Il cinema contemporaneo di qualità ci ha insegnato a giocare con il passato utilizzando filmico e profilmico come pezzi di "reale" di pari dignità. Intendo dire che oggi il cinema, oltre a mettere in opera uno sguardo ontologico sul mondo che ci avvolge, recupera inquadrature e sequenze di grandi film del passato che sono ormai entrate a far parte dell'immaginario collettivo. Da qui ne deriva l'aspetto ludico ossia la tendenza a giocare con l'arte del passato cercando di riproporla in un diverso contesto spazio-temporale. Questi riferimenti a sequenze di vecchi film arricchiscono il testo di significati ulteriori trascinando nel plot anche i propri significati originari e influenzando il "gioco" in atto. Lo spettatore, oltre a divertirsi nel cercare di "indovinare" il contesto originale storico, riesce più o meno consapevolmente a intuire l'esplosione esponenziale di nuovi significati e pertanto il senso globale dell'opera si allarga allo spazio circostante occupando nuovi territori: prende campo l'idea che cercare di definire e "incasellare" il messaggio dell'artista (ciò che vuole dire) sia un'operazione riduttiva. Chi gioca tende anche a trascinare nel game il proprio vissuto, ma soprattutto tende a deformarlo per adattarlo ad una personale visione del mondo. Questi aspetti positivi e interessanti, che meriterebbero un'analisi più approfondita della presente lettura, incontrano però dei limiti. Aumentando i livelli di esposizione al gioco (citazioni e immagini di mondo che si aprono su altre citazioni e immagini) si corrono dei rischi. Il gioco resta stimolante fin quando il giocatore riesce a mantenere ferma la sua attenzione: il sogno lucido e condiviso ha valore solo se la volontà rimane focalizzata e vigile. L'interprete-spettatore corre il rischio, evidenziato da Nolan, di confondersi e di non essere più in grado di operare distinzioni. Il mancato riconoscimento dei vari livelli di realtà equivale a trasferire nuclei semantici da un livello all'altro che potrebbero danneggiare la capacità critica e analitica. Rimanere sempre desti non significa rinunciare al gioco e al sogno proprio perché gioco e sogno rimangono due aspetti fondamentali della vita interiore, carburante utile per affrontare in condizioni ottimali lo “scontro” con i pezzi di una realtà quotidiana che risulta sempre più parcellizzata, caotica, e priva di senso. L'arte deve anche essere gioco, deve decostruire per rimontare ma deve anche evidenziare la falsità dei dogmi e i dubbi che dobbiamo tenere presenti di fronte alle invadenti ricostruzioni e interpretazioni monolitiche degli eventi propinateci dai media controllati dal potere. Con questo non voglio prendere in considerazione un discorso politico sulla società, ma evidenziare come l'arte abbia sempre portato avanti una visione alternativa o differenziata da quella del potere. Questo discorso rimane impreciso perché qui mi interessa focalizzare l'attenzione su altri aspetti. Ma lasciarsi andare credendo al mondo che ci viene mostrato può essere anche una cura peggiore del male. Credere che non esistano alternative al mondo dell'artista è un po' come rimanere schiavi della roulette di un casinò: giochiamo e perdiamo e ogni volta raddoppiamo la posta per recuperare tutti i soldi persi e se per caso dovessimo vincere punteremmo ancora l’intera posta per guadagnare sempre di più ottenendo soltanto una definitiva sconfitta. Questo gioco ci trascina in un incubo senza uscita: ci giochiamo lo stipendio, i gioielli di famiglia, i mobili, la nostra stessa vita. Alcune citazioni di Inception sono particolari perché non badano solo a intrattenere e stupire in quanto contengono come dei “filamenti” critici, dei modelli conoscitivi che tendono a superare l'abisso labirintico del mondo Escheriano in cui rischiamo o abbiamo rischiato di rimanere invischiati nel credere troppo in questo nuovo tipo di immagini seriali, risultato di un cocktail che comprende frammenti di storie e di sogni. Il pericolo di rimanere incastrati in questi mondi fantastici può essere superato con un semplice oggetto (una trottola o qualcos'altro) per ricordarci sempre del nostro corpo addormentato sulla sedia di un cinema che è magari situato in un quartiere dove hanno sfrattato famiglie non abbienti. Due citazioni in particolare mi hanno colpito emotivamente, ma senz'altro ve ne sono altre molto più interessanti.
1) Il ralenti delle esplosioni degli oggetti di Zabriskie Point.
