Guardare Elephant significa intraprendere un viaggio senza preoccuparsi del punto di arrivo, soffermandosi a scoprire l’altro lato degli oggetti, scoprire un punto di vista che si contrappone al nostro o, al limite, si propone come esperienza ottica diversa e “non concordante” con la nostra. Ci sono false piste, didascalie con nomi propri che potrebbero essere qualsiasi cosa, ma che non indicano niente, non informano sul personaggio. I nomi sembrano suddividere il film in capitoli, ma non si presentano come “confini”, perché le varie sequenze spesso li fagocitano, li aggirano e li espellono come oggetti sgraditi, insignificanti. Queste didascalie sono il tentativo di ordinare il caos, “spiegare” il flusso degli eventi, ordinare, coordinare, raccogliere (sono l’ultimo residuo dei miti?). Gli studenti vengono seguiti, raggiunti, aggirati dalla mdp nel loro percorso lungo i corridoi, la mensa, la biblioteca, i bagni, le varie aule della scuola, percorsi che non portano da nessuna parte se non nel loro stesso ineluttabile aggrovigliarsi. I vari segmenti narrativi si sovrappongono, si intersecano, si giustappongono. La stessa scena viene mostrata attraverso soggettive differenti (recuperate anche dopo molte sequenze), rivelando allo sguardo l’impossibilità di dare un senso logico persino al tempo. Flashback e/o flashforward non si strutturano cronologicamente né si pongono come aperture e chiusure di parentesi all’interno del plot principale (ma qual è in Elephant il plot principale?), ma fluttuano nel prima e nel dopo scompaginando il tentativo di formare una logica cronologia degli eventi. Così ad esempio, l’incontro in un corridoio tra Elias e John viene riproposto tre volte: nella prima sequenza la mdp segue John fino al suo incontro con Elias (un ragazzo che scatta foto con l’intento di crearsi un portfolio fotografico). Elias propone a John di farsi scattare una foto, John accetta dandosi una pacca sulla natica per accentuare il rumore del click della fotocamera. Nel frattempo sopraggiunge Michelle che, udito il suono della campanella, al momento di incrociare i due, si mette a correre. Michelle rientrerà in biblioteca e così farà Elias mentre la mdp continuerà a seguire John fin quando non uscirà dall’edificio. Dopo altri piani-sequenza e altri quindici minuti, la mdp segue Elias mostrando l’identico incontro, ma “rovesciato”, perché la semi-soggettiva assume il punto di vista di chi proviene da una direzione diametralmente opposta. Mentre prima John si trovava a sinistra ed Elias a destra dello schermo, adesso i due ragazzi sono in posizione simmetricamente invertita, come in un “ideale” controcampo che oserei definire temporale (quindi un oltre-controcampo). Ancora altri diciannove minuti circa di film e rivediamo l’incontro per la terza volta, ma stavolta il mondo viene scrutato tramite la semi-soggettiva di Michelle che ode la campanella e si mette a correre passando a lato dei ragazzi lasciati ai margini estremi del quadro e quasi indistinti nel fuori fuoco. Spesso infatti lo sfocato lascia ai margini le cose distanti e gli eventi che non compongono o non formano l’universo diegetico del personaggio mostrato di volta in volta da Van Sant. Adesso “sappiamo” (sapremo) che Michelle in pochi secondi giungerà in biblioteca (come pure farà Elias), luogo del loro destino. Nello stesso tempo John uscirà dalla scuola incontrando sul piazzale Eric e Alex in procinto di entrare nell’edificio. La “storia” di pochi minuti (forse cinque, dieci?) nel film viene dilatata dalla reiterazione delle sequenze mai uguali a se stesse. L’utilizzo del piano sequenza, oltre a dare una fluidità spaziale e ovviamente temporale (quasi non ci accorgiamo di “essere tornati indietro nel tempo”) offre la possibilità di abbandonare il “luogo” principale della rappresentazione. Intendo “luogo” come il personaggio o i personaggi che focalizzano l’attenzione, “vagando” e attardandosi nei vari meandri della scuola per mostrare oggetti, sale, attanti che non sono funzionali (apparentemente) alla rappresentazione. In altri termini il piano sequenza, oltre ad esprimere il punto di vista del personaggio focalizzato e mettere in evidenza i suoi centri di interesse (con