6 maggio 2011

Linea d'ombra-Festival Culture giovani: 4/4 Campania Corto

Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.




108 FM Radio (di Angelo e Giuseppe Capasso, Italia 2010)

Un automobilista, un autostoppista, un programma radiofonico. Un viaggio notturno in un crescendo di sospetti e paranoie.

Avvincente e ben congegnato con epilogo degno dei migliori film di genere. Presenta però alcuni momenti statici non funzionali soprattutto nella prima parte.

Voto: 3 (sufficiente)

I tempi della suspense sono rispettati e c’è anche un programma radiofonico che informa della presenza di un killer. Forse si tratta proprio dell’autostoppista. Probabilmente adesso darei più di un tre, perché il motivo che mi ha convinto a votare la sufficienza è stata la staticità dell’incipit o meglio certi momenti per me superflui che potevano essere evitati. Invece, ripensandoci, l’abbrivo lento probabilmente trova la sua valenza nella ricerca di un equilibrio con il fulmineo epilogo. Quando arriva la soluzione del rebus nell’epilogo però sono rimasto un po’ deluso, non per l’esito che poteva essere previsto al 50 per cento (insomma uno dei due) ma proprio perché la storia non evita il suo ovvio aut aut e si qualifica come un film binario che potrebbe anche essere interessante (nel caso di una scelta in una location diversa dall’abitacolo di un’auto), ma che non lascia spazio ad alcuna alternativa (un altro autostoppista o un compagno di viaggio dell’autista?). Ad ogni modo il corto in parte funziona perché i momenti salienti riescono ad emozionare lasciando sempre la possibilità di dubitare. Non fidarsi mai delle apparenze.


Armandino e il Madre (di Valeria Golino, Italia 2010)

Nel cuore di Napoli, tra vicoli stretti, antichi palazzi e qualche abuso edilizio c’è il MADRE, Museo d’Arte contemporanea, ospitato nello storico Palazzo Donnaregina. Armandino è un vero scugnizzo napoletano, anche se la sua famiglia ha origini Rom. Per lui il Museo è un po’ casa un po’ luna-park, è abituato a scorrazzare in quelle grandi sale fin da quando era piccolissimo. Anche suo fratello maggiore Roberto ha una certa fama tra le ragazze che lavorano al Madre. E’ furbo, sveglio e bello come il sole. Tutti lo chiamano lo “zingaro”. Sara, da poco laureata e appassionata di arte contemporanea, si è specializzata in restauro e manutenzione delle opere. Da qualche mese lavora al MADRE. Sara e Roberto si piacciono ma non mancano le incomprensioni. Il piccolo Amandino - con un ottimo fiuto per gli affari - si propone da intermediario in cambio di ricompense da parte del fratello. In una girandola di luoghi, resi ancora più suggestivi dalle installazioni di artisti contemporanei del museo, si svolge il gioco amoroso tra Sara e Roberto.

Bella fotografia e regia di buona fattura (complimenti a Valeria Golino), ma il film è un museo di stereotipi con epilogo degno di mille identiche storie appaganti. Peccato perché il rapporto tra il museo e la Napoli popolare di oggi presenterebbe tematiche interessanti da approfondire. Invece qui si rimane costantemente sulla superficie della "tela".

Voto 2 (scarso)

Il Corto non è pessimo nonostante il voto. Una buona fotografia e una regia sufficiente contribuiscono a rendere le immagini gradevoli , ma purtroppo il Museo d’Arte Donna REgina, pur essendo un luogo molto attraente e interessante, solo per il fatto di ospitare opere di grande levatura (ad esempio la celeberrima “Merda d’artista” di Piero Manzoni), non riesce a tenere da solo in piedi il film. Troppi luoghi comuni, immagini ovvie e consumate. Dal bambino che nonostante tutto non si integra col museo (nel senso che non c’è stato neppure il tentativo di illustrare il rapporto tra le opere esposte nel museo, ciò che vogliono evocare o rappresentare, con le problematiche di un bimbo rom “gettato” nell’arena della sopravvivenza), né interagisce con i personaggi che incontra lungo il suo percorso, a Sara, una restauratrice che lavora al museo, fino a suo fratello Roberto, innamorato di Sara. Non c’è una relazione tra i personaggi e Armandino è soltanto un intermediario che deve rappresentare l’amore di Roberto per Sara. L’epilogo poi, con lo pseudo-suicidio di Roberto e il trionfo dell’amore sul terrazzo del museo con vista sui tetti di una bellissima Napoli, è il tripudio di stereotipi troppo consumati per dare un valore al film. Peccato perché certe immagini sono molto belle anche se troppo patinate e capaci di ricordare spot pubblicitari. Non a caso il corto è stato finanziato dalla pasta Garofalo. Il bacio finale con abbraccio inquadrato dal basso dell’entrata al Museo e l’inquadratura seguente, che reitera l’abbraccio nella notte fra i due innamorati ripresi stavolta a poca distanza insieme al piccolo sorridente intento a guardare in macchina, superano ogni limite e invogliano a chiudere il video. Fortunatamente è solo l’ultimissimo fotogramma.


