District 9 trascina l’emozione all’interno stesso del significante, nel senso che la metafora emerge evidente come rappresentazione di un contesto ma anche come presentazione di un intertesto. In altri termini il testo (film) lavora su due aspetti: metamorfosi ma anche contaminazione. Per quanto concerne il primo aspetto mi sembra evidente che col pretesto della sci-fi si assiste ad una duplice metamorfosi: da una parte assistiamo alla trasformazione fisica e “mentale” del protagonista, dall’altra ad una “desquamazione” delle inquadrature (macchina a mano, videocamera di cellulari, telecamere di sicurezza, mdp). Mentre il protagonista segue un percorso di redenzione (da rappresentante del potere a vittima, da portavoce di un manicheismo di facciata a simbolo del martirio più o meno volontario), le inquadrature scivolano dallo stile mockumentary ad uno più classico e/o topico scelto come modo più idoneo per “raccontare” una più o meno genuina redenzione del protagonista. Detto in questi termini sembra che la seconda parte del film sia un cedimento se rapportata ad uno stile senz’altro più riuscito, ma ritengo che mentre uno stile da intervista-tv sia adatto a rappresentare il punto di vista del potere, o meglio dei media controllati e manipolati dal potere, la tendenza a scivolare in una tecnica più collaudata sia perfettamente adatta a gestire questo percorso di uscita dal "buonismo" ipocrita di chi detiene le leve del punto di vista omologato. Il ribaltamento semantico del luogo comune mostro=male in umano=male è bene evidenziato dall’assunzione di un punto di vista asimmetrico: potere che cerca di dimostrarsi oggettivo in quanto documentario (tv), degrado che cerca di mostrarsi in quanto soggetto della visione (fiction). Insomma, noi siamo il male e l’alieno, ciò che ci spaventa, ciò che ci terrorizza, è il bene. Poco importa che il plot ci trascini ad identificarci (anche se non del tutto) nelle peripezie del meschino Wikus Van De Merwe, poco importa che le nostre simpatie cadano sui corpi da gambero degli alieni. In effetti la ricostruzione mentale dei “gamberoni” ci trascinerebbe in supposizioni ipocrite come ad esempio il pensare che potrebbero gestire le loro uova (non voglio fare spoiler) in un modo più igienico. Non è così perché il momento della gestazione e della nascita, l’attesa e il controllo del nascituro che rappresenta per noi “umani” un momento intenso e poetico, romantico e suggestivo, viene ribaltato in una putredine di carne in decomposizione che emana vapori mefitici. Il nascituro dell’alieno è distante anni luce dall’immagine pulita, stereotipata, che ci viene presentata dai media. In effetti anche il nostro “modo” (parto) non sarebbe scevro da momenti poco “salubri”, ma la cultura e la cura della “razza” (igiene, malattie, ecc.) ci ha condotti a concepire il momento della nascita come un momento “pulito” (il bebè nella culla profuma sempre di buono). Come allineare la nostra identificazione con i feti marcescenti degli alieni? Qui il film mette in evidenza un’ipotesi di contaminazione. Infettandosi Wikus contamina il proprio corpo, comincia a cibarsi dello stesso cibo dei “gamberoni”, la sua stessa carne entra nei desideri cannibaleschi dei nigeriani (1) che vorrebbero assorbire il potere e la perizia rendendo in tal modo onore al valore e alle capacità acquisite (far funzionare le armi aliene) dal grande guerriero (nuovo status di Wikus). La carne dell’alieno, che se mangiata non trasforma in cannibali (un’altra specie), emergendo nel corpo di Wikus trasforma l’uomo in cannibale. Quindi contaminazione della carne, ma anche contaminazione della tecnica che segue e sottolinea questo percorso all’interno della malefica covata (all'interno della bella città e dei bei palazzi tutto vetro e pulizia degli umani si nasconde l'atrocità della tortura e della vivisezione) e soprattutto progetto intertestuale che lega il film (e la sua evidente metafora del razzismo) ad una ibridazione culturale. Ovviamente non intendo dire che District 9 inviti a desiderare il modo di vivere dei gamberoni. Le immagini inducono caso mai a considerare l’opportunità, attraverso la contaminazione (o almeno indossando un braccio alieno), di allargare i propri orizzonti, guardando oltre i limiti della tridimensionalità e persino della quarta dimensione. Questo vuol dire che mentre per i modi di girare un film possiamo ipotizzare modalità e tecniche ancora da esplorare, per la metafora possiamo immaginare un percorso ad esempio che trascini l’umanità a comprendere non solo la cultura e le usanze delle razze (neri, bianchi, asiatici…) ma anche delle altre specie (animali, alieni?), questo in sintonia ad esempio col Progetto Grande scimmia (2) voluto e proposto da Peter Singer(3) e fiore all’occhiello dell’anti-specismo. La struttura deve essere il corpo della differenza. Contaminiamola.