un sapiente uso di immagini o totalmente sfocate o messe a fuoco grazie all’utilizzo di un obiettivo grandangolare), restituisce il senso reiterato ma in fondo “univoco” della mancanza di senso di ciò che sta accadendo. In pratica non sta accadendo niente. Il famoso piano sequenza di Brittany, Jordan e Nicole mi sembra esplicativo. Le tre ragazze sono seguite dalla mdp per circa cinque minuti di un unico piano-sequenza. Ma cinque minuti sono tanti e ascoltare le loro “chiacchiere” (sia acusmatiche che in sintonia con lo sguardo) può non essere interessante. In fondo le parole e i racconti delle tre amiche sono altri riempitivi, momenti che servono a rafforzare questo film di “cose”. Pertanto la mdp “abbandona” le ragazze, lasciandole di qua dal bancone del self service della mensa, mentre lo sguardo viene lasciato “libero” di “sbirciare” nei locali delle cucine, di osservare i cuochi per poi lasciarli nelle loro faccende al fine di riprendere lo status di semi-soggettiva delle studentesse giunte nel frattempo nella sala da pranzo. La mdp ce le mostra sedute, poi si allontana inquadrando John dall'altra parte della vetrata, colto nel momento in cui incontra Eric ed Alex (entrambi in procinto di entrare nell’edificio scolastico per attuare il loro piano). La sequenza termina quando Brittany, Jordan e Nicole entrano nel bagno, ossia nel loro spazio terminale, luogo di liberazione (vomitano il cibo appena consumato per rimanere attraenti) e di arrivo ulteriore. Perché un piano sequenza tanto “lungo”, perché tanti discorsi? La narrazione poteva proseguire in altri modi; sintetizzando queste sequenze in pochi quadri Van Sant avrebbe girato un cortometraggio. Eppure l’uscita dalla significanza qui è ottenuta attraverso una tecnica straordinaria, difficile e complessa da studiare. Mi limito ad osservare tre momenti: lo sfondo-mondo, la figura-insicura, i lemmi dell’inspiegabile.
Il mondo è la scuola, sono i corridoi, le aule, la mensa, sono gli altri che si muovono o stanno seduti muovendosi, sono le chiacchiere superflue, il mondo è il superfluo che naviga attorno al personaggio pedinato dalla mdp, spesso da dietro, a volte scavalcato e “seguito” dal davanti, sono le nuvole dell’incipit o quelle osservate da Michelle, sono le nuvole che tornano nell’epilogo. Il mondo è tutto quello che circonda il personaggio, spesso fuori fuoco, buttato ai margini della visione, quasi abbandonato nel perso del quotidiano. Ma a volte è perfettamente a fuoco, la scena è nitida, ripresa con un grandangolare e la persona “seguita” viene schiacciata nell’infinitesimo dell’insignificanza (es.: Michelle quando entra in palestra). I piani sequenza cercano di aggirare e di prendere questo mondo inspiegabile, raggiungerlo anche al di là dell’indistinto, dell’immagine fuori fuoco, un po’ come cercare una cornucopia ai piedi di un arcobaleno. Ma queste “catalisi” prive di nuclei sono un magma insuperabile. La spiegazione del perché è la stessa ricerca di un senso attraversando il non aggirabile dominio dell’inspiegabile.
I volti dei ragazzi ripresi in primo piano, che spiccano sul magma indistinto dello sfocato, che mostrano la loro perfetta giovinezza, la loro superflua bellezza (ma anche bruttezza), si muovono in cerca di un niente da fare: entrare e uscire, mangiare e vomitare, fotografare ed essere fotografati, insomma fare qualcosa e il suo contrario. Movimenti inspiegabili dove l’immagine del personaggio è l’unico dato che ci è consentito conoscere. In fondo non sappiamo niente di loro. Jonh ha un padre sbronzo (ma beve sempre oppure l’ha fatto solo “oggi”?), il preside si limita a fare il preside di tanti altri film ambientati in scuole americane. In cielo ci sono le nuvole come in tanti altri giorni. Non ci è dato che di vedere volti e corpi. E i personaggi diventano, nel loro procedere lento ed estenuante, incrociandosi e duplicandosi nelle stesse reiterate azioni, altri riempitivi, catalisi che si accumulano, altri dati superflui dell’inspiegabile. La figura si trasforma lentamente in un altro oggetto messo lì, casualmente, come una pedina nel gioco dell’oca. Dà l’impressione di sciogliersi nell’inquadratura successiva, la figura è una sagoma sin dall’incipit.
