24 maggio 2015

La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 1/5 effetto di realtà

«La prima [direzione] ci ha condotti» , scrive Franco Moretti, «all’appannamento delle opposizioni paradigmatiche, all’entropia, al processo di socializzazione; la seconda invece alla lievitazione del quotidiano, all’apertura dei riempitivi narrativi, al benessere. Il primo percorso riguarda, grosso modo, l’eroe realista. Il secondo, il mondo realista» (1). È un’affermazione che chiarisce, rettificandola, l’idea che sta alla base del saggio di Barthes (2): il significato viene espulso dal segno in quanto l’effetto di reale comporta la collusione tra significante e referente. Per Moretti nella retorica realista si ha un indebolimento di significato e non un’espulsione; quindi non c’è un realismo “interstiziale”, ma, per quanto riguarda in particolare il racconto, vi sono nuclei e catalisi, ossia momenti densi di significato, “zone” cruciali che producono senso, e zone riempitive che indeboliscono il senso. Il realismo ottocentesco si è liberato della narrazione di tipo epico-tragico, quella dei grandi eroi, dei grandi eventi, e si è arricchito della quotidianità (oggetti, gestualità, clima, geografia) quindi di zone più deboli della narrazione che “attenuano” i significati, ma creano “effetti di realtà”, zone che introducono la vita quotidiana nella letteratura. Una quotidianità fatta anche di corse sotto la pioggia, di cappelli rovinati dal temporale, di sarti che fanno credito a giovani pretendenti, di facchini che chiedono la mancia, persino di tazze colme di latte.

Je me souviens d’avoir quelquefois trempé gaiement mon pain dans mon lait, assis auprès de ma fenêtre en y respirant l’air, en laissant planer mes yeux sur un paysage de toits bruns, grisâtres, rouges,  en ardoises en tuiles, couverts de mousses jaunes ou vertes (3)