(1) Ovviamente mi riferisco ai nigeriani del film che vivono all’interno del Distretto 9.
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Progetto_Grandi_Scimmie_Antropomorfe
(3) Peter Singer, è un filosofo morale, nato a Melbourne nel 1946. I suoi libri più famosi sono: Liberazione animale, Arnoldo Mondadori Editore, 1991; Il progetto grande scimmia, Theoria, 1994.
22 commenti:
Interessantissima la questione della covata e la riflessione che sta all'interno di essa. Non mi ci ero soffermata abbastanza durante la visione del film. Grazie per avermelo riportato alla mente.
Ale55andra
Lo sapevo che ne avresti tirato fuorin un ottimo post da questo ottimo film!
Ho particolarmente apprezzato il concetto di "doppia metamorfosi" che ben esamina le scelte stilistiche di Blomkamp. Bravo ^__^
@Ale55andra. E' una sequenza che mi ha impressionato e che amplifica la distanza tra le due specie: la puzza che noi identifichiamo con la decomposizione cadaverica, per gli alieni è fonte di una nuova vita. Grazie a te Ale55andra^^
@Weltall. E' un aspetto che andrebbe approfondito meglio e credo che una sola visione non sia sufficiente per analizzare in profondità la tecnica di ripresa e il montaggio. Grazie^^
Oh, finalmente una riflessione seria e circostanziata fra i pareri positivi su questo film. Descritto da te, questo sembra davvero il film di cui quasi tutti si entusiasmano. Il mio dubbio principale è che non ho trovato, al contrario di te, che -- in un'eventuale divisione "in due parti" della quale non sono convinto -- "le inquadrature scivolano dallo stile mockumentary ad uno più classico e/o topico": il film che ho visto io scivola e risale di continuo, senza grosse macrodiversità fra unità narrative. Non trovo che ci sia una coerente opposizione fra uno "uno stile da intervista-tv" che rappresenta "il punto di vista del potere" ed una "tecnica più collaudata" di "uscita dal 'buonismo' ipocrita" del potere stesso: insomma, il film finisce mi pare proprio com'è iniziato, con tanto di buonistica (ipocrita non so) intervista alla moglie commossa e fiorellino in discarica. Ma io sono un cinico!
@Alberto. Un piacere rivederti! Per un'analisi più precisa delle sequenze (stile tv o meno) dovrei rivederlo. Queste sono le sensazioni che ho avuto "a caldo" e tecnicamente mi sembra vi siano delle differenze o meglio, contaminazioni. Poi se vi sia un confine netto non posso sostenerlo, ma il senso del film nel complesso mi sembra sia appunto nel continuo sfaldamento delle sequenze, come voler dimostrare che vi è tendenza a far collimare il pdv del potere (standard etico, omologazione culturale, ecc.) con un stile documentaristico. Insomma: chi decide ha ragione (e questo detto con ironia). Solo sensazioni comunque, ma anche secondo me un'idea: spinta interraziale ma anche interspecie e in fondo il fiorellino può essere una flebile speranza di "accomunamento" (la moglie non ha visto il gamberone mentre il gamberone rimane attaccato nostalgicamente al suo passato d'altra specie). Grazie per la visita ;)
Aspettavo con trepidazione l'arrivo di un tuo nuovo post. Premetto che non ho ancora visto il film, mi è piaciuta molto lo riflessione che hai proposto. E ritornerò a commebtare, dato che il film non lo ancora visto.
