Dopo le didascalie che introducono il periodo storico appare il nostro pianeta blu visto dallo spazio, un'immagine conosciuta, un pianeta che nella realtà quotidiana non è possibile vedere nella sua totalità, perché la nostra prospettiva appartiene al dentro e la vista dal fuori può essere solo supposta oppure accertata con l'ausilio di foto scattate dallo spazio e oggi persino con Google Earth. Sulla superficie, visti dall'abisso della distanza, somigliamo a una miriade di formiche che si muovono freneticamente e si agitano, si industriano, discutono, litigano, combattono, si uccidono. La verità astronomica, oggi naturale ed ovvia, che si trova al di là dell'apparente esperienza empirica, è un fatto matematico, è la scienza, presuppone la capacità di uscire dal proprio corpo e "volare" con la mente nello spazio. Anche il cinema richiede la capacità di astrarre e di costruire, di comprendere il rapporto tra le immagini e le geometrie all'interno dell'inquadratura. Vedere il parabolano che cammina velocemente nel fuoco, quasi come un impacciato prestigiatore che non convince nessuno, esclusi i cristiani di Alessandria, equivale ad accettare una prospettiva storica e a domandarsi: noi a cosa avremmo creduto? Invece vedere il pagano bruciare, dopo essere stato gettato nelle fiamme, ci riallinea agli spettatori dell'agora: gli dei sconfitti non possono niente mentre il nuovo dio protegge le sue pecorelle. Ma la prospettiva del film è storica: oggi possiamo giudicare con maggiore serenità, perché conosciamo gli eventi e perché sappiamo che Ipazia era una scienziata che non credeva a ciò che vedeva bensì a ciò che poteva ricostruire con la ragione. L'occhio viene facilmente ingannato da quello che vede mentre la mente si rifiuta di credere a forze che certamente esistono anche se non sono visibili a occhio nudo. A volte servono strumenti (microscopi, telescopi), e soprattutto può servire un punto di vista onnisciente, e nel caso di un film sulla vita di un'Astronoma, serve uno sguardo dal cosmo. Mentre Oreste suona il flauto doppio nel teatro in onore di Ipazia, lo sguardo distante, sereno, osserva la Terra, osserva Alessandria del V secolo. La prospettiva non è solo quella di un dio: è anche un viaggio nella mente di una donna che non poteva (visti i mezzi dell'epoca) "vedere" la rotazione delle sfere celesti, ma che "sapeva" discernere e ricostruire. Lo spazio extraterrestre, con vista sulla Terra e il suo satellite, sono il locus amoenus di noi spettatori, sono la nostra platea. Non ci troviamo seduti nel teatro di Alessandria a seguire le storie d'amore e di morte e gli scontri tra le varie fazioni, ci troviamo piuttosto in un'altra epoca e sappiamo quanto in fondo potremmo trasformarci in formiche piene d'odio. Amenábar non vuole raccontarci la barbarie dei parabolani che uccidono una donna, perché nell'epilogo la mdp si allontana dall'agora per farci intuire più che mostrarci il momento in cui i cristiani fecero a pezzi la scienziata. La realtà storica è ancora peggiore: Ipazia fu squartata con le conchiglie (forse cocci di tegole). Eppure ad Amenábar interessa mostrare la verità e per questo è sufficiente ascendere, assumere il punto di vista onnisciente, mentre l'inganno, la prestidigitazione, è nelle cose terrene, si trova nell'oscurantismo e nel dogma. Il film mostra il percorso dell'errore che diventa legge, ossia credere alla fissità della "scrittura", anziché alla mobilità della ragione e del sentimento. I cristiani rimpiccioliti dalla plongée che sciamano tra l'agora e i templi, dopo la distruzione della biblioteca, sembrano formiche che escono dal nido per una battaglia. La sensazione è amplificata dalla velocità dei movimenti di quei "punti neri" che brulicano in ogni dove. Oltre a una distanza spaziale (una visione innaturale per l'epoca) si aggiunge una distanza temporale (le "formiche" che velocizzano i movimenti). L'accelerazione del tempo preannuncia la sequenza di una nuova visione dal vuoto: si vedono sulla destra la Grecia e l'Anatolia con il nord posto sulla base dell'inquadratura, poco sopra Creta e Cipro e l'Egitto con il delta del Nilo. Il Mediterraneo è mostrato per metà in un unico colpo d'occhio. Il mare sembra una pozzanghera. Gli uomini si schierano in fazioni e si uccidono solo per affermare le loro verità quando l'Immenso dei loro occhi è infimo fango calpestato da un gigante:
