«La prima
[direzione] ci ha condotti» , scrive Franco Moretti, «all’appannamento delle
opposizioni paradigmatiche, all’entropia, al processo di socializzazione; la
seconda invece alla lievitazione del quotidiano, all’apertura dei riempitivi
narrativi, al benessere. Il primo percorso riguarda, grosso modo, l’eroe
realista. Il secondo, il mondo realista» (1). È un’affermazione che chiarisce,
rettificandola, l’idea che sta alla base del saggio di Barthes (2): il
significato viene espulso dal segno in quanto l’effetto di reale comporta la
collusione tra significante e referente. Per Moretti nella retorica realista si
ha un indebolimento di significato e non un’espulsione; quindi non c’è un realismo
“interstiziale”, ma, per quanto riguarda in particolare il racconto, vi sono
nuclei e catalisi, ossia momenti densi di significato, “zone” cruciali che
producono senso, e zone riempitive che indeboliscono il senso. Il realismo
ottocentesco si è liberato della narrazione di tipo epico-tragico, quella dei grandi
eroi, dei grandi eventi, e si è arricchito della quotidianità (oggetti,
gestualità, clima, geografia) quindi di zone più deboli della narrazione che “attenuano”
i significati, ma creano “effetti di realtà”, zone che introducono la vita
quotidiana nella letteratura. Una quotidianità fatta anche di corse sotto la
pioggia, di cappelli rovinati dal temporale, di sarti che fanno credito a
giovani pretendenti, di facchini che chiedono la mancia, persino di tazze colme
di latte.
Je me souviens d’avoir quelquefois trempé gaiement mon
pain dans mon lait, assis auprès de ma fenêtre en y respirant l’air, en
laissant planer mes yeux sur un paysage de toits bruns, grisâtres, rouges, en ardoises en tuiles, couverts de mousses
jaunes ou vertes (3)
Questi “frammenti” di realtà sono
fondamentali nei romanzi di Balzac, perché servono a determinare la storia
narrata e a collocarla in contesti descritti minuziosamente; non sono fini a se
stessi, né sono scenari immobili gettati nella storia solo per riempirla, sono al
contrario parti neutre essenziali alla retorica realista che ha «[…] ottenuto
tanta fortuna ideologica e politica forse proprio perché […] appare funzionale
al nuovo mondo dell’Europa borghese: un mondo che smorza le individualità
attraverso un processo di socializzazione e si priva quindi di senso»(4).
La “confessione” di Raphaël all’amico Émile abbonda di
descrizioni fondamentali per conoscere il personaggio, la sua vita con il
padre, la perdita delle sostanze a causa di investimenti sbagliati, la povertà,
quei tre anni vissuti in una misera soffitta, l’incontro con Rastignac e quindi
l’ingresso nell’alta società, la vita mondana a fianco di Fœdora. Il racconto
retrospettivo di Raphaël è la storia di una caduta senza possibilità di
redenzione; in questo caso non c’è stata la conversione morale che abbiamo
trovato in Adolphe, non c’è stato il
passaggio da una vita di errori, dalla faiblesse,
a una presa di coscienza, a una consapevolezza che dia un senso alla storia.
Raphaël racconta solo per rispondere a una semplice domanda: perché stavo per suicidarmi? Per questo deve
percorrere la sua vita a ritroso di alcuni anni fino all’incontro con Émile sul
lungo Senna, raccontando la storia della sua caduta dal Cielo alla débauche, da una vita monacale dedita
agli studi a una vita di dissolutezze. Nel romanzo l’effetto del reale è efficace,
Balzac immette il personaggio nella storia. La “confessione” di Raphaël si
svolge dentro il festino offerto dal banchiere Taillefer in occasione della
fondazione di un giornale che dovrà essere di supporto alla monarchia
costituzionale, addirittura un giornale che viene fondato «[…] dans le
but de faire une opposition qui contente les mecontentes, sans nuire au gouvernement
National du roi-citoyen»(5).
