscienze appartengono al mondo sognato da Adriana. Wody Allen invece lascia uscire dal magma temporale un Gil consapevole di rientrare nella sua epoca abbandonando l’amore. Si direbbe quindi un’infatuazione per Adriana e per gli anni venti. Ognuno deve vivere il proprio tempo: è vero. Ma trascorrendo la vita con Adriana nella Belle Époque e annoiandosi in essa il tempo avrebbe definitivamente annichilito lo spazio e l’incipit pastello di una Parigi da turisti avrebbe acquistato maggiore senso. Dopo tutto Adriana (se mi è permesso identificarla nell’amante italiana di Ernest Hemingway: Adriana Ivancich nata nel 1930 e morta suicida nel 1983) si trova già fuori dal suo tempo. Gli anni venti non le appartengono almeno che non si intenda identificarla nelle tante donne amate da questi straordinari artisti. Potrebbe essere Ol'ga Chochlova, Marie-Thérèse Walter, Jeanne Hébuterne o Gala. Per questo la sintonia tra i due (Gil e Adriana) diventa un collante che li unisce: entrambi sono profughi temporali, sono artisti estromessi dal proprio tempo in cerca di un’altra epoca o di tante storie diverse. Semmai li divide la scelta di un tempo. Non basta infatti evidenziare il proprio disappunto ma bisogna pure esternare la scelta come momento fondamentale di un cambiamento. La Belle Époque non è né migliore né peggiore dell’âge d'or (la prima sfociò nella prima guerra mondiale, la seconda nella grande depressione). In cosa sfocerà questa epoca attuale? Sufficiente una passeggiata con un’altra anima gemella (forse spaziale e non temporale) per “ordinare” il plot? L’epilogo sotto la pioggia ri-spazializza il film lasciandosi sfuggire la forza di gravità di un tempo ripiegato su se stesso, di un passato troppo spesso dimenticato utile per afferrare il senso profondo di una società alla deriva.
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