Il sogno di Gennaro (di Antonio Manco, Italia 2010)

Gennaro è un meccanico-saldatore del centro storico di Napoli. Una giornata apparentemente come le altre gli dà l’occasione di realizzare il suo sogno…

Incipit buono e sequenza del sogno interessante ma poi il film si perde andando a cercare consenso con un epilogo scontato. Struttura debole e dialoghi poco approfonditi.

Voto 2 (scarso)

Corto forse ancora più retorico di Armandino e il Madre che reitera il solito epilogo con esaltazione dell’amore “vero” in stile “poveri ma belli”. Incipit buono con i due meccanici che sperano di cambiare la loro vita col gioco del lotto, se non che riescono davvero a vincere, come spesso capita in certi film made in Usa di bassa fattura che hanno ormai esaurito il senso del sogno di ogni giocatore: vincere per cambiare la propria vita. Purtroppo non si racconta quanto il gioco sia dannoso e quante persone abbiano rovinato la propria vita per questa dipendenza. Ma qui il gioco è solo un espediente per giungere infine a raccontarci che il vero amore non ha bisogno del danaro. Peggio di così. Il sogno di Gennaro non è la ricchezza ma l’amore. Trionfo della banalità. Fortunatamente il film si salva in parte per l’interessante sequenza del sogno girata anche molto bene. Questo significa che l’autore possiede qualità e idee.


La colpa (di Francesco Prisco, Italia 2010)

Mauro è un tignoso avvocato che crede di sapere tutto di sé e degli altri. Sarà un misterioso mediorientale, durante una mattina come tante, a far vacillare le sue certezze e a fargli capire che non sempre tutto è come sembra…

Strutturato molto bene ma non aggiunge niente di nuovo al genere.

Voto 3 (sufficiente)

Sulla qualità del film niente da eccepire. Ottima regia, ottime sequenze, fotografia da antologia. Suspense con colpo di scena, tante emozioni. Forse avrei potuto anche dare un quattro perché in effetti il film merita e non a caso ha vinto la sezione del festival dedicata a Campania Corto. Però secondo me questo lavoro non è all’altezza di almeno altri due corti (La currybonaria e Reset) perché in fondo reitera i cliché del genere e non riesce a uscire da certi luoghi comuni, quegli stessi che vuole mettere alla berlina. Per luoghi comuni intendo l’idea dell’arabo presunto terrorista che invece risulta essere una brava persona qualsiasi (ma anche un abile insegnante che si permette di dare una lezione di vita all’orgoglioso avvocato). Al contrario ritengo che sarei rimasto sorpreso di più se il colpo di scena finale fosse stato davvero rivolto “contro” l’avvocato (o una vera esplosione o magari scoprire l’avvocato quale mandante dell’atto criminale). Insomma, qui non si esce da una certa idea preconcetta mentre il mondo naviga nella complessità e nell’impossibilità di definire qualsiasi cosa. Non vi sono certezze, ecco… invece l’epilogo lascia credere nella quadratura del cerchio.


La currybonara (di Ezio Maisto, Italia, 2010)

La currybonara è una commedia in stile “spaghetti western” che ha per tema lo scambio culturale e l'integrazione razziale attraverso il cibo. Come nei classici western americani, che raccontavano la sanguinosa conquista delle fertili terre del selvaggio West da parte dei pionieri provenienti dall’Est, anche l’indiano ROBIN e la slava OLGA sono emigrati a Ovest per cercare fortuna. Ma la desolata landa di terra promessa che sono faticosamente riusciti a conquistare è ogni giorno minacciata da MARINA, una “pericolosa” nativa del luogo.

Contaminazione come superamento del duello e ricerca di un nuovo modo di convivenza e integrazione. Il mondo dei paria esaltato dalla fantasia e la genialità per costruirsi una vita. Curry-bonara: un piatto da servire al mondo. Ottimo montaggio soprattutto nell'alternarsi dei primi piani. Attori molto bravi. Ottima regia.

