20 maggio 2015

Interstellar (Christopher Nolan, 2014). 3 /3 Ritorno al classico


Lo stratagemma dell’alfabeto morse per comunicare a Murphy la tecnologia utile a salvare l’umanità non è affatto originale: mi viene ad esempio in mente il primo film di Star Trek del lontano 1979. Forma ante litteram di comunicazione digitale potrebbe essere paragonato alla comunicazione binaria. Ma dall’interno delle cinque dimensioni è possibile usare un  sistema digitale per inviare segnali all’orologio di Cooper poggiato su uno scaffale della biblioteca di Murphy? Perché in un film, in cui ha tenuto tanto a rispettare le leggi della fisica (non fino in fondo però), presupponendo addirittura un universo a cinque dimensioni (ma si trova dentro Gargantua?), il mezzo per comunicare con Murphy è un alfabeto datato 1837? L’alfabeto morse interferisce con il tempo (l’orologio),ma  non è evidente come il battito del dito di Cooper sull’elastica libreria sia trasmesso alle lancette dell’orologio afferrato da Murphy adulta. In altri termini un codice linguistico “arcaico” diviene medium della salvezza dell’umanità attraversando lo spazio tempo,  “scendendo” di una dimensione e fuoriuscendo da un buco nero. Solo l’alfabeto morse può uscire dall’orizzonte degli eventi di Gargantua, la dove neppure la luce può osare?  L’intera sequenza  all’interno del gigante è molto fantascientifica, pertanto niente da obiettare se un segnale antico riesce a uscire da un luogo in cui la gravità impedisce persino alla luce di venire fuori. Il nome scelto per il buco nero appartiene a un gigantesco personaggio di un romanzo di Rabelais (Gargantua e Pantagruel); Gargantua nato da un orecchio della madre Gargamelle, figlio di Grangousier, diviene l’erede del regno di Utopia e dopo molte vicende ingaggia una battaglia contro un re con l’aiuto di un frate; ottenuta la vittoria, per ringraziarlo, dona al frate e ai sudditi l'abbazia di Thélème, dove regna l’armonia e dove ognuno può fare quel che vuole.  Come un gigante (parodia di un Dio) permette agli uomini di usare il libero arbitrio, allo stesso modo nell’antro di una stella collassata, luogo in cui già il tempo fa quel che vuole, a parte la probabile spaghettificazione di ogni corpo od oggetto al di là dell’orizzonte degli eventi, tutto è possibile. Inoltre l’alfabeto morse non è poi così tanto “arcaico” e neppure tanto “digitale”; infatti non rispetta due condizioni come il sistema binario (0 e 1) ma cinque (punto,linea,intervallo breve, intervallo medio, intervallo lungo). Il numero cinque non ricorda per caso l’universo a cinque dimensioni del tesseratto? Nolan ci comunica che ha cercato di attenersi  alla scienza, ma in fondo il racconto è un’utopia la cui sinossi ristretta può sintetizzarsi in: l’amore sconfigge la gravità e niente gli è precluso. Utopia in fondo è Fantascienza, anche quella più vicina alla Scienza e in effetti la città spaziale è quanto di più scientifico sia illustrato in Interstellar: un’umanità che solca lo spazio semplicemente abitandovi; lo spazio infinito come una casa. La breve sequenza della città spaziale è in effetti molto interessante. Cooper si risveglia in ospedale dove un medico gli fa sapere che si trovano nella stazione spaziale Cooper, nome assegnato non in suo onore ma in onore di Murphy; una volta dimesso lo conducono nella sua nuova abitazione, una copia della vecchia casa, qui trova anche TARS, lo ripara, si reca in ospedale al capezzale di sua figlia circondata da parenti, figli, nipoti, pronipoti. Murphy gli rivela che deve raggiungere Brand, ormai rimasta sola, scesa sul terzo pianeta, nuova casa dell’umanità. Sono circa nove minuti in cui il racconto si condensa, nove minuti che definirei epici in quanto le parti riempitive (descrizioni, scene) sono quasi nulle a tutto vantaggio del racconto (nell’epica dominano i nuclei narrativi). A differenza della più parte delle sequenze in cui dominano catalisi (descrizioni, paesaggi suggestivi, dialoghi, azione, emozione) nella sequenza finale la storia acquista “velocità”. Murphy nel suo lettino d’ospedale racconta a Cooper di Brand, indicandogli anche il punto d’arrivo del viaggio. Poiché adesso i salti temporali ci hanno permesso di capire che Cooper è fuori dal suo tempo, rimasto giovane in un’epoca in cui la figlia ormai è circondata dai propri cari, e che l’unica persona sua coeva e pure rimasta  giovane come lui (anche se non è entrata nel buco nero) è Amelia Brand, il destino di Cooper deve essere connesso a quello di Amelia. In seguito, con calma, la stazione spaziale, che sta orbitando intorno a Saturno, entrerà forse nel wormhole, oppure potrebbe vagare nel cosmo per millenni prima di approdare nel pianeta abitabile. Una sequenza, definiamola sufficientemente naturalistica che contrasta con quella precedente (la sequenza del tesseratto) molto, molto fantascientifica. Perché Nolan ha deciso di concludere il film con una sequenza emotivamente forte, ma piuttosto prevedibile? In tutto questo amore ha inteso sottolineare che dobbiamo amare una persona del nostro tempo; al di là di ogni ragionamento sullo spazio-tempo, sui buchi neri, sulle dimensioni, sulle brane e i bulk, il percorso più sincero, emozionante, sensazionale consiste nel seguire la persona amata come accade in tanti film d’amore, come accade ad esempio nell’epilogo di Sabrina di Billy Wilder quando sopraggiunge Larry mentre Sabrina sta prendendo il sole sul ponte della nave. Lui ha già scelto di seguirla in Europa, dopo aver lasciato i propri affari di milionario, perché sa di amarla.

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