Le sagome possono tutt’al più indicare il loro ambiente. Queste “guide” a cui Van Sant affida il compito di illustrare gli eventi, in realtà non mostrano altro che la loro stessa presenza. Non si raccontano storie, non si introduce un prima, ma solo istanti di un prima, che isolati e coordinati dal tempo interagiscono con i vari spazi restituendo un amaro sapore di vita colta nell’attimo. Il senso di realismo non è dato tanto da una verosimiglianza che non possiede capacità di formare un modello (una ricostruzione anche metafisica degli avvenimenti), quanto da continui, non catalogabili effetti di reale, pezzi di mondo che non restituiscono modelli o delineano significati omologabili, ma “formano” ipotesi di ricostruzione, progetti di lavoro. Eppure questo inspiegabile giustapporsi della storia (mi riferisco agli avvenimenti del plot) non è svelato bensì ri-velato (nel senso di coperto ancora). Ri-velato nel senso di rielaborato, ricostruito, riprodotto. E questo prodotto artigianale (in quanto non seriale) si staglia al di sopra delle convinzioni e delle convenzioni, perché non esiste simmetria e neppure un punto di vista sicuro e obiettivo. Anche (per fare un esempio) l’incontro tra John e Elias non è lo stesso incontro reiterato da angolazioni diverse, ma sono due distinti “incontri” due “separati” non assemblabili incontri. La voluta imprecisione delle mani che si salutano, dei lievi movimenti del corpo, mostra differenze (ad esempio John, nella prima sequenza, si tocca le “parti basse” nel salutare Elias”, mentre nella seconda si limita a sfiorarle). L’inspiegabile è compreso (nel senso di circoscritto) in queste inalienabili differenze che restituiscono l’importanza di un mistero non “raccontabile”, ma da assorbire per induzione.
Il mondo è la scuola, sono i corridoi, le aule, la mensa, sono gli altri che si muovono o stanno seduti muovendosi, sono le chiacchiere superflue, il mondo è il superfluo che naviga attorno al personaggio pedinato dalla mdp, spesso da dietro, a volte scavalcato e “seguito” dal davanti, sono le nuvole dell’incipit o quelle osservate da Michelle, sono le nuvole che tornano nell’epilogo. Il mondo è tutto quello che circonda il personaggio, spesso fuori fuoco, buttato ai margini della visione, quasi abbandonato nel perso del quotidiano. Ma a volte è perfettamente a fuoco, la scena è nitida, ripresa con un grandangolare e la persona “seguita” viene schiacciata nell’infinitesimo dell’insignificanza (es.: Michelle quando entra in palestra). I piani sequenza cercano di aggirare e di prendere questo mondo inspiegabile, raggiungerlo anche al di là dell’indistinto, dell’immagine fuori fuoco, un po’ come cercare una cornucopia ai piedi di un arcobaleno. Ma queste “catalisi” prive di nuclei sono un magma insuperabile. La spiegazione del perché è la stessa ricerca di un senso attraversando il non aggirabile dominio dell’inspiegabile.
I volti dei ragazzi ripresi in primo piano, che spiccano sul magma indistinto dello sfocato, che mostrano la loro perfetta giovinezza, la loro superflua bellezza (ma anche bruttezza), si muovono in cerca di un niente da fare: entrare e uscire, mangiare e vomitare, fotografare ed essere fotografati, insomma fare qualcosa e il suo contrario. Movimenti inspiegabili dove l’immagine del personaggio è l’unico dato che ci è consentito conoscere. In fondo non sappiamo niente di loro. Jonh ha un padre sbronzo (ma beve sempre oppure l’ha fatto solo “oggi”?), il preside si limita a fare il preside di tanti altri film ambientati in scuole americane. In cielo ci sono le nuvole come in tanti altri giorni. Non ci è dato che di vedere volti e corpi. E i personaggi diventano, nel loro procedere lento ed estenuante, incrociandosi e duplicandosi nelle stesse reiterate azioni, altri riempitivi, catalisi che si accumulano, altri dati superflui dell’inspiegabile. La figura si trasforma lentamente in un altro oggetto messo lì, casualmente, come una pedina nel gioco dell’oca. Dà l’impressione di sciogliersi nell’inquadratura successiva, la figura è una sagoma sin dall’incipit.