Voto 5 (ottimo)

Cortometraggio stupendo, di una bellezza che trasporta l’anima in un luogo “differente” ove la vita unisce anziché dividere, dove il rispetto si mescola all’amore e le differenze sono un valore anziché motivo di divisione. Il rapporto tra l’indigena Marina (una romana amante della carbonara) e l’indiano nonché benzinaio Robin si sviluppa tramite la ricetta italiana della carbonara e i gusti dell’indiano Robin tutt’altro che condivisi dalla nativa. E il loro comportamento viene attentamente valutato e registrato da Olga, una bellissima slava, che purtroppo deve guadagnarsi la vita vendendo la propria bellezza. Ma la peculiarità di questo corto, sua caratteristica fondante e “ironica”, viene esaltata dal modo in cui è stato girato, ossia nel rimarcare il rapporto tra i tre protagonisti come se il loro incontro avvenisse nelle desolate lande del Far West. Un mezzogiorno di fuoco che si trasforma in un “mezzogiorno di cuoco” come evidenziava una vecchia pubblicità, per cui le armi che i due contendenti (Marina e Robin) estraggono non sono revolver pronte a scaricare piombo nel corpo del nemico, ma un cuscus al curry e un panino con la porchetta. La contaminazione e l’incontro tra culture differenti attraverso il cibo conferisce al film un sapore diverso. Anche la grama e dura vita del far west, dove i cavalli sono auto che bevono benzina, dove le dame sono donne in attesa del cliente (i vestiti che Olga porta nell’incipit somigliano molto alle vesti delle ballerine da saloon), presenta dei momenti di grande umanità in cui l’amicizia si esalta nella “fusione” di culture diverse dando vita a una nuova immagine di bellezza. La Currybonara non è solo esempio di cucina fusion (come evidenziato nell’epilogo), ma una nuova formazione artistica, un collage di “pezzi” poveri e insignificanti che, se accostati dal lavoro dell’artista, danno forma a un manufatto artistico di umanità e fantasia composto di tolleranza e comprensione, un’opera d’arte che innesta e presenta una nuova arte popolare.


La sagra della primavera (di Giovanni Prisco, Italia 2010)

Con l’arrivo della primavera, in una tranquilla campagna del sud, un uomo si appresta a sacrificare una vita. Gli unici presenti sono gli animali, indifferenti alla morte, ed una ragazza, che spera di cambiare il corso degli eventi.

Probabilmente dipende da me che non sono riuscito a entrare in sintonia con questo lavoro. Obiettivamente è girato bene, le inquadrature sono precise, ma la sceneggiatura mi sembra slegata e il messaggio (ammesso che possa avere importanza) ambiguo.

Voto 2 (scarso)

Questo forse l’unico corto che vede il mio giudizio minoritario rispetto alla maggioranza dei giudici web. Probabilmente merita i buoni voti ricevuti, ma secondo me presenta alcuni punti deboli in cui il corto si inceppa e non riesce a uscire dall’impasse. Quando il maiale viene ucciso e macellato la natura accetta impassibile (la mucca che si immobilizza per un attimo, i polli che fuggono al suono dello sparo) l’esito di un gesto che si ripete da sempre e proseguirà finché l’umanità forse un giorno sarà cambiata. Questa realtà bruta ma sempre identica, che non accettiamo di vedere, ma che accettiamo quando gustiamo un panino col salame, potrebbe avere un’alternativa identica. Questo ossimoro si esplicita nello scambio evidenziato nell’incipit, poiché se il maiale è salvo la stessa sorte potrebbe toccare alla donna. Insomma il cambiamento, il superamento dell’atroce “tradizione” richiede un’altra vittima sacrificale. Tutto molto interessante ma purtroppo non sono rimasto convinto dalle immagini che mostrano la macellazione del maiale (immagine reale di un maiale macellato per la gioia degli appassionati e il disgusto degli animalisti) mentre, per ovvie ragioni di budget, non abbiamo assistito alla macellazione della donna. Pertanto l’immagine del sacrificio umano (ma verrà trasformata in insaccati innestando forse un meccanismo senza uscita che potrebbe arenarsi nel tabù del cannibalismo?) sembra solo bondage fine a se stesso.


Reset (di Nicolangelo Gelormini, Italia, 2010)

Tra sogno e realtà, vita e morte di un uomo alla ricerca di se stesso.

Come hanno scritto anche altri cinefili, si notano atmosfere lynchiane rese molto bene. Sceneggiatura originale con sequenze formalmente ineccepibili. Un piccolo gioiello. Per me il migliore della sezione Campaniacorto.

