Jin intaglia timbri e Ran cuce abiti. Non si sono mai conosciuti ma entrambi hanno una storia alle spalle di cui ancora combattono il ricordo lui ancora disperatamente innamorato della sua ex-ragazza, Ran invece detesta il suo ragazzo che ha da poco lasciato. Una notte lui sogna di provocare un incidente e lei da sonnambula lo provoca davvero, pur perdendone il ricordo. Da quel momento tra i due si crea un legame difficile da comprendere, che avrà effetti devastanti.
È per opposizioni e paradossi che, anche nell’ultima opera di Kim ki-duk, ci viene mostrato un angolo di esistenza, dove aporie coesistono e creano equilibrio con le rispettive conseguenze. Ran e Jin sono gli opposti che creano l’equilibrio di un meccanismo fisico e mentale, entrambi reduci da due diverse esperienze d’amore. Ciò che è umano, ciò che è presente sia nel nostro corpo che nella nostra mente diventa materia concreta. Il corpo così, diventa timbro da intagliare, dove incidere le espressioni e pulsioni, ed è proprio sul corpo che inizia e finisce l’indagine sul vissuto dei personaggi. Per quanto la forte natura onirica del film sia di derivazione fruediana, ovvero dove sono i desideri dei personaggi a manifestarsi e a scontrarsi rispettivamente, questi non possono e non devono prendere il soppravvento. Il sogno non sembra collocarsi come luogo ultimo dell’appagamento, ma ne evidenzia delle soglie tra luoghi, una mediazione tra la realtà ed un luogo “altro” è che per molti aspetti proprio l’amore indissolubilmente legato alla morte, ad essere identificato come “altro” come rispettivo gioco delle parti. La dottoressa sottolinea nel film; soltanto se entrambi s’innamorassero, i disturbi di sonnambulismo cesseranno. La spazialità dei luoghi è di natura pittorica, e la scarsa presenza di costatanti movimenti di macchina o di spezzettare la visione per creare senso, cedono il passo alla forza del quadro, che spesso diventa astratto come nei momenti in cui la violenza sul corpo inizia a diventare insostenibile per entrambe le parti allora tutto scivola in questo “spazio d’altrove”, un dirottamento improvviso dallo spazio reale ad un altro spazio di tipo mentale che nel film sono dei luoghi ben precisi, luoghi dove si riscopre se stessi e chi si ha accanto; nel primo caso la scena nel campo di grano dove le rispettive coppie sono legate dall’evidente abbigliamento di colore bianco e nero, il secondo luogo è il tempo buddista e il terzo è il raggiungimento di questo luogo ghiacciato, statico come in un limbo. In questo senso ho trovato una sorta di percorso dell’amore. L’amore non è un sentimento, e di per se non lo è mai stato, quest’ultimo è qualcosa di astratto, che non ha una tangibilità vera, i personaggi che sono spinti dai soli sentimenti finiscono sempre per fraintendersi, agire, parlarsi e urlarsi su piani di realtà differenti; lui che sogna di far l’amore con la sua ex ragazza e lei che da sonnambula raggiunge il suo detestato ex per fare l’amore dimostra appunto questo, ma i due protagonisti legati oniricamente , hanno un dialogo che è ridotto allo stretto necessario, caratteristica costante quello del mutismo esistenziale, dell’inadeguatezza della parola, come pesci dentro acqua che non vediamo, scoprono la loro unione senza sapere ancora cosa realmente sia. E’ ciò che accade nel tempio buddista dove tutto sembra fermarsi, e si mette alla prova la capacità di attesa verso l’atro, quanto si è disposti ad aspettare. si ama non a causa di un sentimento, ma a causa di un legame corporale, che diventa sacrificio ed è grazie a questo l’amore diventa una realtà altra ma paradossalmente concreta. L’ultimo luogo, il fiume ghiacciato, l’acqua si e solidificata trattenendo con se ciò che c’era dentro. S’intaglia se stessi fino alle estreme conseguenze, ma solo ed esclusivamente per amore dell’altro.