28 maggio 2015

La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 3/5 Effetti di pre-cinema: il melodramma

I “nuclei teatrali”, le parti forti, sono fondamentali nei romanzi di Balzac, sono tentativi di scavare sotto la realtà e di portare alla luce l’autentico dramma, di scovare i conflitti che operano sotto l’apparenza, e in particolare in questo racconto, di portare alla luce le forze occulte. «Le azioni, i gesti, rimandano a una serie di  interrogativi tesi a scoprire i significati impliciti. La voce narrante non si limita a descrivere» (1) i gesti. Il narratore effettua una pressione costante sul reale per costringerlo a fare emergere tutto ciò che sta dietro. E può raggiungere il suo scopo formulando ipotesi, anche le più fantastiche. Il semplice gesto di consegnare un cappello può scatenare una reazione a catena. Lo sconosciuto che entra nella sala da gioco è già in trappola, mette in gioco se stesso, la sua stessa vita. In questa prima parte l’azione si svolge in maniera singolare: è spezzata da interrogativi, interventi d’autore, descrizioni. L’usciere della sala da gioco diventa metafora di un vita dissoluta, è l’incarnazione del Gioco, è un cerbero che scorta le anime dannate, ma è anche un «conseil vivant». Se lo sconosciuto fosse riuscito a vedere al di là delle apparenze, forse sarebbe ritornato sui suoi passi. L’usciere viene descritto mentre compie dei gesti (prende il cappello al giovane, gli consegna un gettone numerato). Non è un vero e proprio personaggio, ma un “tipo” ignobile; nel suo sguardo un «[…] filosofo avrebbe veduto le miserie dell’ospedale, il vagabondare di gente in rovina, l’istruttoria ad una folla di asfissiati, i lavori forzati a vita e le deportazioni al Guazacoalco» (2). Circa due pagine dopo lo sconosciuto entra nella sala (paragonata a un’arena per via dei suoi muri ricoperti da una carta bisunta, di un pavimento sudicio, a causa di semplici sedie di paglia pigiate intorno a un tappeto logorato dall’oro e disposto su una tavola oblunga) dove si trovano alcuni giocatori. Entra nell’arena, fa il suo ingresso sotto lo sguardo indagatore del pubblico (i giocatori). Ci sono tre vecchi calvi seduti intorno al tappeto verde, che stanno impassibili ad osservare con i loro volti di gesso; c’è un italiano assorto nel gioco che forse ascolta i presentimenti segreti, cioè gli assensi o i dinieghi su una puntata; infine sette od otto spettatori in piedi che seguono la scena. Questi uomini in piedi sono il pubblico attento che è paragonato dal narratore allo stesso pubblico che assiste immobile all’esecuzione di una sentenza di morte in Place de la Grève. Questa scena è molto interessante perché somiglia a una sequenza cinematografica. Infatti, leggendo attentamente il testo, è possibile ricavare la seguente situazione: lo sconosciuto ENTRA NELLA SALA, ci sono già dei GIOCATORI, DESCRIZIONE dei giocatori, i giocatori si VOLTANO quando lo sconosciuto entra nella sala. In un primo momento ho avuto la sensazione che lo sconosciuto sia entrato due volte nella sala, ma riflettendo mi sono reso conto che la scena debba essere immaginata come osservata da due differenti punti di vista: in un primo momento il punto di vista è quello dello sconosciuto che subito dopo avere aperto la porta vede l’arredamento della stanza, i giocatori, il tavolo con tappeto verde, raccolti in un unico quadro (un campo lungo); ma immediatamente la macchina da presa viene spostata dall’altra parte della stanza, dove stanno gli “spettatori” e lo sguardo del narratario coincide con quello degli stessi personaggi (comparse). Da qui in poi la ripresa prosegue con la descrizione dello sconosciuto, visto come un condannato a morte, filtrata attraverso le impressioni che suscita negli spettatori. Balzac non poteva conoscere il cinema, ma sicuramente aveva assistito a spettacoli melodrammatici. Il Melodramma richiede l’azione eccessiva, i contrasti evidenti tra i personaggi, quindi i «[…] romanzi sfociano in momenti di confronto […] nei quali un contenuto significativo immenso perviene alla rappresentazione melodrammatica. Lo stile vien così concepito come drammatizzazione della realtà ed accentuazione dell’effetto» (3). A guardar bene tutta la storia di Raphaël è melodrammatica, perché la scelta di una vita dissoluta, di una vita che sconfigge la quotidianità in una lotta continua contro i mostri che si celano dietro le apparenze, una vita vissuta al di sopra dei propri mezzi, è la scelta di un dramma continuo, per cui un semplice gesto della donna amata, un semplice rifiuto, o una semplice richiesta di fiori, si trasformano in situazioni estreme in cui Raphaël si muove a fatica. Gli oggetti, le azioni più banali, i vestiti stessi che indossa, diventano allora portatori di senso; non sono semplici “effetti” di realtà, ma nascondono qualcos’altro, in altri termini “significano”. È questo eccesso di significato che determina il dramma. Lo spessore delle cose aumenta e persino il gesto di dare la mancia a un facchino provoca una tensione tutta melodrammatica. I vestiti che Raphaël indossa potrebbero tradirlo nei confronti di Fœdora. In particolare un cappello tenuto con cura, non nuovo, ma ancora passabile. Raphaël non ha i soldi per pagare una carrozza e tutte le volte che torna dal palazzo di Fœdora alla sua soffitta è costretto a percorrere un lungo tratto a piedi; ecco allora che un banale temporale può compromettere tutto:
Pour comble de malheur, la pluie déformait mon chapeau. Comment pouvoir aborder désormais une femme élégante et me présenter dans un salon sans un chapeau mettable ! Grâce à des soins extrêmes, et tout en maudissant la mode niaise et sotte qui nous condamne à exhiber la coiffe de nos chapeaux en le gardant constamment à la main, j’avais maintenu le mien jusque-là dans un état douteux. Sans être curieusement neuf ou sèchement vieux, dénué ou très soyeux, il pouvait passer pour le chapeau d’un homme soigneux ; mais son existence artificielle arrivait à son dernier période, il était blessé, déjeté, fini, véritable haillon, digne représentant de son maître. Faute de trente sous, je perdais mon industrieuse élégance (4).
Qui un cappello acquista una valenza melodrammatica, si riempie di significato: una volta rovinato dalla pioggia e non sostituito farebbe risaltare l’indigenza di Raphaël.
1. Peter Brooks, L’immaginazione melodrammatica, Pratiche Editrice, p. 15
2. Honoré de Balzac, La pelle di zigrino, TEA 1992, p. 4 (traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)
3. Peter Brooks, L’immaginazione melodrammatica, cit., p. 149
4. Honoré de Balzac, La Peau de chagrin, Galllimard 1974, pp. 173-174


L'immagine è tratta dal film omonimo di Alain Berliner del 2010

Nessun commento: