26 gennaio 2009

Onora il padre e la madre (Sidney Lumet, 2008)

Anticipare il senso dell'evento, precederlo evitando di comporre una storia raccontata infinite volte, una tragedia che porta direttamente nel luogo comune: bisogno di soldi, rapina con morto, fuga del “palo”, ospedale, ecc. Essere più veloci del fatto, del plot, per raggiungere il Paradiso, prima che lo sguardo scopra che non c'è niente da guardare. In questo senso Lumet evita di cadere nella trappola dello stereotipo anticipando l'epilogo, bloccando ogni illusione, ogni tentativo di ricostruzione che cerchi di fare leva sui vari tòpoi. Il tòpos vorrebbe “respirare” innumerevoli altre storie simili all'interno della storia che si sta dipanando, incollando sequenze trovate casualmente (o meno) in altri film, o meglio, in altri luoghi voluti e proposti dal Logos, dal ragionamento che organizza l'esperienza. Evitare queste trappole, scivolando via dal bisogno per approdare nelle contrade impervie del sogno, non è cosa semplice. Molti altri film frantumano la storia lavorando sul tempo filmico (ordine, iterazione), ma Onora il padre e la madre riesce a penetrare nell'anima dello spettatore per vari motivi; fra i tanti ne elenco almeno tre che mi hanno affascinato: nuclei, catalisi, chiusure.

I nuclei narrativi sono tipici dell'Epica (tempo dell'azione). Ad esempio nell'Eneide l'amore che si consuma tra Enea e Didone nella grotta è liquidato in pochi versi ("Speluncam Dido dux et Troianus eandem / deveniunt. Prima et Tellus et pronuba Iuno / dant signum: fulsere ignes et conscius aether / conubiis summoque ulularunt vertice nymphae) (1). Non esistono (o sono ridotte al minimo) le catalisi. I nuclei sono narrazione che racconta e "porta avanti" la storia. Riducendo (e correndo il rischio di apparire troppo manicheo) verrebbe da dire che volendo radunare tutti i nuclei in un unico supernucleo (un atomo?) la storia tenderebbe a ridursi ad un'infinitesima parte (ossia a svanire nel nulla). Il nulla della storia non sarebbe altro che un racconto imploso. Ossia potrei dire che "Onora il padre e la madre" è la storia di due figli che rapinano i genitori, rasentando il "lead" (2) dell'articolo di un quotidiano. Ma Lumet non è un giornalista e utilizza un solo nucleo: il giorno della rapina. Tutto rotea intorno a quell'unico evento, ogni cosa ne è conseguenza, derivazione, proiezione. E ritengo che non importino nemmeno le eventuali cause di questo fatidico momento (bisogno di soldi), perché il cinema non è un trattato di sociologia (o di psicologia) ma aspira ad essere arte giocando con l'oggetto in sé, cercando non di capire, ma di conoscere. La rapina è il principio di tutte le cose e ritorna, in ogni episodio in cui è suddiviso il film, come filo conduttore, come Dio creatore. Dopo un incipit che potrebbe essere il sogno definitivo di Andy (sesso in vacanza con l'adorata moglie), che potrebbe essere la causa (relegata in una sequenza isolata, volutamente male incollata alle sequenze seguenti), il traguardo da tagliare, l'oggetto del desiderio, si entra nella sequenza seguente non uscendone più. Dopo pochi minuti sappiamo già tutto. Il film è un continuo ritorno a questo unico istante (la rapina), una reiterazione ossessiva (ma affascinante) dell'attimo del male non più evitabile, non più rimediabile. Ma è reiterazione “mentale”poiché questo “nucleo narrativo” non ritorna neppure sullo schermo, implodendo in semplici oggetti formati al fine di far "ricordare" il gesto drammatico e l'orrore del sangue versato. La rapina nella gioielleria non è più visibile sullo schermo ma cresce nella mente, trasformandosi in una grossa, pesante pietra appesa al collo di Andy, Hank, Charles e degli altri personaggi.

La maestria di Lumet è quindi affidata alle catalisi (3), ai riempitivi, alle scene che inondano lo schermo di senso. Le catalisi sono oggetti di uso quotidiano, sono descrizioni, parentesi, momenti della vita in comune, sesso (Andy e Gina oppure Hank e Gina che fanno l'amore), droga (Andy che si fa iniettare la cocaina in vena), sono le auto che in questo film assumono un valore particolare, diventando produzione di mondo, ossia oggetti che riassumono tutto un evento drammatico. Ad esempio l'auto noleggiata da Hank ritorna sempre negli incipit dei vari episodi e da sola basta a riportarci a quel "day of the robbery", così come capita anche alla cabina telefonica utilizzata da Hank per telefonare al fratello. Ogni volta che quella cabina ritorna in scena sappiamo già cosa è successo perché tutto è già accaduto. Il film è già stato girato e ogni fotogramma della pellicola è ormai inamovibile (a parte interventi inopportuni di una bieca censura) com'è "inamovibile" l'afflato dolce e terribile dell'evento di un passato che ha irrimediabilmente cambiato il nostro presente, evento che non potremo mai annullare nonostante i nostri sforzi e i nostri dolori, né "ricostruire" differente. A volte soffriamo tutta la vita a causa di un solo attimo. Quell'attimo che Lumet è riuscito con maestria a lasciare sospeso sopra la nostra testa come una spada di Damocle, quell'attimo che mi ha così intensamente emozionato.

Nuclei e catalisi fanno parte del romanzo come di ogni narrazione, ma in questo film acquistano molta importanza anche le chiusure. Intendo "chiusura" nel senso di incapacità di accettare e/o comprendere una proposta, ma anche nel senso di conclusione, termine di un qualcosa (un dibattito, una storia d'amore, una vita, una libertà). Innanzi tutto chiusura davanti all'Inaccettabile, rifiuto di un epilogo ma anche di un prologo, rifiuto di accettare una proposta di Male. L'Intollerabile (4) che ritorna sempre e comunque, che s'addensa in semplici, apparentemente banali fotogrammi (il biglietto da visita di Andy, il volto esterrefatto del mascherato Hank, Gina seduta sui gradini in attesa di consumare il suo tradimento con Hank). Le chiusure del film sono molteplici e tutte riferite ad un periodo che si conclude, alla storia di una famiglia che subisce uno "strappo", rappresentata al termine di un'era a-felice. Per me il problema è stato non tanto la chiusura di un sub-plot (il matrimonio di Andy, la serenità di Charles, la vita trans-famigliare di Hank, e via di seguito), quanto la chiusura di un dato di fatto, di una “sicurezza”. In altri termini la certezza in una famiglia “sicura” non è più tale, così come la certezza del plot filmico non è più tale. La grande capacità di Lumet è tutta nell'essere riuscito a sostenere il dramma dei sei episodi nell'epilogo del "week after", tramite (attraverso) un semplice, banale oggetto: il biglietto da visita di Andrew Hanson che definirei un condensato di senso, un oggetto-rivelazione, oggetto di desiderio degradato (desiderio di Charles di scoprire il responsabile dell'omicidio della moglie) che fa pendant con l'oggetto del desiderio di Andy (i soldi, il Brasile, la vita serena e piena di sesso con la moglie). Una chiusura sublime, da grande regista.

(1) Eneide, IV-165 "Come deciso, Didone ed Enea trovano scampo in un stessa grotta. Prime, la Terra e Giunone, custode dei matrimoni, dànno il segno: scoppiano tuoni e lampi nel cielo, testimone di quell'unione, e sui monti le ninfe mandano cupi ululati".
(2) Il lead (inizio articolo) contiene in forma sintetica il contenuto dell'intera notizia.
(3) R.Barthes, L’effet de réel, « Communications », n. 11, Paris 1968, pp.84 e sgg. Il saggio, tradotto in italiano, si trova in: R.Barthes, Il brusio della lingua, Torino, Einaudi 1988, pp.151-159. Da segnalare un’attenta ed esauriente spiegazione del termine inventato da Barthes in S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Parma, Pratiche Editrice 1990, pp 174-176.
(4) G.Deleuze, L’immagine-tempo (1985), Milano, Ubulibri 1989, p.197.

23 commenti:

chimy ha detto...

Recensione molto bella :).