Le sagome possono tutt’al più indicare il loro ambiente. Queste “guide” a cui Van Sant affida il compito di illustrare gli eventi, in realtà non mostrano altro che la loro stessa presenza. Non si raccontano storie, non si introduce un prima, ma solo istanti di un prima, che isolati e coordinati dal tempo interagiscono con i vari spazi restituendo un amaro sapore di vita colta nell’attimo. Il senso di realismo non è dato tanto da una verosimiglianza che non possiede capacità di formare un modello (una ricostruzione anche metafisica degli avvenimenti), quanto da continui, non catalogabili effetti di reale, pezzi di mondo che non restituiscono modelli o delineano significati omologabili, ma “formano” ipotesi di ricostruzione, progetti di lavoro. Eppure questo inspiegabile giustapporsi della storia (mi riferisco agli avvenimenti del plot) non è svelato bensì ri-velato (nel senso di coperto ancora). Ri-velato nel senso di rielaborato, ricostruito, riprodotto. E questo prodotto artigianale (in quanto non seriale) si staglia al di sopra delle convinzioni e delle convenzioni, perché non esiste simmetria e neppure un punto di vista sicuro e obiettivo. Anche (per fare un esempio) l’incontro tra John e Elias non è lo stesso incontro reiterato da angolazioni diverse, ma sono due distinti “incontri” due “separati” non assemblabili incontri. La voluta imprecisione delle mani che si salutano, dei lievi movimenti del corpo, mostra differenze (ad esempio John, nella prima sequenza, si tocca le “parti basse” nel salutare Elias”, mentre nella seconda si limita a sfiorarle). L’inspiegabile è compreso (nel senso di circoscritto) in queste inalienabili differenze che restituiscono l’importanza di un mistero non “raccontabile”, ma da assorbire per induzione.
41 commenti:
Noto con piacere che stai recuperando le migliori pellicole di Van Sant che io apprezzo moltissimo. Questo per me è un film davvero molto importante.
@Ale55andra. Sono d'accordo. Un film importantissimo. Forse il migliore di Van Sant dopo Gerry. (Tra questo e Gerry sono molto indeciso).
Qua qualcuno dovrebbe prendersi la briga di pubblicarti. Come sempre, il tuo post è molto interessante, magari fin troppo breve per contenere tutti gli spunti che dai.
Si, Gerry è persino superiore, il che significa che siamo a livelli quasi stratosferici.
Quel tuo concetto di "oltre-controcampo" è bellissimo. E questo film lo considero forse soltanto un capello inferiore a Gerry: grandissimo. Post come sempre illuminante.
Saluti, a presto
@Alberto. Un post lungo (purtroppo non riesco ad essere sintetico), ma in effetti troppo breve per approfondire i tanti spunti di questo splendido film. Ti ringrazio ;)
@Ale55andra. Entro pochi giorni dovrei postare alcune mie riflessioni su Gerry, un film che ho scoperto da poco tempo.
@Pickpocket. Grazie, sei sempre gentilissimo, ma è questo film ad essere talmente stimolante da suscitare (in chi lo guarda)riflessioni e pensieri sempre differenti. Un grande film (a parte Gerry che anch'io reputo appena appena superiore). Un caro saluto.
Questo è certamente il film di Van Sant che preferisco. Il momento in cui la sua ricerca dell'essenziale si sposa con un tema ad alto tasso "emozionale" e tuttavia prosciugato di ogni carica sentimentale. Niente come lo stile di Elephant può raccontare meglio ciò che è impossibile spiegare di quella strage. E lo rende bene proprio perché non cerca i motivi, ma mostra soltanto.
questo mi è piaciuto più di paranoid park, tuttavia non riesco ancora ad entrare nel mondo di van sant. probabilmente non lo capisco^^, riguarderò il film seguendo gli spunti della tua recensione.
@Noodles. Credo che mai siamo stati tanto in sintonia come per questo film. L'emozione della visione è intensa proprio perché tutto "sembra" così incredibilmente normale: uccidere come truccarsi allo specchio o vomitare nel bagno della scuola. E per tanto tutto diventa così tragico, incomprensibile e inenarrabile.