Dopo essersi riposati un poco, mangiarono per colazione due montagne, cucinate abbastanza bene dai loro servitori. Poi vollero esplorare il piccolo paese dove si trovavano.[...] Siccome quei forestieri camminavano abbastanza presto, fecero il giro del mondo in 36 ore [...]. eccoli così tornati al punto da cui erano partiti, dopo aver visto quella pozza, quasi impercettibile per loro che chiamiamo Mediterraneo [...] (1)
Per Micromega, abitante di Sirio, il Mediterraneo era solo una pozzanghera e per il saturniano che lo accompagnava (un nano rispetto al siriano) era appena più grande. In un mondo così piccolo ai loro occhi era impossibile scorgere certe pulci microscopiche chiamati uomini e per il nano (l'abitante di Saturno) sulla Terra non c'era nessuno. Ma Micromega "[...] gli fece capire , educatamente, che non era un bel modo di giudicare, perché, diceva, «voi non vedete, coi vostri piccoli occhi certe stelle di cinquantesima grandezza che io vedo molto chiaramente: concludete perciò che quelle stelle non esistono?» (2)
Questa inquadratura dallo spazio divide la narrazione in due parti: la prima è come una lunga introduzione e racconta l'avvento del cristianesimo ad Alessandria e la perdita della biblioteca; la seconda parte descrive il cambiamento nei costumi che diventano più morigerati, il consolidamento del potere dei parabolani e del Vescovo Cirillo e la debolezza del prefetto Oreste (convertitosi al cristianesimo) e infine i fatti che portano alla morte di Ipazia. Una zumata ingrandisce le regioni e si focalizza in una zona poco distante dal delta del Nilo dove, tra la palude Mareotide e il Mediterraneo, si trova la città di Alessandria. Adesso sono visibili gli edifici e quello che è rimasto della biblioteca, la mdp attraversa una finestra e inquadra la camera ardente del vescovo Teofilo appena morto. Quindi il nipote Cirillo prende il suo posto. La sequenza seguente ci mostra l'aggressione agli ebrei riuniti a teatro. Le pietre scagliate contro di loro sono pietre scagliate contro l'arte. Dopo la distruzione della scienza (la biblioteca del Serapeo) adesso tocca all'arte (il teatro). La struttura del film segue questa contrapposizione: da una parte immagini dall'alto e dallo spazio come simbolo di prospettiva storica portatrice di verità e di conoscenza (i fatti della storia come, ad esempio, le persecuzioni contro altri famosi scienziati e filosofi tra i quali Giordano Bruno e Galileo Galilei), nonché le sequenze che mostrano un'Ipazia scienziata, libera pensatrice, unica donna tra tanti uomini che vuole affermare il proprio diritto di pensare e di lavorare; dall'altra lo sciamare del fanatismo, sequenze di uomini che impongono la propria visione del mondo soprattutto con la violenza e distruggono la libertà. In Agora dominano il chiaro e lo scuro (3) che non sono una forma di manicheismo per crittografare e separare i buoni dai cattivi ma una scelta formale per dividere la scienza dall'oscurantismo, la conoscenza dall'ignoranza. Intorno vi sono le sfumature del grigio, i dubbi e gli errori anche dei colori chiari. Alessandria stessa d'altronde è bianca e dietro si staglia infinito il bianchissimo deserto. Le nubi della stratosfera, viste dall'alto sono bianche. In altri termini il bianco, il chiaro, non sono simbolo di bene e serenità bensì di ricerca e sofferenza, consapevolezza del dubbio, paura e sconforto; rappresentano la debolezza dell'uomo (Oreste che teme Cirillo e prega Ipazia di convertirsi, il Vescovo Sinesio che rimprovera Oreste per non essersi inchinato al cospetto di Cirillo). Il nero e l'oscurità al contrario rappresentano la forza della certezza, l'assenza del dubbio (la Terra è piatta), la semplificazione eccessiva (ogni cosa è già scritta nei testi sacri), ma anche il cliché (le cose sono come le vediamo) e l'inganno (la magia che scaturisce da un dio protettore). Interessante notare che Ipazia a volte porta vestiti scuri: probabilmente perché la sua è la certezza nella forza della ragione, una sorta di ragionamento di tipo illuminista e positivista ante litteram. Agora è un film che non mostra la pietà per l'uomo (e questo credo rispettando il senso del concetto di bene per l'uomo antico), cerca al contrario di dare il senso della perdita e della sconfitta. Allontanando la mdp nel momento in cui la salma di Ipazia viene lapidata per poi essere tagliata a pezzi (e questo immagino per rifuggire dal cattivo gusto) Amenábar preferisce mostrare la stessa immagine dell'incipit di una Terra vista dallo spazio come contrappunto dello sguardo di Ipazia che osserva per l'ultima volta il cielo prima di morire soffocata. Grande è il rammarico per la perdita di una donna (peraltro gravissima come tutte le morti violente di ogni tempo), e soprattutto per un'occasione persa.
