L’azione si svolge sulla superficie e personaggi, oggetti,
eventi paiono galleggiare in una zona ristretta dove l’immagine è a fuoco
mentre la profondità di campo si perde in un magma indistinto, per cui la
distanza svanisce nello sfuocato e le cose si confondono , i dettagli
svaniscono, le persone perdono consistenza; la loro esistenza, fino a poco
prima fondamentale per il plot si esaurisce anche quando rimangono inquadrate
per un attimo, ma ormai inessenziali alla dinamica del racconto. I film della sophisticated comedy trascurano la
distanza, ciò che importa è focalizzare l’attenzione sulla superficie perché nel
profondo la nebbia esaurisce ogni possibilità di redenzione (il cinema non
affranca bensì sequestra). Questa perdita della nitidezza colpisce soprattutto
gli oggetti, che devono pur rimanere in scena, mentre i personaggi o spariscono
dietro una porta del fondale o escono fuori campo dalle quinte laterali. Nel
film ovviamente, quando la scena cambia, gli attori si trovano all'istante nel
fuori campo (come quando escono di scena nella stessa sequenza) ma rimangono
sempre presenti nella mente dello spettatore. Sono ancora reali perché la loro
immagine permane nella mente e agiscono, parlano, vivono oltre il nostro controllo.
Il fuori campo rimane pur sempre parte essenziale della nostra vita e non ci
stupiamo se il cinema riprende questa caratteristica dello sguardo. Sappiamo
che Larry vive senza sosta il suo dramma anche quando la mdp riprende Carlotta
che sgrida il suo cagnolino per la pipì liberata nel corridoio dello stesso
albergo dove alloggiano Larry e Paola. Ma osservare i tendaggi, i tavoli, i
modellini delle imbarcazioni, i quadri posizionati in uno sfondo evanescente e
difficile da decifrare (che l’occhio non riuscirà mai a rendere nitido come nel
mondo reale), senza nemmeno simulare uno sguardo naturale (nel senso che quando
osservo un paesaggio gli oggetti a me vicini sono sfuocati), destabilizza il
cosiddetto naturalismo del film. Gli oggetti in particolare si avvicinano alla
superficie per l’uso che ne viene fatto: un telefono, una spazzola, una
cornice. Quando invece sono abbandonati a se stessi, e la mdp si allontana,
ecco che si squagliano, si assottigliano svanendo nell’indistinguibile. Senza
la profondità di campo la recitazione diviene «[…] frammentata nei piani e
contropiani», mentre i dialoghi devono rispettare «l’unicità dei campi sonori»
(1). Eppure questa “frammentazione”, oltre a rimodulare la recitazione (i movimenti
continui dei personaggi con i raccordi degli sguardi) e i movimenti di
macchina, soffermandosi sul dettaglio, ingrandisce a avvicina gli oggetti alla
superficie come in una macrofotografia dove tutto il residuo è fuori fuoco. Questo
contrasto tra oggetto nitido e ingrandito nel particolare e oggetto relegato
nel magma dello sfuocato accentua la distanza dal naturalismo relegando il
mondo a una immaginaria verosimiglianza che riflette l’arte e il pensiero del
regista. Il cinema prende il sopravvento sul mondo determinando definitivamente
una sua precisa e ineccepibile realtà, un suo mondo, con le sue regole e i suoi
stilemi. Il mondo della pellicola è un altro mondo strutturato in modo da
amplificare la verosimiglianza nel trascinare lo spettatore all’interno. Pertanto
gli attori prendono il sopravvento sul personaggio; non è Larry Renault che
osserviamo in scena ma Jonh Barrymore e così la grande attrice non è Carlotta
Vance ma Marie Dressler . Lo star system
si perfeziona e comincia il suo periodo migliore. Al cinema andiamo per veder
recitare in Pranzo alle otto la bellissima Jean Harlow e l’affascinante Magde Evans di cui conosciamo
già vita, morte e miracoli.
1. Edoardo Bruno, Pranzo alle otto, il Saggiatore, Milano 1994, pag. 60
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