Spazio e tempo. Liverpool
vs Princeton-New York; ossia le mura del quartiere operaio salgono in alto, le
gru e le navi del cantiere inquadrate dal basso, i vialetti, i miseri
giardinetti dei vicoli si restringono accostandosi a Jude che cammina per
recarsi al cantiere navale; vedi al contrario i grandi spazi di Princeton,
l’Università con i giardini, il campo di rugby, i parchi-bosco, persino le
inquadrature di New York con i grattacieli distanti inquadrati per evidenziare l’ampiezza delle
piazze e delle vie e le strade di Brooklyn. La verticalizzazione di una città
prettamente orizzontale qual è Liverpool opposta al respiro orizzontale di un
paese immaginato come verticale. La claustrofobia opposta all’agarofobia
assecondate dai virtuosismi e dagli arrangiamenti metaforici della musica dei
Beatles, unica scelta per “rappresentare” un’epoca, un simbolo, un mito. Questo
per dimostrare che non siamo seduti a “osservare” la Storia , ma solo una storia
(la storia d’amore tra Jude e Lucy), siamo
seduti a vedere un musical, genere in cui la musica domina sul dialogo e che
particolarmente in Across the Univers
si sostituisce pressoché al dialogo amplificando il senso delle parole delle
canzoni dei Beatles. Il musical cresce immagine dopo immagine, sequenza dopo
sequenza, atto a ristabilire il senso storico di eventi cristallizzati nel
tempo evocati per dispute sul “bisogno” di guerra o sulla forza pregnante di un
pacifismo ormai sbiadito. Il musical suscita la percezione di un’epoca per
concentrasi sull’oggi. Across the Univers
gioca con gli anni sessanta per fare riflettere sulla debolezza tangibile di un
oggi abituato a digerire guerra dopo guerra, genocidio dopo genocidio, persino
l’indignazione e lo stupore: scandalo dopo scandalo la routine ha annichilito
le coscienze.
C’erano una volta i
Beatles. Questa splendida musica è rielaborata e trasformata non per adattare
il senso di un’epoca ai bisogni dell’oggi ma per recuperare un’atmosfera, un
sapore perduti, allo scopo di disarticolare l’idea che ci siamo fatti di anni
lontani (mitici, ma scoloriti, dimenticati) dalla certezza storica di un
accaduto irripetibile: il Vietnam, le manifestazioni pacifiste, le marce, i sit
inn, la polizia violenta come descritta in Fragole
e sangue di Stuart Hagmann, le pantere nere, la
guarda nazionale. Eppure tutto ciò accade ancora oggi e forse più spesso. È
assente caso mai il senso di una appartenenza. La disgregazione ha avuto il suo
effetto e per questo l’unica sola musica dei Beatles (33 brani), rivisitata
dagli arrangiamenti di Elliot
Goldenthal, comprende il rock and roll degli anni settanta, da Bob Dylan ai
Jefferson Airplane, ai Doors; tutto ciò per suscitare il senso della musica
dell’epoca. Ad esempio Let it be
cantata come un gospel evidenzia la metamorfosi di una musica che non era
quella (la melodia originale) ma che comprende tutta la musica dell’epoca, la
elabora, ne diviene simbolo, restituendo in pieno l’atmosfera di quegli anni.
Attraverso l’universo. “Limitless undying love which shines around me like a million suns/It
calls me on and on across the universe […]Nothing's gonna change my world” (1).
Questa musica, queste immagini, le
animazioni, il sound psichedelico, i colori “negativi” del viaggio che
debordano dai contorni delle forme per acquisire un loro status, ogni cosa
attraversa l’universo per farci ascoltare questa radiazione di fondo, questo
suono labile proveniente dal nostro passato per ricordarci che niente dovrà
cambiare il “nostro mondo” neppure le immagini e le sequenze costruite solo per
appagare la mente: illudere anziché eludere (2), elidere invece di esimere (3).
In altri termini si tratta di attraversare il film, testo-universo che descrive
un mondo immaginario, paradigmatico, in grado di strutturare un senso. Si
tratta di immedesimarsi nel contesto riconoscendo la musica dei Beatles come
unica musica ascoltata all’epoca non perché i Beatles rappresentino da soli un
periodo irripetibile. Secondo i miei gusti personali le band e i musicisti che
hanno segnato un’epoca sono numerosi (e Julie Taymor lo sa benissimo dimostrandolo
con i camei di Joe Cocker e Bono) eppure gli arrangiamenti di Goldenthal “trasformano” pezzi famosi
rilasciandoli nell’humus storico, nell’eco giunta fino a noi tramite letture
e/o ricordi, consegnando uno spaccato dell’America (e in parte
dell’Inghilterra) di quegli anni.
(1) “Amore senza fine né limiti mi splende intorno come un milione di soli/ Mi
chiama ancora e ancora per tutto l'universo […] Niente cambierà il mio mondo”.
(2) Mi riferisco a un certo tipo di cinema post-classico che vuole sempre e
comunque essere trasparente per illudere di vivere una storia anziché di
limitarsi a evidenziare almeno che sta in realtà prendendosi gioco dello
spettatore.
(3) Un cinema che cerca di annullare la coscienza mentre dovrebbe liberare lo
sguardo dall’obbligo di comprendere a ogni costo tutte le invenzioni
raccontate.
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