Questa inquadratura dallo spazio divide la narrazione in due parti: la prima è come una lunga introduzione e racconta l'avvento del cristianesimo ad Alessandria e la perdita della biblioteca; la seconda parte descrive il cambiamento nei costumi che diventano più morigerati, il consolidamento del potere dei parabolani e del Vescovo Cirillo e la debolezza del prefetto Oreste (convertitosi al cristianesimo) e infine i fatti che portano alla morte di Ipazia. Una zumata ingrandisce le regioni e si focalizza in una zona poco distante dal delta del Nilo dove, tra la palude Mareotide e il Mediterraneo, si trova la città di Alessandria. Adesso sono visibili gli edifici e quello che è rimasto della biblioteca, la mdp attraversa una finestra e inquadra la camera ardente del vescovo Teofilo appena morto. Quindi il nipote Cirillo prende il suo posto. La sequenza seguente ci mostra l'aggressione agli ebrei riuniti a teatro. Le pietre scagliate contro di loro sono pietre scagliate contro l'arte. Dopo la distruzione della scienza (la biblioteca del Serapeo) adesso tocca all'arte (il teatro). La struttura del film segue questa contrapposizione: da una parte immagini dall'alto e dallo spazio come simbolo di prospettiva storica portatrice di verità e di conoscenza (i fatti della storia come, ad esempio, le persecuzioni contro altri famosi scienziati e filosofi tra i quali Giordano Bruno e Galileo Galilei), nonché le sequenze che mostrano un'Ipazia scienziata, libera pensatrice, unica donna tra tanti uomini che vuole affermare il proprio diritto di pensare e di lavorare; dall'altra lo sciamare del fanatismo, sequenze di uomini che impongono la propria visione del mondo soprattutto con la violenza e distruggono la libertà. In Agora dominano il chiaro e lo scuro (3) che non sono una forma di manicheismo per crittografare e separare i buoni dai cattivi ma una scelta formale per dividere la scienza dall'oscurantismo, la conoscenza dall'ignoranza. Intorno vi sono le sfumature del grigio, i dubbi e gli errori anche dei colori chiari. Alessandria stessa d'altronde è bianca e dietro si staglia infinito il bianchissimo deserto. Le nubi della stratosfera, viste dall'alto sono bianche. In altri termini il bianco, il chiaro, non sono simbolo di bene e serenità bensì di ricerca e sofferenza, consapevolezza del dubbio, paura e sconforto; rappresentano la debolezza dell'uomo (Oreste che teme Cirillo e prega Ipazia di convertirsi, il Vescovo Sinesio che rimprovera Oreste per non essersi inchinato al cospetto di Cirillo). Il nero e l'oscurità al contrario rappresentano la forza della certezza, l'assenza del dubbio (la Terra è piatta), la semplificazione eccessiva (ogni cosa è già scritta nei testi sacri), ma anche il cliché (le cose sono come le vediamo) e l'inganno (la magia che scaturisce da un dio protettore). Interessante notare che Ipazia a volte porta vestiti scuri: probabilmente perché la sua è la certezza nella forza della ragione, una sorta di ragionamento di tipo illuminista e positivista ante litteram. Agora è un film che non mostra la pietà per l'uomo (e questo credo rispettando il senso del concetto di bene per l'uomo antico), cerca al contrario di dare il senso della perdita e della sconfitta. Allontanando la mdp nel momento in cui la salma di Ipazia viene lapidata per poi essere tagliata a pezzi (e questo immagino per rifuggire dal cattivo gusto) Amenábar preferisce mostrare la stessa immagine dell'incipit di una Terra vista dallo spazio come contrappunto dello sguardo di Ipazia che osserva per l'ultima volta il cielo prima di morire soffocata. Grande è il rammarico per la perdita di una donna (peraltro gravissima come tutte le morti violente di ogni tempo), e soprattutto per un'occasione persa.
(1) Micromega in: Voltaire, Candido Zadig Micromega L'ingenuo, Garzanti, Milano 1973 p. 178.
(2) Ib.
(3) Semplificando: il bianco e il nero.