La descrizione dei convitati che Émile mostra a Raphaël in un salone
risplendente di dorature e di luci (un pittore, uno scultore dal volto rude,
uno scrittore, un caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla bocca mordace, un
altro scrittore che s’intrattiene con un poeta, un musicista che consola in si bemolle un politico caduto dalla
tribuna senza farsi male, due o tre scienziati, parecchi scrittori di «vaudevilles»,
addirittura un sentenzioso che non si stupisce mai di niente, «[…] qui se
mouche au milieu d’une cavatine aux Bouffons»)(6), oltre a rispecchiare
magnificamente l’atmosfera di un saturnale della Parigi dei primi ottocento, rappresenta
una delle innumerevoli descrizioni “deboli” che precedono scene dense di senso.
La descrizione dell’ambiente si trattiene su ogni particolare e gesto: dopo
l’atmosfera creata dai convitati, il narratore si sofferma sull’anfitrione,
quindi su una fugace apparizione di un cameriere in nero che apre le porte di
una vasta sala da pranzo descritta attraverso lo sguardo di Raphaël: seta e oro
dovunque che tappezzano l’appartamento, ricchi candelabri con numerose candele
che illuminano e mettono in risalto i particolari di fregi dorati, le
cesellature dei bronzi e i colori della mobilia; fiori rari ben disposti e
profumati. Dopo una pagina circa di commenti a quella magnificenza, la
descrizione prosegue “nel mostrare” la tavola imbandita vista attraverso
l’ammirazione di ogni convitato: innanzitutto
la tavola è bianca «[…] comme une couche de neige
fraîchement tombée»(7) e
sopra si trovano i coperti disposti simmetricamente e coronati da panini biondi:
quindi inizia l’elenco degli oggetti posti sopra la tavola: cristalli che
rispecchiano i colori dell’iride, candele che incrociano all’infinito le loro
luci, vivande sotto cupole d’argento che aguzzano appetito e curiosità.
Dopodiché vengono portati il vino di Madera e la prima portata, che introducono
l’inizio del saturnale con i suoi spezzoni di dialogo sempre più frantumato via
via che i commensali perdono in lucidità. Quando il narratore introduce l’
“arrivo” della frutta, ormai la descrizione degli oggetti non passa più
attraverso i convitati, capaci soltanto di avere una vaga intuizione dello
spettacolo che si presenta ai loro occhi. È il narratore stesso che descrive la
fruttiera colma di cesti di fragole, ananassi, datteri, uve di ogni tipo,
melagrane, frutti cinesi, e infine la pasticceria. Sublime anche la descrizione
dell’ harem, delle ragazze che
attendono i convitati in un’altra stanza:
De petits pied étroits parlaient
d’amour, des bouches fraîches et décentes jeunes filles, vierges factices dont
les cheveux respiraient une religieuse innocence, se présentaient aux regard
comme des apparitions qu’un soufflé pouvait dissiper (8)
Anche la seconda parte del romanzo abbonda di parti
descrittive, di catalisi, che servono a preparare le scene più drammatiche, oltre
che ad alimentare il contesto della storia. Un contesto “imbevuto” di realtà,
che è anzi esso stesso un effetto di realtà formato da un’infinità di
particolari, di gesti, di comportamenti, in cui domina la ricchezza e la
ridondanza dei significanti, e in cui le descrizioni si susseguono l’una
incastrata nell’altra a un ritmo incalzante, quasi parossistico. L’attenzione
per il particolare, per la precisione delle descrizioni, dell’analisi dei
tratti di un volto, la cura con cui spesso l’autore abbina un carattere o una
professione a un tratto fisico (il caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla
bocca mordace) o a un gesto (il sentenzioso che si soffia il naso), risulta
fondamentale per inquadrare tanto la società che “circonda” il protagonista,
quanto la “teatralità” di certi “nuclei” narrativi.
1. Franco Moretti, L’anima e le cose, in Realismo ed effetti di realtà nel romanzo dell’Ottocento, Bulzoni 1933 p. 33
2. Roland
Barthes, L’effet de réel, in Le Bruissement de la langue, Seuil 1984, pp
167-174
3. Honoré
de Balzac, La Peau de chagrin, Gallimard 1974, p. 137
4. Franco Moretti, L’anima e le cose, cit., p. 34
5. Honoré de Balzac, La Peau
de chagrin, cit., p. 70
6. Ivi, p. 76
7. Ivi, p. 79
8. Ivi, p. 98