I “nuclei teatrali”, le parti forti, sono fondamentali nei
romanzi di Balzac, sono tentativi di scavare sotto la realtà e di portare alla
luce l’autentico dramma, di scovare i conflitti che operano sotto l’apparenza,
e in particolare in questo racconto, di portare alla luce le forze occulte. «Le
azioni, i gesti, rimandano a una serie di
interrogativi tesi a scoprire i significati impliciti. La voce narrante
non si limita a descrivere» (1) i gesti. Il narratore effettua una pressione
costante sul reale per costringerlo a fare emergere tutto ciò che sta dietro. E
può raggiungere il suo scopo formulando ipotesi, anche le più fantastiche. Il
semplice gesto di consegnare un cappello può scatenare una reazione a catena.
Lo sconosciuto che entra nella sala da gioco è già in trappola, mette in gioco
se stesso, la sua stessa vita. In questa prima parte l’azione si svolge in
maniera singolare: è spezzata da interrogativi, interventi d’autore,
descrizioni. L’usciere della sala da gioco diventa metafora di un vita
dissoluta, è l’incarnazione del Gioco, è un cerbero che scorta le anime
dannate, ma è anche un «conseil vivant». Se lo sconosciuto fosse riuscito a
vedere al di là delle apparenze, forse sarebbe ritornato sui suoi passi.
L’usciere viene descritto mentre compie dei gesti (prende il cappello al
giovane, gli consegna un gettone numerato). Non è un vero e proprio
personaggio, ma un “tipo” ignobile; nel suo sguardo un «[…] filosofo avrebbe
veduto le miserie dell’ospedale, il vagabondare di gente in rovina,
l’istruttoria ad una folla di asfissiati, i lavori forzati a vita e le
deportazioni al Guazacoalco» (2). Circa due pagine dopo lo sconosciuto entra
nella sala (paragonata a un’arena per via dei suoi muri ricoperti da una carta
bisunta, di un pavimento sudicio, a causa di semplici sedie di paglia pigiate
intorno a un tappeto logorato dall’oro e disposto su una tavola oblunga) dove
si trovano alcuni giocatori. Entra nell’arena, fa il suo ingresso sotto lo
sguardo indagatore del pubblico (i giocatori). Ci sono tre vecchi calvi seduti
intorno al tappeto verde, che stanno impassibili ad osservare con i loro volti
di gesso; c’è un italiano assorto nel gioco che forse ascolta i presentimenti
segreti, cioè gli assensi o i dinieghi su una puntata; infine sette od otto
spettatori in piedi che seguono la scena. Questi uomini in piedi sono il
pubblico attento che è paragonato dal narratore allo stesso pubblico che
assiste immobile all’esecuzione di una sentenza di morte in Place de la Grève. Questa scena è molto
interessante perché somiglia a una sequenza cinematografica. Infatti, leggendo
attentamente il testo, è possibile ricavare la seguente situazione: lo
sconosciuto ENTRA NELLA SALA, ci sono già dei GIOCATORI, DESCRIZIONE dei
giocatori, i giocatori si VOLTANO quando lo sconosciuto entra nella sala. In un
primo momento ho avuto la sensazione che lo sconosciuto sia entrato due volte
nella sala, ma riflettendo mi sono reso conto che la scena debba essere
immaginata come osservata da due differenti punti di vista: in un primo momento
il punto di vista è quello dello sconosciuto che subito dopo avere aperto la
porta vede l’arredamento della stanza, i giocatori, il tavolo con tappeto
verde, raccolti in un unico quadro (un campo lungo); ma immediatamente la
macchina da presa viene spostata dall’altra parte della stanza, dove stanno gli
“spettatori” e lo sguardo del narratario coincide con quello degli stessi
personaggi (comparse). Da qui in poi la ripresa prosegue con la descrizione
dello sconosciuto, visto come un condannato a morte, filtrata attraverso le
impressioni che suscita negli spettatori. Balzac non poteva conoscere il
cinema, ma sicuramente aveva assistito a spettacoli melodrammatici. Il
Melodramma richiede l’azione eccessiva, i contrasti evidenti tra i personaggi,
quindi i «[…] romanzi sfociano in momenti di confronto […] nei quali un
contenuto significativo immenso perviene alla rappresentazione melodrammatica.
Lo stile vien così concepito come drammatizzazione della realtà ed
accentuazione dell’effetto» (3). A guardar bene tutta la storia di Raphaël è
melodrammatica, perché la scelta di una vita dissoluta, di una vita che
sconfigge la quotidianità in una lotta continua contro i mostri che si celano
dietro le apparenze, una vita vissuta al di sopra dei propri mezzi, è la scelta
di un dramma continuo, per cui un semplice gesto della donna amata, un semplice
rifiuto, o una semplice richiesta di fiori, si trasformano in situazioni
estreme in cui Raphaël si muove a fatica. Gli oggetti, le azioni più banali, i
vestiti stessi che indossa, diventano allora portatori di senso; non sono
semplici “effetti” di realtà, ma nascondono qualcos’altro, in altri termini
“significano”. È questo eccesso di significato che determina il dramma. Lo
spessore delle cose aumenta e persino il gesto di dare la mancia a un facchino
provoca una tensione tutta melodrammatica. I vestiti che Raphaël indossa
potrebbero tradirlo nei confronti di Fœdora. In particolare un cappello tenuto
con cura, non nuovo, ma ancora passabile. Raphaël non ha i soldi per pagare una
carrozza e tutte le volte che torna dal palazzo di Fœdora alla sua soffitta è
costretto a percorrere un lungo tratto a piedi; ecco allora che un banale
temporale può compromettere tutto:
Pour comble de malheur, la pluie
déformait mon chapeau. Comment pouvoir aborder désormais une femme élégante et
me présenter dans un salon sans un chapeau mettable ! Grâce à des soins
extrêmes, et tout en maudissant la mode niaise et sotte qui nous condamne à
exhiber la coiffe de nos chapeaux en le gardant constamment à la main, j’avais
maintenu le mien jusque-là dans un état douteux. Sans être curieusement neuf ou
sèchement vieux, dénué ou très soyeux, il pouvait passer pour le chapeau d’un
homme soigneux ; mais son existence artificielle arrivait à son dernier
période, il était blessé, déjeté, fini, véritable haillon, digne représentant
de son maître. Faute de trente sous, je perdais mon industrieuse élégance (4).
Qui un cappello acquista una valenza melodrammatica, si
riempie di significato: una volta rovinato dalla pioggia e non sostituito
farebbe risaltare l’indigenza di Raphaël.
1. Peter Brooks, L’immaginazione melodrammatica, Pratiche Editrice, p. 15
2. Honoré de Balzac, La pelle di zigrino, TEA 1992, p. 4
(traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)
3. Peter Brooks, L’immaginazione melodrammatica, cit., p. 149
4. Honoré
de Balzac, La Peau de chagrin,
Galllimard 1974, pp. 173-174
L'immagine è tratta dal film omonimo di Alain
Berliner del 2010
Nessun commento:
Posta un commento