Questi “frammenti” di realtà sono fondamentali nei romanzi di Balzac, perché servono a determinare la storia narrata e a collocarla in contesti descritti minuziosamente; non sono fini a se stessi, né sono scenari immobili gettati nella storia solo per riempirla, sono al contrario parti neutre essenziali alla retorica realista che ha «[…] ottenuto tanta fortuna ideologica e politica forse proprio perché […] appare funzionale al nuovo mondo dell’Europa borghese: un mondo che smorza le individualità attraverso un processo di socializzazione e si priva quindi di senso»(4).
La “confessione” di Raphaël all’amico Émile abbonda di descrizioni fondamentali per conoscere il personaggio, la sua vita con il padre, la perdita delle sostanze a causa di investimenti sbagliati, la povertà, quei tre anni vissuti in una misera soffitta, l’incontro con Rastignac e quindi l’ingresso nell’alta società, la vita mondana a fianco di Fœdora. Il racconto retrospettivo di Raphaël è la storia di una caduta senza possibilità di redenzione; in questo caso non c’è stata la conversione morale che abbiamo trovato in Adolphe, non c’è stato il passaggio da una vita di errori, dalla faiblesse, a una presa di coscienza, a una consapevolezza che dia un senso alla storia. Raphaël racconta solo per rispondere a una semplice domanda:  perché stavo per suicidarmi? Per questo deve percorrere la sua vita a ritroso di alcuni anni fino all’incontro con Émile sul lungo Senna, raccontando la storia della sua caduta dal Cielo alla débauche, da una vita monacale dedita agli studi a una vita di dissolutezze. Nel romanzo l’effetto del reale è efficace, Balzac immette il personaggio nella storia. La “confessione” di Raphaël si svolge dentro il festino offerto dal banchiere Taillefer in occasione della fondazione di un giornale che dovrà essere di supporto alla monarchia costituzionale, addirittura un giornale che viene fondato «[…] dans le but de faire une opposition qui contente les mecontentes, sans nuire au gouvernement National du roi-citoyen»(5). La descrizione dei convitati che Émile mostra a Raphaël in un salone risplendente di dorature e di luci (un pittore, uno scultore dal volto rude, uno scrittore, un caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla bocca mordace, un altro scrittore che s’intrattiene con un poeta, un musicista che consola in si bemolle un politico caduto dalla tribuna senza farsi male, due o tre scienziati, parecchi scrittori di «vaudevilles», addirittura un sentenzioso che non si stupisce mai di niente, «[…] qui se mouche au milieu d’une cavatine aux Bouffons»)(6), oltre a rispecchiare magnificamente l’atmosfera di un saturnale della Parigi dei primi ottocento, rappresenta una delle innumerevoli descrizioni “deboli” che precedono scene dense di senso. La descrizione dell’ambiente si trattiene su ogni particolare e gesto: dopo l’atmosfera creata dai convitati, il narratore si sofferma sull’anfitrione, quindi su una fugace apparizione di un cameriere in nero che apre le porte di una vasta sala da pranzo descritta attraverso lo sguardo di Raphaël: seta e oro dovunque che tappezzano l’appartamento, ricchi candelabri con numerose candele che illuminano e mettono in risalto i particolari di fregi dorati, le cesellature dei bronzi e i colori della mobilia; fiori rari ben disposti e profumati. Dopo una pagina circa di commenti a quella magnificenza, la descrizione prosegue “nel mostrare” la tavola imbandita vista attraverso l’ammirazione di ogni convitato: innanzitutto  la tavola è bianca «[…] comme une couche de neige fraîchement tombée»(7) e sopra si trovano i coperti disposti simmetricamente e coronati da panini biondi: quindi inizia l’elenco degli oggetti posti sopra la tavola: cristalli che rispecchiano i colori dell’iride, candele che incrociano all’infinito le loro luci, vivande sotto cupole d’argento che aguzzano appetito e curiosità. Dopodiché vengono portati il vino di Madera e la prima portata, che introducono l’inizio del saturnale con i suoi spezzoni di dialogo sempre più frantumato via via che i commensali perdono in lucidità. Quando il narratore introduce l’ “arrivo” della frutta, ormai la descrizione degli oggetti non passa più attraverso i convitati, capaci soltanto di avere una vaga intuizione dello spettacolo che si presenta ai loro occhi. È il narratore stesso che descrive la fruttiera colma di cesti di fragole, ananassi, datteri, uve di ogni tipo, melagrane, frutti cinesi, e infine la pasticceria. Sublime anche la descrizione dell’ harem, delle ragazze che attendono i convitati in un’altra stanza:
De petits pied étroits parlaient d’amour, des bouches fraîches et décentes jeunes filles, vierges factices dont les cheveux respiraient une religieuse innocence, se présentaient aux regard comme des apparitions qu’un soufflé pouvait dissiper (8)
Anche la seconda parte del romanzo abbonda di parti descrittive, di catalisi, che servono a preparare le scene più drammatiche, oltre che ad alimentare il contesto della storia. Un contesto “imbevuto” di realtà, che è anzi esso stesso un effetto di realtà formato da un’infinità di particolari, di gesti, di comportamenti, in cui domina la ricchezza e la ridondanza dei significanti, e in cui le descrizioni si susseguono l’una incastrata nell’altra a un ritmo incalzante, quasi parossistico. L’attenzione per il particolare, per la precisione delle descrizioni, dell’analisi dei tratti di un volto, la cura con cui spesso l’autore abbina un carattere o una professione a un tratto fisico (il caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla bocca mordace) o a un gesto (il sentenzioso che si soffia il naso), risulta fondamentale per inquadrare tanto la società che “circonda” il protagonista, quanto la “teatralità” di certi “nuclei” narrativi.
1. Franco Moretti, L’anima e le cose, in Realismo ed effetti di realtà nel romanzo dell’Ottocento, Bulzoni 1933 p. 33
2. Roland Barthes, L’effet de réel, in Le Bruissement de la langue, Seuil 1984, pp 167-174
3. Honoré de Balzac, La Peau de chagrin, Gallimard 1974, p. 137
4. Franco Moretti, L’anima e le cose, cit., p. 34
5. Honoré de Balzac, La Peau de chagrin, cit., p. 70
6. Ivi, p. 76
7. Ivi, p. 79
8. Ivi, p. 98

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante post che ben documenta su un autore che Franco Moretti ci dette da studiare.
Ricordo vagamente ( ho 62 anni e son memorie di gioventù) che , nonostante fosse docente di letteratura inglese, volle che noi scegliessimo ( prassi quasi rivoluzionaria per l'Ateneo salernitano) autori anche francesi o tedeschi.
E rammento la sua opinione relativa alla retorica realista da lui ritenuta non una espulsione bensì un indebolimento di significato.
Buonanotte

Luciano ha detto...

Cara Marzia, sei venuta a trovarmi qui! Non sai quanto ne sia compiaciuto. Questo è un blog che ho abbandonato da due anni anche se ogni giorno mi ripeto di ricominciare. Purtroppo è molto faticoso per me scrivere post di cinema e letteratura. Come vedi ti rispondo in ritardo perché non vengo nemmeno a "controllare". Hai studiato con Franco Moretti! Non sai quanto ti invidio per avere avuto la possibilità di seguire le sue lezioni. Grazie ancora per il commento. Spero di riaprire presto questo blog. Un caro saluto