@Monia. Non si può sempre essere in sintonia con ogni regista. Capita di non entrare in un film o di non "allineare" il proprio spirito all'idioletto (o allo stile) di un regista. Questo capita a tutti. Se un film o un regista non piace, non piace. Ti stimo perché comunque dai sempre una possibilità anche ai registi che non apprezzi (infatti nonostante Paranoid Park hai visto anche Elephant). A breve dovrei postare Gerry, per me il suo miglior film. Grazie per la fiducia^^ A presto.
Ciao Luciano,
per mancanza di tempo (al solito è un gran tiranno) ora non riuscirei a leggere con la dovuta calma e attenzione questo post. Ci tornerò con più calma in futuro.
Ma volevo comunque cogliere l'occasione per informarti che ti ho assegnato uno dei [R]Evolution meme a mia disposizione.
Spero la cosa ti faccia piacere.
A presto!
@Mr.Hamlin. Mi fa molto piacere e ti ringrazio. Troppo gentile! Vengo dul tuo blog a leggere le motivazioni^^
Il miglior film di Van Sant probabilmente (visto una sola volta al cinema quando uscì), anche se mi manca ancora Gerry. E sono d'accordo su quello che dici soprattutto per quanto riguarda i personaggi/oggetti.
A questo punto aspetto la tua su Gerry.
@Roberto. Anche per me il migliore se si esclude Gerry (anche se Elephant è solo un "pizzico" sotto :)
Spero di poterla pubblicare presto. Ti ringrazio^^
a mio parere questo è il miglior film di gus van sant (lontano anni luce da quella porcheria di Will Hunting), ed una delle palme doro meglio attribuite nella storia del festival di cannes.
@Mario. Sono d'accordo. Un film bellissimo e Palma d'oro strameritata. Come avrai già letto per me è quasi alla pari di Gerry. Ma sono entrambi grandi film.
"che non portano da nessuna parte se non nel loro stesso ineluttabile aggrovigliarsi. I vari segmenti narrativi si sovrappongono, si intersecano, si giustappongono. La stessa scena viene mostrata attraverso soggettive differenti (recuperate anche dopo molte sequenze), rivelando allo sguardo l’impossibilità di dare un senso logico persino al tempo"
Ecco, in poche parole hai raccolto lo spirito di "Elephant". Ho visto questo film al cinema, e purtroppo non ho ancora preso in considerazione una seconda visione. E'uno di quei film che mi hanno fatto stare male, ho passato gli ultimi 20 minuti col groppo in gola, e sono uscito dalla sala frastornato e inquieto. Ma è un capolavoro, e devo assolutamente rivederlo.
"Gerry" invece devo ancora vederlo!
Ciao,
Lore
@Lore. Indubbiamente un film che fa soffrire. Ma è stupendo proprio perchè fa soffrire tramite la sua "neutralità". Grazie e a presto!
Immenso. E se si pensa che lo stesso anno fu anche l anno di Dogville...due apoteosi sull'animo umano.
MrDavis
@MrDavis.Siamo perfettamente in sintonia. Un film immenso mentre Dogville è un altro grande film.
Anche io credo sia il migliore film del regista.
Per questo non ho amato Paranoid Parl. Per quanto sia perfetto, pregevole, senza apparenti difetti, mi sembra un scimmiottare questo Elephant.
Con i silenzi, la superficialità delle azioni, il non spiegare il disagio perché il disagio non ha spiegazioni.
Elephant è già un capolavoro.
Ripetersi forse non serve a niente...
@Alicesu. Sono d'accordo su Elephant, forse un capolavoro. Paranoid Park invece mi è piaciuto meno, sempre un bel film , ci mancherebbe, ma presenta alcuni "difetti". Però non saprei dirti se Paranoid Park sia o meno una ripetizione di Elephant (dovrò rivedermi il film).