1) Il ralenti delle esplosioni degli oggetti di Zabriskie Point.
Il ralenti delle esplosioni nell’epilogo di Zabriskie Point, al suono di Careful with That Axe, Eugene dei Pink Floyd, conclude e sottolinea una tragedia compiuta. Gli oggetti della vita quotidiana, ormai divenuti status symbol, indici di ricchezza e manufatti che catturano l’ambizione e il desiderio degli uomini, determinando le differenze tra le classi sociali e le razze, “devono” essere distrutti, annichiliti in una caleidoscopica sequenza di scatenato luddismo. Come ho scritto in uno dei primi post di questo blog, riferendomi a Zabriskie Point: “ il fallout di scatolette, auto, elettrodomestici ridotti in pezzi, obbliga lo sguardo a sostare sull'immagine, a contemplare i colori e le reliquie di un'epoca senza futuro. Ogni pezzo di reale che cola giù dallo schermo è un pezzo non ricostruibile, non assemblabile. La realtà si dissolve nell'immagine stessa ed è irrecuperabile” (1). Il ralenti di Antonioni è un “pensiero” che deve suscitare in noi una riflessione critica o per lo meno una preoccupazione per un mondo che sta perdendo la sua densità. Gli oggetti che esplodono devono essere osservati al ralenti perché solo in questo modo è possibile accelerare e accostare la loro disgregazione fisica alla disgregazione morale di un mondo esploso in mille pezzi: oggetti non intesi come manufatti prestigiosi, ma assimilabili al ciarpame da discarica, lo stesso ciarpame che infesta ogni attività dell’uomo contemporaneo. La coeva arte concettuale analizza questi aspetti cercando di uscire dalla dittatura dell’oggetto (materiali, tele, bronzi, crete) per rifiutare un mercato (aste, quotazioni, investimenti) che riesce ad annichilire la vera fonte dell’arte: l’idea e la riflessione che annullano il manufatto. E il nostro pensiero alla fine coincide con quello di Daria che se ne va con l’auto dopo aver guardato la villa ancora intatta: nulla è accaduto se non nella sua mente. In Inception non c’è tutto questo. L’utilizzo del ralenti, che evidenzia le esplosioni di oggetti e palazzi della via parigina, non è finalizzato alla conoscenza degli oggetti e del loro mancato riconoscimento, ma è orientato a mostrare la spettacolarità di un sogno lucido, teso a stupire lo sguardo che scorre da una visione “naturalistica” (la gente seduta ai tavolini dei caffè) a una visione “stupefacente” (il mondo che esplode senza che nessun passante rimanga coinvolto nella tragedia). Proprio perché gli esseri viventi non ne sono coinvolti, la spettacolarità si attenua, l’uomo rimane escluso dal disastro, non soccombe, è come se vivesse in un’altra dimensione e avesse ancora la possibilità di recuperare la sua umanità. Altrimenti vi sarebbe stata spettacolarizzazione dell'evento nel mostrare l’esplosione e la disintegrazione della carne. Il “filamento” è in questo caso il tentativo di evidenziare anche una violenza che può colpire all’improvviso in ogni luogo e chiunque (terrorismo, rapine, bombardamenti). L’oggetto non è aggredito, non viene messo a nudo e non c’è neppure il tentativo di raccontare la debolezza dell’uomo, ma c’è un incipit, c’è il desiderio di affrontare la surmodernità con determinazione, per non subirla o almeno per tentare di conoscerla senza subirla.
2) Il sottopasso pedonale del ponte Bir-Hakeim di Ultimo tango a Parigi.
