I
colori dei Cheongsam, mescolati e sommati di abito in abito, determinando un
ritmo di ellissi che evocano una languida sensualità dei momenti assenti –
nel senso che il ricordo di Su si
afferma nella sua visione pubblica relegando la sua intimità in una
frammentazione di non visto (ellissi) e visione disturbata (specchi, oggetti,
fuori fuoco) – accompagnano le passeggiate della signora Chang nei vicoli di
Hong-Kong fino al negozio dei noodles ove acquistare il cibo. Le zuppe citate
nei dialoghi sono consumate nel non
visto eppure si affermano come centro del percorso da seguire per conoscere gli
aspetti reconditi degli incontri fuori programma tra Su e Chow. Un percorso di zuppe, tra un’ellissi e
l’altra, costruisce un’emotività dell’assenza, o meglio decostruisce il
classico schema narrativo (con le sue quattro fasi canoniche: manipolazione,
competenza, performance e sanzione) fino a spolparne ogni evidenza che poi spesso in tanto cinema è solo
una forma collaudata di verosimiglianza per indurre dipendenza da appagamento;
in questo senso il primo incontro, la psicologia dei personaggi, il conflitto
dell’incipit, le pseudo-differenze caratteriali o culturali, la nascita
dell’amore tra i due personaggi, il ruolo degli oppositori, le traversie e
quindi il coronamento dell’amore per un epilogo spesso da happy end diventano
istanze deboli, evanescenti, improbabili.
L’inquadratura al ralenti della parte inferiore del corpo di Su
(soffermandosi sui colori del qipao di turno e sulla gamella di latta)
sottolinea la forza della scelta di scavare all’interno del momento infinti
istanti che si accumulano, si affastellano, si collegano come in un puzzle al
fine di comporre non un quadro unitario, ma un’ipotesi di storia con la serie
di camminate per un’andata e ritorno dal negozio dei noodles. Passeggiate e
relativi incontri tra i due personaggi del film non rappresentano pertanto l’apice
di una storia (come si incontrano, come si trovano, come iniziano ad amarsi).
Le camminate diventano soprattutto un’espressione linguistica, denotano un
costrutto: il linguaggio che entra in campo e si mostra in primo piano per
definire il suo stesso affermarsi. È la struttura (sempre presente ovviamente
in ogni testo) che qui indebolisce la trasparenza della storia mostrandoci
tutta l’opacità e il turbamento del visibile. In tal modo, ad esempio, ciò che conta non è l’incontro tra i due
personaggi, quanto la zuppa in sé (zuppe tra l’altro mai mostrate), “oggetto”
che definisce una scansione disturbata del tempo. L’atemporalità che ne deriva sancisce
un modus operandi che trascina gli anni sessanta (ad esempio) nell’oggi, il
1962 e il 2000 diventano un inutile punto di riferimento, un modo per affermare
la forza di un’opera che non ha tempo.
Il tempo non è lineare quanto caotico e gli orologi mostrati in primo
piano nel film non indicano un’ora precisa, ma il vano tentativo di ordinare e
controllare l’istante. La memoria al contrario (per non parlare del sogno)
accatasta, unisce o disunisce, smembra o ricompone porzioni distanti di tempo,
parvenze lontane di temporalità perduta o ritrovata (1). Ritornando alle zuppe,
adesso mi interessa evidenziare il procedimento spettacolare utilizzato da
Kar-wai. L’incontro tra Su e Chow, ad esempio, non avviene subito. In una prima
sequenza vediamo Su che va ad acquistare la zuppa quindi Chow che si reca al
negozio dei noodles, ma i due non si incontrano (o almeno si incontrano nel
fuori campo) in quella che sembra la stessa sequenza. La sig.ra Chang torna poi al negozio e qui, lungo il vicolo,
incontra Chow. I qipao indossati della donna sono diversi: un salto temporale.
Ma dove è avvenuto? Nel mondo reale? Nei sogni di Chow? Nel suo ricordo? In
un’altra sequenza sembra che Su e Chow non si incontrino. La mdp si sofferma un
attimo a inquadrare una lampada del vicolo (già mostrata nella prima sequenza
dell’acquisto al noodles shop): luce fissa che illumina prima l’oscurità, poi
la pioggia che comincia a scendere copiosa (la pioggia è un’altra serie che
sarebbe interessante analizzare). Questo è il motivo che permette a Chow di
ritornare sui suoi passi, perché per non bagnarsi deve ripararsi sotto l’arcata
del vicolo. Su, causa la pioggia,
rientra al noodles shop. Nonostante le premesse (quanto cinema farcito di
luoghi comuni ha fatto incontrare due innamorati causa un temporale
improvviso?) lo stratagemma della pioggia non è servito a niente: la pioggia
non è la causa dell’incontro, e la sequenza non realizza un significato nel
sintagma ma rimane immobile nel suo stesso nulla, isolata in un tempo non
sottomesso all’immagine azione. La pioggia pertanto è una serie che non
contribuisce a formare un significato immediato – anzi lo allenta – in quanto
non ci è permesso conoscere l’incontro tra i due innamorati, né udire le parole
che si sono detti. In questo caso la pioggia deve navigare in altri lidi, mentre
spetta alla moltiplicazione di tre componenti la formazione del senso profondo
dell’incontro tra Su e Chow. Dopo l’inquadratura di Su, seduta nel negozio di
noodles in attesa che spiova, vediamo l’inquadratura della strada bagnata e poi
Su e Chow che stanno salendo insieme le scale della casa della signora Suen. E
il qipao di Su è sempre lo stesso. In questo caso il qipao ha ricucito
un’ellissi, il salto temporale è stato breve, legato ad una discontinuità
spaziale (noodles shop, strada, scale della casa della sig.ra Suen). Ciò che in
molti casi ha formato una sorta di atemporalità, adesso ha compromesso pure
questa certezza. È come se il qipao avesse ostacolato la zuppa, formando un
tipo diverso di ellissi. Anche in questo caso l’atemporalità si muove fra non
visto, non detto e salti irregolari e destrutturanti di tempo. Inoltre il suono
dello Yumeji’s Theme di Shigeru Umebayashi, che scandisce e
accompagna le sequenze del noodles shop, contribuisce ad allentare le forze
intense della narrazione lasciando scivolare i movimenti e i comportamenti di
Su e Chow in una terra senza tempo. Il tempo insomma diventa (come nei film
della Nouvelle Vague) un tempo senza senso, un tempo qualunque, che non ha
punti di riferimento, che non aiuta a ricostruire un principio e una fine, che
non parte da e non arriva a nessuna parte. Eppure il senso profondo delle
sequenze, nel loro decomporsi e ricomporsi nella casualità, s’ingigantisce
restituendo allo sguardo l’intensa, atemporale, vastità di un amore. Di una
poesia.
(1)
Interessante sarebbe ampliare questa ipotesi alla luce della Recherce di
Proust, putroppo devo ironicamente ammettere che “non ne ho il
tempo”.