Del film mi ha colpito in particolare la voglia che ha ancora Lumet, dopo qualche passo falso se vogliamo, di mettersi in gioco: un film che tratta tematiche molto "difficili" per le quali il 90% dei registi si concentrebbe unicamente nella parte narrativa, mentre Lumet invece continua ad avere voglia anche di riflettere sul linguaggio cinematografico, di "sperimentare", come spesso ha fatto nella sua carriera.


Un saluto

Noodles ha detto...

Concordo con Chimy. A ottant'anni Lumet è ancora uno sperimentatore, io poi lo amo particolarmente.
Il finale lo trovo interessante anche per un altro motivo: ho avuto l'impressione che Lumet con quella fuga, quella svolta d'angolo - non seguita dalla mdp - abbia voluto che la vita continuasse fuori dai fotogrammi, come se la mdp non potesse rinconrrere tutto ma solo quei frammenti ripetuti continuamente e che tu hai analizzato splendidamente. C'è sempre qualcosa che sfugge all'occhio-cinema, ed è forse proprio l'inaspettabile scarto della vita, che a volte può anche offrire un'altra chance, o un altro baratro.

Uff mi hai fatto ricordare che ancora non son riuscito a trovare il saggio di Bernardi sul Maestro. Saggio che agogno da tempo, dopo che me ne han parlato benissimo.

Flirda ha detto...

Un film con una tematica di fondo molto difficile, realizzato in un modo assolutamente unico ed efficace.
bella recensione!

Flirda (ex william Turnango) :)

Anonimo ha detto...

Secondo me uno dei migliori film dell'anno scorso. Mi colpì veramente profondamente non solo per la narrazione, ma per il linguaggio utilizzato per quella narrazione (come tu sublimamente hai sottolineato).
Ale55andra

Luciano ha detto...

@Chimy. Naturalmente sono d'accordo. Lumet potrebbe permettersi di "raccontare" affidandosi alla sua immensa esperienza, invece cerca sempre di percorrere nuove strade, giocando col linguaggio proprio perché, come per ogni artista, ogni sua opera non è la replica di quella precedente.

Luciano ha detto...

@Noodles. "Abbandonando" Hank al suo destino Lumet ha lasciato "uscire" dal film un personaggio che potrebbe essere recuperato in un altro lavoro, oppure rimanere confinato nel nostro immaginario. "Recuperare" Hank in un altra sequenza probabilmente avrebbe potuto infrangere l'equilibrio del film, rovinare questo magnifico "discorso" così ben congegnato. Meglio lasciare Hank fuggire nel mondo e chiudere con la firma (il biglietto da visita) del "colpevole", punto d'arrivo di Charles, oltre... solo lo schermo bianco.

Luciano ha detto...

@Flirda. Senza dubbio un film molto particolare. Ti ringrazio.

@Ale55andra. E' vero, il film colpisce soprattutto per come è stato realizzato^^

Anonimo ha detto...

Lola montes me la sono fatta scappare, nn è stato così però per dove si è chiuso "a bout du souffle". Alla cinemateque bella expo su Melies e ottimi libri. Ci tornerò per l'expo su Jacques Tati. Buon tutto
Nam

Luciano ha detto...

@Nam. Peccato per Lola Montès: vedere il film sul grande schermo è un evento. Comunque sempre una grande soddisfazione aver potuto vedere A bout de souffle. Sono sicuro che l'expo su Tati sarà un grande evento. Grazie per la visita. A presto!

Anonimo ha detto...

Giustamente tutti entusiasti sia per Lumet che per la recensione! Tuttavia nel film io ad un certo punto prima dell'epilogo ho sentito un pò il peso di questa narrazione, cmq sempre un ottimo film!

Luciano ha detto...

@Mash. Comunque anche se per motivi diversi concordiamo sulla qualità del film. (L'ho visto solo una volta e la mia prossima visione - ma non so tra quanto lo rivedrò - presterà maggiore attenzione al plot). A presto.

ISOLE-GRECHE.com ha detto...

Come sempre... una recensione ad arte. Però decisamente in ritardo!!!

:)

Anonimo ha detto...

