6 ottobre 2009

Bastardi senza gloria ( Q. Tarantino, 2009)


Nella Francia occupata dai nazisti, la giovane ebrea Shosanna Dreyfus assiste all'uccisione di tutta la propria famiglia per mano del colonnello nazista Hans Landa.La ragazza riesce a sfuggire miracolosamente alla morte e si rifugia a Parigi, dove assume una nuova identità e diviene proprietaria di una sala cinematografica.
Contemporaneamente, in Europa, il tenente Aldo Raine mette assieme una squadra speciale di soldati ebrei: noti come i Bastardi. I soldati vengono incaricati dai loro superiori di uccidere ogni soldato tedesco che incontrano e prendere loro lo scalpo. La squadra di Raine si troverà a collaborare con l'attrice tedesca Bridget Von Hammersmark, una spia degli Alleati, in una missione che mira ad eliminare i leader del Terzo Reich, in una trappola attesa durante la premiere di un film del partito.

I film che esplicitamente trattano di nazisti, con i relativi riferimenti allo sterminio, sono da sempre stati sottoposti alla questione, nell’ambito cinematografico, della rappresentabilità, ovvero il problema della rappresentazione dell’irrappresentabile, ciò che potenzialmente non è possibile rappresentare, misurando la possibilità che hanno l’immagine e l’immaginario, di confrontarsi con l’idea dell’eccidio di massa. Il problema infatti pone al centro l’atto stesso dell’inevitabile manipolazione delle immagini nell’uso della macchina da presa; il concetto d’inquadratura, in quanto una scelta soggettiva di visuale e il montaggio, riducono il testo filmico ad una creazione di linguaggio che rimane su superficie sempre del tutto personale dei fatti accaduti, facendo restare il testo filmico, sia di finzione che documentaristico, qualcosa di parziale. Ma è innegabile che la proliferazione di film, documentari, reportage, testimonianze hanno accresciuto e operato un’attività di conservazione della memoria non indifferente. “E’ solamente ricordando questi elementi del lavoro cinematografico, audio e televisivo, l’inquadratura e il montaggio, che l’opera per immagini può essere considerata come memoria essendo anch’essa un ‘interazione tra cancellazione e conservazione. Non di meno l’utilizzo dell’immagine come testimonianza di verità e la creazione di opere cinematografiche e audiovisive che pretendono di lottare contro l’oblio avanzano con costante vivacità. La Memoria è diventata una sorta di esperienza audiovisiva collettiva”(1) ciò sarà sempre più evidente nelle prossime generazioni. Il Film trattato in questa sede sembra però prendere delle posizioni paradossali, esso ci mostra ciò che non è mai stato rappresentato,in quanto mai immaginato, cioè la rappresentazione di ciò che non è accaduto. Se in un certo senso lo strumento cinema si ritrova parzialmente limitato nel restituirci una memoria oggettiva, tuttavia ci dà una variante completamente stravolta, che paradossalmente tende quasi a voler sostituire le lacune dei precedenti propositi. Vediamo dunque che la riproduzione cinematografica può tutto. “La macchina da presa ha la capacità di riprodurre una realtà filtrata e trasformata, sia pur al di fuori di una psicologia tradizionale dall’altro lo schermo da un’evidenza inviolabile di ciò che è soltanto pensabile.”(2) Ma la presenza di quel rimosso incolmabile che l’audio-video non può restituire muta, per lo più si ribalta, nel movimento della leva del proiettore effettuato da Shosanna Dreyfus, il raggio di proiezione diventa una vera e propria arma. Cambiando quindi per ribaltamento, o quasi per contrappasso, la finalità dei perseguitati, che una volta mutata, si trasforma nell’attuazione della combustione dei nazisti sotto il fuoco della finzione. Nel loro personale campo di concentramento che è la sala del cinema. L’unica arma che risulta essere efficace.
L’esigenza di voler imprimere una memoria da parte dei bastardi contro i nazisti, arriva a tal punto da prendere lo scalpo del nemico morto e incidere il simbolo dell’eccidio sulla fronte del nemico che sopravviverà, perché potrà raccontarlo. In questo film lo schermo giustifica la moralità attuata dai bastardi attraverso la finzione. Come ad esempio, tra i nazisti del film che sembrano comprendere l’orrore, c'è un soldato, eroe di guerra, ingaggiato per interpretare la parte di se stesso in quanto eroe, un eroe in/di un film, egli oscilla tra una finzione diegetica ed una realtà extra diegetica che sembra riportare lo spettatore ai reali problemi del discorso, quelli legati ad una violenza rappresentata dal film, infatti la proiezione di questo film avviene in entrambe le sale, sia la nostra che la loro.
Il rapporto che s’instaura tra i due poli osservatore e osservato, si raddoppia; l’osservatore partecipa al destino dell’osservato, si muove sul suo stesso terreno, nello stesso campo di forze, ma intrecciando la sua esistenza con l’oggetto del suo sguardo finisce anche col perdere la sua posizione di vantaggio, fino a confondersi con quanto a di fronte.
Abbiamo in definitiva la riascrizione della storia, ma una storia che è possibile vedersi attuata solo all’interno di una sala cinematografica, sia sul piano diegetico che su quello extradiegetico, come a voler dire che in fondo il compito del cinema non è ancora terminato.



(1) E. Sivian, Memoria, archivi. Gli archivi della memoria, in Il racconto della catastrofe. Il cinema di fronte Auschwits, di Monicelli F. Saletti C. (cur.) Cierre edizioni 1998
(2) Casetti F. L'occhio del Novecento, Bombiani, 2005

17 commenti:

Christian ha detto...

Film paradossale, esagerato, compiaciuto, divertente: ma non me la sento di gridare al capolavoro, troppi momenti di sceneggiatura non mi hanno convinto, per non parlare della mancanza di empatia con "buoni" più crudeli dei "cattivi".
Un appunto a questo proposito: non mi pare che "l'unico dei nazisti del film che sembra, sotto un certo aspetto, comprendere l’orrore" sia quello che diventa un attore. Ci sono anche il soldato che afferma di voler riabbracciare sua madre e bruciare la divisa, e poi quello che festeggia la nascita del figlio... guarda caso, tutti esempi di umanità che vengono dal campo "avverso", mentre nessuno fra coloro che dovrebbero essere i buoni sembra in grado di rispondere a tono o di accogliere o accettare simili sentimenti (vedi l'attrice che ammazza a sangue freddo il neo-papà, ad esempio). Questa crudeltà diffusa, tutta incentrata sulla vendetta o sul desiderio di fare del male ai nemici, mi ha dato fastidio. E' vero che era presente anche in altri film di Tarantino (come "Kill Bill" o "Pulp fiction"), ma lì non c'era un aggancio storico e pertanto sembrava di trovarsi in piena fiction, la cosa era forse più accettabile.

Giuseppe(eraservague) ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con te christian. Il mio approccio al film non ha finalità di giudicare la morale che esso attua, o comunque evito di farlo in questo blog. Ho cercato di accennare questa sorta di vendetta attraverso appunto il concetto di ribaltamento d'intenti

Ivan Fedorovic ha detto...

ho sorriso al pensiero che hitler potesse essere ucciso solo al cinema...in tutti i sensi...(nella sala e nel film)...

Luciano ha detto...

Lo proiettavano nella sala attigua al film che ho visto domenica scorsa (District 9). Avessi potuto li avrei visti entrambi. Dopo aver letto la tua recensione (ma anche altre molto positive) non vedo l'ora di correre in sala. Il raggio di proiezione come arma: fantastico!

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@Luciano Anche se celato, la mia opinione sulò film è in generale positiva. corri corri! :)

Anonimo ha detto...

Mi viene in mente Philip Dick e le sue ucronie, nel suo caso per i nazisti che vincono la guerra.
Qui è il cinema, lì la letteratura, che riscrivono/cambiano la storia.

AlDirektor ha detto...

Direi che la tua recensione in finale è positiva. In ogni caso, hai apprezzato il ritorno di Tarantino. Io forse avrei detto qualcosa in maniera più "entusiasta", in quanto mi è piaciuto davvero molto questo film. Comunque è ok.

Anonimo ha detto...

"Nel loro personale campo di concentramento che è la sala del cinema. L’unica arma che risulta essere efficace"

E' questa anche a sua volta, secondo me, l'arma fondamentale di questo film.

Ale55andra

Roberto Bernabò ha detto...

Ho letto la vostra (tua, ma quanti siete?) analisi, e considero davvero molto interessante il tema che proponete e che sviluppate. E' particolare riflettere, infatti, sul rapporto tra realtà e non realtà nella rappresentazione filmica.

L'idea di andare a riprendere, come ha fatto Tarantino con questo film, l'immaginazione della Storia, propone, o magari semplicemente amplifica, forse, per la prima volta, la rivelazione, che, la macchina da presa, può davvero tutto.

Grazie.

Rob.

MonsierVerdoux ha detto...

Il cinema come mezzo magico che può riscrivere la storia.
Bella recensione!

Miroku ha detto...

Bella recensione e soprattutto bellissimo screencap che perme è l'immagine più bella del film (per quanto è scontato che sia così). PErsonalmente avrei detto qualcosa in più su altri aspetti del film (oltre al significato del "mezzo cinema" che sicuramente è il più importante) avendo notato un'evoluzione di Tarantino (non so se in bene o in male) a livello di scneggiatura (mi riferisco in particolare all'estenuante e ansiolitica scena della taverna).

Ho gradito molto il film. Non so esattamente perchè, in quanto qualche dubbio sul senso generale resta. Ma sono uscito ridendo.

Non sono affatto d'accordo con Christian, sia perchè la distinzione fra "buoni" e "cattivi" sarebbe stata un pò scontata (nonchè inutile in un film di Tarantino dove difficilmente si riscontra caratterizzazini nette), sia perchè quello che mostra è ovviamente un'esagerazione di un clima che non doveva esserepoi così diverso (non credo chelo spionaggio di allora fosse molto magnanimo).

Semmai ho trovato molte scene/morti abbastanza prevedibili.

Un plauso alle due attrici; la Kruger (si chiama così la tizia di Troy?) che non mi era mai sembrata un gran chee invece qui è stata coinvolgente; anche l'interprete di Shosanna è stata molto credibile; e infine ovviamente un pensierino lo si fa anche al tizio del commissario rex (che senza cane però sembra disarmato) e a Mike Meyers che interpretava un militare (cos'era?generale?colonnello?) di nome "Ed Fenech". Ogni riferimento a Edwige è puramente casuale.

Vision ha detto...

io voglio dire solo due parole: non è "Bastardi senza gloria" il capolavoro (così come viene espicitamente detto da Brad Pitt nel finale), ma è il cinema di quel bastardo di Tarantino ad esserlo...

Miroku ha detto...

Aggiungo anche che il film va assolutamente visto in originale considerando i continui cambiamenti di lingua e accenti che nella versione italiana necessariamente si perdono

Giuseppe(eraservague) ha detto...

@ Roberto Bernabò, ripeto nel blog siamo in tre ma l'articolo è stato scritto solo da me quello in parentesi è solo uno pseudonimo.

@Ale55andra, concordo con te.

@Miroku, son contento che ti sia piaciuto lo screencap, avevo bisogno di un immagine che rendesse l'idea di ciò di cui parlavo.

Noodles ha detto...

Ho usato lo stesso screen-cap, perché credo sia la silloge, anche teorica, dell'intero film: i personaggi come fantasmi che ritornano (dal cinema del passato) e il cinema-Tarantino che letteralmente ride della Storia mutandola a suo piacimento con la sola forza della fiction.

Roberto Junior Fusco ha detto...

Simpatico e folle, ma niente di più.

Daidalos ha detto...

Bella recensione che rileggerò ancora così delirando ne scrissi io dopo la seconda visione:

"Si dovrebbero scrivere recensioni molto lunghe su opere come ‘Inglorious basterds’. Si dovrebbe meditare molto prima di scriverne una. Si dovrebbero scrivere in effetti INTERI SAGGI su opere tanto complesse, tanto dense, tanto strutturate, tanto consapevoli. Ho letto cose interessanti nelle recensioni in giro per il Web. Il Tarantino della maturità: è vero. Un Tarantino più teorico: mh, forse è espresso male, ma è vero anche questo. Un Tarantino insomma più ‘classico’, disteso, meno scoppiettante, dalle parti di ‘Jackie Brown’. Io devo invece, e solo perché non potrei fare altrimenti, abbandonarmi alla Sensazione, alle sensazioni più molteplici, più precisamente al ricordo delle molteplici sensazioni che mi hanno letteralmente ASSALITO durante la visione. Saranno solo lampi e bagliori, che cercherò poveramente di metamorfare in parole. Il meccanismo è scoperto più che mai: Hans Landa è un attore che recita, tutto è set. E questo in qualche modo lo percepiamo. Waltz sta recitando per noi in sala, per Tarantino dietro la macchina da presa, è teatro, e il realismo è doppiamente angosciante perché dietro la ricerca del dettaglio e della situazione quotidiana c’è un’insistita voglia di urlare quanto tutto ciò sia FINTO, ricostruzione esibita. Tarantino, come già in ‘Death proof’, è diventato inquietante. E’ sempre più distaccato dalla materia, la adora ancora, sì, ma a freddo, e forse con una punta di disgusto (e questo è il suo film meno erotico: le sue frigide femme fatales ti uccidono o le uccidi). Il livello di gelo sprigionato dalle sue immagini è in costante aumento. Tarantino si allontana dalla sua America, dalla sua epoca, dal cinema a lui più cronologicamente vicino, e ciò aumenta la vertigine. UNA PROGRESSIVA RAZIONALIZZAZIONE DEI PROCESSI EMOTIVI ED ISTINTIVI: questo accade ad una civiltà, e questo sta accadendo al cinema di Tarantino. Ho visto il film due volte (per ora), e sempre ne sono uscito in qualche modo deluso, mi aspettavo sorprese, fuochi d’artificio, l’effetto ‘Kill Bill’. Ma adesso ho capito che Tarantino continuerà a coinvolgermi in maniera intensa, ad ossessionarmi, a farmi tornare sulle sue pellicole spinto da un’autentica fame, ma IN UN ALTRO MODO. Mi entrerà sottopelle, in sordina, senza choccarmi, ma forse rendendomi prigioniero di una magia ancora più potente, perché più dilatata, sicura, diabolicamente padroneggiata. L’artista è il Grande Seduttore, le sue opere sono fumi che impregnano la nostra mente – ne sono sicuro - in maniera ASSOLUTAMENTE FISICA. Flussi d’energia. ‘Davanti al mistero del genio ci si può solo inchinare’: riporto queste parole perché in effetti non saprei spiegare PERCHE’ anche questo film di Tarantino sia così potentemente efficace, così potentemente Cinema. Il meccanismo di simili capolavori è troppo complesso, troppo ramificato, composto da parti infinitesime che non si arriva a identificare ed isolare. Andrò presto, forse stasera, a rivedere ‘Inglorious basterds’. Fatelo anche voi. Questa è la storia di un film che mi ha deluso."