Nel film di Bertolucci la sequenza viene mostrata nell’incipit quando ancora Jeanne e Paul sono due sconosciuti al momento ignari che si incontreranno nello stesso appartamento messo in affitto. Entrambi cercano un luogo “nuovo”, un ambiente dove abbandonare la loro vita precedente, ma Paul è lontano, assorto nei propri pensieri, poi sapremo, per la perdita della moglie; sta camminando sulla strada pedonale del ponte Bir-Hakeim. È talmente rapito dalla sua disperazione da non vedere neppure una ragazza che gli passa accanto. La plongé mostra Paul sulla sinistra dell’inquadratura mentre sulla destra è posta la più vicina, rispetto al nostro punto di vista, delle colonne in ferro che sorreggono la sopraelevata di Birk-Hakeim, le stesse insomma che vediamo in Inception. La mdp si avvicina dall’alto fino a mostrarci il capo piegato all’indietro (e che lascia così intravedere parte del volto) di Paul. Le mani portate agli orecchi per non sentire il frastuono del treno che sta passando poco più sopra e l’immediato urlo di Paul sono indizi di una disperazione in atto sottolineata da uno splendido PP di Paul sempre intento a tapparsi le orecchie mentre sta abbassando il capo. Svanito il frastuono comincia a camminare lentamente sulla passeggiata pedonale. L’immagine mostra Paul ripreso in PP e il fuori fuoco delle colonne del Bir-Hakein, nonché, a distanza, la figura intera di una donna, ancora immersa nello sfuocato, che si sta avvicinando. Quindi un campo lungo del ponte e poi Paul che è stato raggiunto dalla donna: lui sembra stia per piangere, lei si tiene il cappello con la mano destra; passandogli accanto, si volta lentamente per guardarlo; poi riprende a guardare in avanti fino ad avvicinarsi alla mdp: si tratta di Jeanne, una giovane donna apparentemente tranquilla. Adesso la situazione si è rovesciata: Jeanne è ripresa sulla sinistra in PP mentre Paul rimane indietro allontanandosi nel fuori fuoco del campo lungo posto sulla destra dell’immagine. Questa breve sequenza di un solo minuto, completamente senza dialoghi, è piena di segni che inducono lo spettatore a riflettere: l’uomo ha un problema grave, è talmente disturbato da non sopportare il rumore del treno che scorre in alto sui binari, talmente fuori “fuoco” da non vedere una bella ragazza che si volta per guardarlo. È un uomo di mezza età che vuole solo poter morire. Mentre Jeanne, la sua apparente fioritura, è ancora sfumata, distante. Per il momento il nostro sguardo non riesce quasi a scorgerla nell’indistinta passeggiata pedonale, nella selva dei piloni che sorreggono la sopraelevata. Paul è sulla sinistra finché non viene affiancato dalla donna. Adesso è Jeanne a entrare nella zona nitida dell’immagine mentre Paul rimane indietro, scomparendo quasi nell’indistinguibile selva delle colonne in ferro. Pare trasandato nel vestire, o meglio è ben vestito, ma i suoi abiti sono anch’essi fuori sintonia, indossati male; nel complesso rendono l’idea di uomo perduto. Lei al contrario pare sofisticata, si tiene un cappello con la mano per timore di vederselo portare via dal vento; indossa vestiti raffinati, forse appartengono a una donna di buona famiglia borghese, che non può avere niente in comune con l’uomo. Eppure… eppure si volta, lo ha visto; quell’uomo deve sembrarle così strano. La passeggiata dell'incipit è la metafora del film: nella prima parte Paul conduce il gioco, comanda la donna con la “violenza” della sua disperazione, trascinandola all'interno di un rapporto amoroso al di là di ogni limite; in seguito Jeanne lo raggiunge, lo supera, accetta di “subire” per poi imporre il suo stile. La sequenza (bellissima) è una anticipazione sintetica del loro rapporto che sta per nascere, un rapporto d’amore e morte, disperazione e deformazione del senso, come nei quadri di Bacon su cui scorrono i titoli di testa. Ogni aspetto della sequenza presuppone lo sguardo attento e vigile dello spettatore, il suo senso critico, la sua capacità di rimanere desto al fine di comporre il quadro. In Inception non è così; innanzi tutto vi sono dei dialoghi, soprattutto le domande di Cobb e la sua preoccupazione per il fatto che Ariadne abbia ricostruito un pezzo di realtà all’interno di un sogno; poi vi sono alcuni passanti, proiezioni convergenti del subconscio, che possono diventare pericolosi, ostacoli imprevedibili che distraggono lo sguardo, lo deviano su altre rotte al fine di catturare i sensi dello spettatore; infine sopraggiunge Mal, si materializza per uccidere Ariadne che si sveglia di soprassalto. La passeggiata sul passaggio pedonale non è la medesima e lo spettatore può permettersi molte distrazioni. Abbiamo già avuto modo di vedere Mal che in questa sequenza appare anche nel ricordo di Cobb; infatti