Sono daccordo con chi sottolinea l'urgenza di mettersi in gioco del buon Lumet. Ho trovato interessanti le sue scelte, soprattutto nel momento in cui acquistano un valore dando forza al film stesso che non perde mai di vista il senso dei suoi personaggi! Bellissimo e doloroso

Luciano ha detto...

@Amosgitai. Veramente in ritardo:( Purtroppo non ho potuto vederlo al cinema. E non soltanto questo, ahimé!

@Iggy. In effetti un film bellissimo e doloroso proprio perché riesce a ri-costruire una sofferenza attraverso la dinamica di un gesto, di una perdita.

Roberto Junior Fusco ha detto...

Bel film, ottima recensione come sempre. Dovrei rivederlo.
A volte soffriamo tutta la vita a causa di un solo attimo. Quell'attimo che Lumet è riuscito con maestria a lasciare sospeso sopra la nostra testa come una spada di Damocle, quell'attimo che mi ha così intensamente emozionato.
Come non essere d'accordo. Mi piacciono molto questi film sull'inevitabile.

Anonimo ha detto...

intanto i complimenti, vi seguo da tempo, e vi apprezzo per la qualità e l'attenzione meticolosa nell'uso delle parole. Vorrei contattarvi per una collaborazione con il nostro mensile "Rapporto Confidenziale" e mi tocca farlo così... mettete una mail!!!
mandateci un cenno qui, vi ricontatteremo al più presto
rapporto.confidenziale@gmail.com
a presto !!!!

Luciano ha detto...

@Roberto. Un film che lascia senza fiato. Mi dispiace soltanto di non averlo potuto vedere al cinema. Ti ringrazio.

Un saluto.

Luciano ha detto...

@RC. Ho già inviato una e-mail. Grazie!

Anonimo ha detto...

No di "Au bout du souffle" ne ho visto il luogo e la strada dove si chiude il film, l'ultima scena girata che fu Montparnasse. Grazie delle tue visite. CIao!

cinemaleo ha detto...

Un film che provoca in noi spettatori disagio e malessere, cattura la nostra attenzione in ogni mirabile inquadratura: lucido, duro, asciutto, agghiacciante, a volte gelido… coinvolge come raramente accade.
Da applauso incondizionato la prestazione degli attori: non è consueto vedere quattro protagonisti dare il meglio di sé in una vera e propria gara. Philip Seymour Hoffman dà un'ulteriore dimostrazione di essere un mostro di bravura, forse l'interprete più completo apparso negli ultimi anni, Ethan Hawke mostra una imprevedibile maturità, Albert Finney è impressionante nell'esprimere sofferenza e determinazione, Marisa Tomei ha finalmente l'occasione di rivelare le sue non poche qualità.

Luciano ha detto...

@Nam. La bellissima location dell'epilogo di A Bout de souffle. Grandioso!

@Cinemaleo. Grazie per la visita (non vedo l'ora di poter ricambiare). Sono d'accordo: un film agghiacciante e coinvolgente e attori che meglio non potevano fare. A presto^^

Valentina Ariete ha detto...

Bellissima recensione!
In realtà, secondo me, più che una dissoluzione di certezze c'è la rivelazione del marcio travestito da perbenismo.
Mi spiego: non sono affatto sicura che Andy fosse così interessato alle grazie della moglie, credo preferisca di gran lunga la droga e altro, così come non credo amasse i suoi genitori.
E' un pò come Sogni e delitti di Allen: nemmeno della famiglia ti puoi fidare!
Insomma io l'ho percepito molto più pessimista!
Grande film e grande Lumet che ancora sperimenta a 80 anni!
Meno male che l'hai recuperato.

Luciano ha detto...

@Valentina. Nello specifico della trama del film ovviamente sono d'accordo con le tue interessanti osservazioni. Per perdita della "certezza" in una famiglia sicura mi riferivo alla perdita del mondo "classico" dei luoghi comuni trasmessi da una cultura (scusami per la metafora matematica) newtoniana dove tutto deve andare al suo posto. Purtroppo non è così e a volte ce ne rendiamo conto all'interno di un attimo, attraverso microscopici particolari, quando lo sguardo si sofferma sui frammenti perduti di una unità "perduta" non più assemblabile. In effetti avrei perso molto a non vedere questo film.