@Giuseppe. Eh già. Un mese senza pubblicare niente, ahimé :( Non vedo l'ora di leggere la tua recensione che sarà sicuramente molto interessante.
Come sempre un ottimo post (lo attendevo molto questo su "District 9") che riesce a sviscerare perfettamente il film in questione.
"La struttura deve essere il corpo della differenza. Contaminiamola"
Conclusione perfetta :)
@Chimy. Sempre gentilissimo. Grazie. In effetti è un film che mi ha notevolmente impressionato. Ottima Sci-fi ;)
ogni tanto si sente dire "è solo un film".
qui dentro c'è un mondo, nel film e nella recensione, intendo.
viene voglia di vedere il film di nuovo, con altri occhiali.
@Francesco. In effetti è un film da rivedere. Credo che una sola visione non basti ad apprezzare la ricchezza intrinseca di questo lavoro.
Pensa Lucià, l'interrogativo più alto che mi ha suggerito questo film è stato "perchè su diecimila proiettili non ne va a segno neppure uno sul gamberone?". Ma tu, caro Luciano, mi dimostri come un cervello allenato possa trarre riflessioni importanti da qualunque cosa. Persino da questo film.
@Liuis. Ah! Ah! Vero. Nessuno arriva a segno. Forse perché sono proiettili cinematografici e/o inesistenti e dopo tutto anche gli alieni non esistono^^ Grazie Liuis. E' bello anche avere opinioni differenti. A presto.
bella recensione. credo che una delle cose più difficile sia dare al genere nuova identità e spessore, e questo film, come tu spieghi bene, c'è riuscito.
@Iosif. Sono d'accordo: dare nuova identità e spessore. E in effetti non è semplice. Per questo il film merita di essere visto. Grazie!
Geniale la lettura dello stile visivo come, di volta in volta, strumento del potere e liberazione da esso, incanalamento nel modo di pensare più quotato socialmente e sua demistificazione nella seconda parte. Non so proprio cosa scrivere del film ma dopo averti letto... mi sento anche più impedito!
@Noodles. Ops... e invece vorrei proprio leggere una tua recensione (magari l'hai già pubblicata e appena mi è possibile passo a vedere). Sono sicuro che leggerei cose interessanti. Grazie^^
Bella la tua riflessione sulle uova e molto acuta, io non ci ho fatto caso, ma vabbe' è colpa degli occhiali ;-)
Aspetto la tua rece su Moon :-)
@Recenso. Forse acuta la riflessione ma, ahimé, non la vista. Scusami per il ritardo ma non ho ancora visto Moon come da oltre un mese non vedo niente. Spero comunque di rimettermi presto in forma. Grazie.
Sto scoprendo le tue recensioni in questa occasione, e devo dire che sono tutte stimolanti e molto interessati (e a volte anche difficili! ;) ) bello questo film, credo che lo rivedrò. Essendo io molto attento a tematiche 'animali', ho apprezzato molto le tue consideraizoni sulle diversità: gli umani devono compiere il superamento delle categorie chiuse e dicotomiche che hanno avuto finora. Le motivazioni, in primis etiche, sono davvero molte. (Non ricordo, a propsoito, scene di vivisezione nel film? puoi aiutare la mia memoria?). Considerazione finale: noi cerchiamo gli alieni prché ci sentiamo 'soli' nell'universo: se solo imparassimo a considerare gli altri animali che condividono il pianeta insieme - e prima - di noi, come soggetti ugualmente degni , ci sentiremmo non più così soli...
@Giovanni. Come sempre non riesco a rispondere subito e me ne scuso. Sono affascinato dal tuo impegno (ho visitato il tuo bellissimo blog) e dalla tua coerenza nel rispettare le altre specie. Per quanto riguarda il film, ormai visto quasi cinque anni fa, non ricordo bene molti particolari ma ricordo benissimo che per le scene di "vivisezione" mi riferivo agli esperimenti sugli alieni. Ovviamente condivido le tue considerazioni su come dovremmo rivedere il rapporto con gli animali estendendo anche a loro molti dei nostri diritti.Ti ringrazio per la visita. A presto.
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