mentre lui cammina dietro ad Ariadne, sulla passerella pedonale del ponte Bir-Hakeim, rivede se stesso abbracciato a Mal: sono entrambi appoggiati a una balaustra con vista sulla Senna proprio ai lati dello stesso sottopassaggio pedonale del Ponte Bir-Hakeim. Un ricordo all’interno di un sogno. In Ultimo tango a Parigi non siamo ancora stati informati dei motivi della sofferenza di Paul , non conosciamo le implicazioni e neppure Bertolucci è tentato di mostrare il ricordo di un tempo passato tra Paul e sua moglie, perché vi sono già troppi dati sulla scena, tutto è lasciato al montaggio e all’espressività degli attori: Paul e Jeanne non si conoscono e non dialogano, tutto deve essere estrapolato dallo sguardo vigile, critico. In Inception lo sguardo deve essere accalappiato, deformato, trascinato nel gorgo senza fondo. Cobb dapprima si trova dietro Ariadne e poi la supera, ma non basta, l’equilibrio viene spesso rotto dai rispettivi controcampi (prima Ariadne davanti a Cobb, rimasto indietro, inquadrati con carrellata a precedere, poi ripresi dal dietro con carrellata a seguire e di conseguenza Cobb “davanti”, più vicino alla mdp, e Ariadne “dietro”). La sequenza è frastagliata, piena di indizi che non sono veri indizi, perché non rimandano a una storia o a un “qualcosa” che accadrà, non informano ma affermano. Questa sequenza potrebbe vivere di vita propria, essere una sorta di cortometraggio in cui un uomo segue una donna e questa donna poi viene uccisa dalla moglie gelosa dell’uomo credendoli amanti. Paul e Cobb hanno perso entrambi la moglie ma mentre Paul esprime la sua disperazione nel mondo, Cobb l’ha apparentemente codificata in un labirinto mentale: il labirinto di Paul è nel fuori, all’esterno, lascia indizi per ricostruire gli eventi, educa lo spettatore a raccogliere la sfida. Nel contempo la disperazione di Cobb è interiorizzata, abbandonata nello stupore tutto postmoderno che deve soprattutto catturare l’attenzione. Nel primo caso vi sono i segni per sperimentare un’emozione, nel secondo l’emozione è fine a se stessa, ingigantisce per trascinarci nel carosello. Ma ritengo però che in Inception vi siano anche dei “filamenti” che escono dal manierismo per (o tentare di) stabilire un altro status della visione: quei “filamenti” sono i piloni che definiscono una location e soprattutto la vita che pullula nella prima parte della sequenza (prima della rottura dello specchio le vie erano deserte), i passanti che restituiscono il senso di un’apparente, eppure ricostruibile, “normalità”. In altri termini vi sono indizi che permettono di capire il rapporto tra i due “amici”. Anche il rapporto è a tre come in Ultimo tango e c’è una moglie defunta ma mentre nel film di Bertolucci il senso del film è raccolto e si incarna nei movimenti, nei vestiti e nelle espressioni dei protagonisti (non nel dialogo, non nel pensiero – focalizzazione esterna) in Inception ci è data la possibilità di controllare tutto (focalizzazione zero) di prevedere tutto senza alcuno sforzo; eppure qualcosa di impalpabile sfugge, qualcosa di vago, di indefinibile: nel mondo sur-moderno oltre alla liquefazione dei rapporti ci sono appigli per resistere, per ricostruire un evento ancora da conoscere basandosi su semplici dati: Ariadne sta a Cobb come Jeanne sta a Paul ma ad un livello diverso, più morbido insomma, più delicato, più abbozzato. Questa passeggiata è allo stesso tempo onirica, coinvolgente, finalizzata a trascinare dentro il Luna Park, ma allo stesso tempo cerca espellere lo spettatore dal gioco, rimettendo tutto in discussione. In altri termini: è solo una coppia che sta litigando? E’ solo un uomo che corre dietro a una donna? È intollerabile vedere il primo piano di una donna apparentemente indifferente e soddisfatta seguita da un uomo che sembra preoccupato per lei. Estrapolando questo brevissimo spezzone di sequenza (circa quaranta secondi, anche meno se si escludono i due flash di Cobb che si vede insieme alla moglie Mal nello stesso luogo) potremmo quasi trovarci in un film della Nouvelle Vague fino almeno al momento in cui i passanti circondano Cobb e Ariadne. La spinta centrifuga che cerca di espellere lo sguardo è molto forte, non densa, ma decisa, un accenno che tracima e indica un evento da venire.
1) Mi si scusi per l’autocitazione, ma tenevo a specificare che queste parole sono state riprese pari pari da una delle mie prime recensioni postate su questo blog riguardante Zabriskie Point e che risale ormai al luglio del 2007.
1) Mi si scusi per l’autocitazione, ma tenevo a specificare che queste parole sono state riprese pari pari da una delle mie prime recensioni postate su questo blog riguardante Zabriskie Point e che risale ormai al luglio del 2007.