Sarò sintetito: no, non lo è! ^^
Iggy. Sicuramente da un punto di vista del discorso non lo è. Il guaio (o il vantaggio) per me è che Paranoid Park fa parte di quella ristretta schiera di film di cui sento il bisogno di ulteriori visioni. Appena ho tempo me lo rivedo. A presto ;)
Ciao! Ho letto ora questa bellissima "recensione" su Elephant e vorrei usarne dei pezzi in una tesi, chiedendone il permesso all'autore. Ovviamente citerei tutti i suoi riferimenti, se lui è d'accordo. Attendo risposta! Mille grazie!Olivia
Ti ringrazio per avermi chiesto il permesso. Naturalmente sono lusingato per la tua decisione di usare la mia recensione per la tua tesi e ovviamente acconsento.
In bocca al lupo!
^^
Luciano (Cinemasema)
Grazie davvero! Avrei però bisogno del tuo cognome per citarti. Olivia
@Olivia. Benissimo. Ti lascio il mio indirizzo:
lo.cinema@gmail.com
Attendo una tua mail. A presto!
P.P.è diverso da Elephant.Nel primo c'è il problema dell'oblio dava nti all'oceano con Alex che scrive quasi un "Delitto e Castigo" mentre nel secondo c'è l'alienazione dei due ragazzi che presi dalla comunicazione telematica perdono la visione del reale e uccidono con luci artificiali al neon....osservate uso della luce nel corridoio della scuola ela musica conclusiva di Beethoven....www.allospecchioconalice.splinder.com.-contattami, per favore!ciao
@Alice. Non ho ancora trovato il tempo di rivedere i film ma la tua osservazione è molto affascinante e mi trova d'accordo. Avevo dimenticato l'immagine di Alex davanti all'Oceano. Ricambierò presto la visita. Grazie!
Sono due film diversi sia nella fotografia sia nel contenuto....
PORTLAND OREGON.Alex,davanti all'oceano dell'oblio.....Lo stesso regista ha chiamato il suo film - DELITTO E CASTIGO AL LICEO- Alicedazero
@Alice. Senza dubbio "Delitto e castigo al liceo" è azzeccatissimo.
Ciao, non so come mettermi in contatto.Ho aderito all'iniziativa di Barnabò per il film AGORA.
Dalle mie parti è una guerra di religione,Luciano.ALICEDAZERO
@Alice. Grazie per l'informazione. Ero all'oscuro di tutto e spero di vedere presto il film su Hypatia che a questo punto mi incuriosisce non poco. (Scusami in questo perido frequento poco il web causa impegni impellenti di lavoro).
Sono Alice. Barnabò ha risposto a quello che nel commento su AGORA l'ha offeso ma mi ha inviato mail che ti inoltro domani.
utente è sergiofucchi su splinder....persona non degna di nota ma crede di avere in mano il sapere.vai a vedere.ciao
@Alice. Benissimo. Ti ringrazio per le informazioni. A presto^^
@luciano
Bernabò ha lanciato la petizione sul film AGORA ed è stato linciato da un blogger,SergioFucchi,a cui ha risposto dopo essere venuto in mio soccorso dopo avere messo post e petizione.
Il suo è un sito dove si parla di buon cinema e Roberto non merita tutti gli insulti che si è preso anche per difendermi.Andate a vedere....ha messo commenti in moderazione per cui potete commentare e dire la vostra da me,vi apro un post con locandina del film.www.allospecchioconalice.splinder.com
@Alice. Un altro periodo negativo mi tiene lontano dal web e purtroppo non sto nemmeno bene, ancora devo scusarmi per il ritardo. Sono stato da Bernabò e ho postato un commento e firmato la petizione. Ovviamente sono dalla vostra parte. Ho visto comunque sul tuo blog che ti sei chiarita con Fucchi. Questo mi fa piacere. Avrei commentato ma purtroppo non riesco a lasciare commenti. Grazie e a presto :)
Luciano, come non riesci a commentare ? come stai? ho chiarito perchè pareva di essere alla crociata del brancaleone....che ambientino !!!!!! sono dispiaciuta per roberto che è una persona meravigliosa ed è stato attaccato in maniera abnorme sia per difendere il film sia per me. alicedazero
mandami la tua mail, grazie!
@Alice. Purtropo non mi sono ancora rimesso e in questo epriodo frequento pochissimo il web, ahimé :( Concordo sulla tua opinione: Roberto è fantastico e scrive post stupendi. Inoltre mi trovo spesso in sintonia con lui. Sì, ti mando la mail che trascrivo anche qui lo.cinema@gmail.com. A presto.
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