Voto 5 (ottimo)


Il migliore cortometraggio della sezione e uno dei migliori tra i trentotto presentati al festival Ottimo thriller, grande suspense, e soprattutto ottime atmosfere lynchiane. Montaggio perfetto che alterna il “qui e adesso” con i flashback indispensabili per ricostruire il rapporto tra il padre e la figlia, ma anche per seguire la ricerca del probabile assassino, tra realtà, ricordo e incubi del protagonista. Ma gli incubi (vere e proprie sequenze lynchiane) non sono soltanto la ricostruzione mentale di un ricordo frantumato che deve riaffiorare alla superficie. Il modo in cui sono stati inseriti (la casa sulla scogliera, la balaustra che si affaccia a strapiombo sulla scogliera, la ragazza che appare urlando nella notte), montati con altri pezzi del visibile (interrogatorio, incontro al bar del padre con la figlia, l’incontro con la madre, il tentato suicidio in carcere, ecc.), contribuiscono a formare una sorta di chimera, un animale formato da pezzi reali di animali diversi, e pertanto decisamente infiltrato nel reale perché capace di amalgamare ogni aspetto della vita e dell’animo umano. Un film pregevole, di grande qualità che per me avrebbe meritato di vincere la sezione Campania Corto.


Vomero travel (di guido Lombardi, Italia, 2010)


Vittorio ha 14 anni, studia al liceo, abita al Vomero (il quartiere "bene" di Napoli) ed è un fan dei "Roca Luce": un gruppo hip hop di 4 ragazzi appena maggiorenni. Questi invece abitano nella periferia nord di Napoli, di cui raccontano, nelle loro canzoni, il degrado e la violenza. Attraverso il loro incontro scopriranno entrambi che sebbene separati da pochi chilometri di metropolitana, i mondi a cui appartengono sono molto, molto distanti…

Interpretazioni buone ma sceneggiatura debole e resa registica inconsistente.

Voto 2 (scarso)


Gradevole da vedere ma inconsistente. La differenza tra i due quartieri di Napoli, il Vomero (quartiere bene dove abita Vittorio) e Scampia non esce allo scoperto. Va bene puntualizzare la giornata al Vomero in quanto metro di misura della differenza di mentalità, comportamento e modo di parlare tra i Roca Luce e Vittorio, ma questa giornata a passeggio nel quartiere bene risulta evanescente, debole, non colpisce, non mette in evidenza le differenze, la lotta quotidiana per la sopravvivenza di un ragazzo della periferia nord della città, mentre un suo coetaneo del Vomero pensa e si preoccupa magari di superare un esame scolastico. Non c’è quella forza, quella tenacia che mi sarei aspettato, ma solo una piacevole serata tra amici, un modo di comunicare e di frequentarsi. Niente di più.

4 commenti:

iosif ha detto...

vidi armandino e il madre su la7, capisco il tentativo di ricreare una storia d'amore fra cultura popolare (roberto) e accademica (sara), ma da napoletano e spettatore cinematografico l'ho trovato imbarazzante.

Luciano ha detto...

@Iosif. La scenografia naturale diuna Napoli che circonda il MADRE è fantastica e alcuni momenti del film sono da tenere in considerazione. Ma sono in effetti d'accordo con te. Un film imbarazzante.

APC Independent Production ha detto...

Salve Luciano, sono Giuseppe Capasso, il regista di 108.1 FM Radio.
Innanzitutto grazie mille per il commento, fa sempre piacere riceverne!
Ad ogni modo (da quello che dici)credo ti sia sfuggito qualcosa nel finale, il film difatti lascia spazio proprio a quell'alternativa di cui parli e che ti avrebbe fatto piacere trovare nel finale. Difatti c'è! (ed è anche anticipata dalla frase di M. Mc Luhan che apre il film).
Se ti va puoi contattarmi all'indirizzo seguente e sarò felice di passarti il link diretto per fartelo riguardare con più attenzione.
info@apcproduction.com
Grazie ancora.
Saluti

Luciano ha detto...

@ Ciao Giuseppe. Sono molto lusingato della tua visita. In effetti vedere e votare in pochi giorni 38 cortometraggi non mi ha permesso di approfondire e commentare degnamente tutte le opere in concorso come avrei voluto. Però andava fatto e ho scelto di lasciarmi convincere dalle emozioni provate sul momento. A questo punto (visto che dici che c’è un’alternativa nel finale) sono molto interessato a rivedere il tuo cortometraggio. Grazie ancora per la tua visita e per l’opportunità che mi offri. Ti contatterò il prima possibile. Grazie.