16 maggio 2015

Interstellar (Christopher Nolan, 2014). 2/3 Oltre l’oroptero

Nelle zone fuori dall’area di Panum (1) gli oggetti vengono visti come doppi. È una sensazione insopportabile e fastidiosa che si prova quando si soffre di diplopia. La verosimiglianza in Interstellar subisce un lento e inesorabile processo di sdoppiamento per  cui da un lato le immagini e dall’altro i personaggi sono visti da due punti di vista differenti che non si allineano. Il fatto è che l’occhio tende comunque a contentarsi di ciò che vede e il cervello, nel caso di diplopia, esclude presto un occhio per dare unità all’immagine. Il film riesce a scombinare la stereoscopia come per sottolineare che stiamo per addentrarci in una visione quadridimensionale. Interstellar è un film quadridimensionale in cui si intravede il tentativo di metabolizzare lo spazio-tempo. Se in Inception ci si addentrava in un abisso di scatole cinesi, in Interstellar le scatole cinesi sono sempre lì, ma proiettate oltre l’area di Panum. Per vederle e attraversarle bisogna imparare a disallineare lo sguardo. Così i personaggi si moltiplicano grazie all’espediente del tempo che scorre in un attimo solo per chi si è avvicinato ad un buco nero; pertanto Murphy interagisce con Cooper da tre punti temporali differenti: bambina, adulta, vecchia. Questo sdoppiamento risulta impossibile nella linearità temporale,  ma quando lo sguardo perde la propria centralità e si “sdoppia” addirittura “triplica” seguendo direzioni differenti, si consolida nell’elaborazione mentale quantistica. In questo modo l’emozione primaria (nel film si attribuisce all’amore un’energia superiore a qualsiasi forza fisica) si concentra in un unico messaggio. L’amore verso i propri cari è di tipo diverso a seconda del grado di parentela: filiale e materno (storge), senso di innamoramento per una persona di altro o stesso sesso (eros). Murphy è figlia e madre di Cooper e persino moglie (anche se metaforicamente), tre donne in una che Cooper ha la sfortuna di incontrare oltre le certezze della stereoscopia. Questo scompenso visivo si amplifica quando Cooper, trovandosi nel tesseratto, ci riporta nell’incipit di Interstellar per cui si trova nello stesso punto in due età diverse della vita di Murphy (anche se non vede Murphy adulta il montaggio alternato condiziona emotivamente l’osservazione del rapporto Cooper-Murphy-Murphy adulta) . Nella sequenza si raggiunge il momento di massima tensione drammatica quando Cooper  “vede” sua figlia bambina e lo sguardo onnisciente integra la visione della Murphy adulta restituendo la sensazione di un’unità temporale composta da due epoche diverse. L’improvvisa agnizione, la raggiunta consapevolezza che il fulcro, l’eroe, l’interprete principale è Murphy, colei destinata a salvare il mondo, completa lo Spannung. Vedere la figlia piccola e adulta significa provare il rimpianto di non averla vista crescere e allo stesso tempo vuol dire osservare se stesso in biblioteca con Murphy bambina e significa anche assaporare nell’attimo il piacere di abbracciare una persona amata. Da tutto questo scaturisce la forte emozione di una vita concentrata in un attimo, un carpe diem nostalgico che forza il racconto per formare figure retoriche tipiche della poesia. In questo caso il rapporto padre-figlia cresce di intensità proprio perché si accosta nel sintagma una paradigmatica distante, troppo compromessa dai capricci temporali. In altri termini: se le frasi “Cooper ama sua figlia” o “Cooper ama sua madre” o “Cooper ama sua moglie” sono sintagmi e se sostituisco “adora” ad “ama” tra adora ed ama intercorre un rapporto paradigmatico, utilizzando la frase “Cooper ama Murphy” (chi è Murphy? Tua moglie? Tua sorella? Tua madre?), nel contesto narrativo di Interstellar, poiché Murphy è tutto questo, trascino la forza della paradigmatica direttamente nel sintagma destabilizzando la “norma” (ciò le regole adottate in una lingua) allo scopo di formare un linguaggio poetico.  Altro rapporto oltre l’area di Panum (mi si scusi se continuo a sfruttare l’ottica ma nel caso del cinema potrebbe essere tollerabile) riguarda il confronto tra Cooper e TARS, il robot compagno di avventure con cui condividere rischi, sprezzo del pericolo e successo. In questo caso l’amicizia (amore come philia) non viene rappresentata come un tre in uno (Murphy) ma con un incastro di sdoppiamenti ancora più complesso (i robot tra l’altro sono due). Quando Cooper e TARS condividono il rischio di lasciarsi catturare dal buco nero (non voglio addentrami nel desiderio umano di rientrare nell’utero) sono come due eroi, due amici che si lanciano verso l’ignoto e nell’epilogo si ritrovano seduti sotto il porticato della città spaziale a brindare nel lieto fine del tramonto ricostruito. Comunque nell’ipercubo TARS è fisicamente assente, non è accanto a lui per aiutarlo nel tentativo di forzare l’elastica biblioteca che impedisce a Cooper di penetrare in una stanza del passato. TARS è divenuto una voce fuori campo, forse un dio, forse la voce narrante che inizia a interferire col racconto, comunicando direttamente con il protagonista. O meglio, forse è la voce stessa dello spettatore che partecipa, consiglia, incoraggia, incita l’eroe a non desistere, preso dall’emozione della storia, dal desiderio di vedere il contatto tra Cooper e Cooper. Siamo in presenza di due Cooper e di una semplice voce off: l’eco di un’amicizia che esiste, è presente perché si  ode, ma non è visibile. Forse il  fuori campo tenta di penetrare nella dimensione plurima per affermarsi come dimensione fondamentale, ossia quella dimensione che costruisce il film, riempie le ellissi, un non-visto  che la mente dello spettatore collega con l’immaginazione al visto. Questo “sdoppiamento” è molto più complesso in quanto esistono due robot, l’altro, CASE, rimane con Amelia seguendola nel suo viaggio verso il terzo pianeta colonizzato, ed anche in questo caso sarebbe interessante approfondire questo doppio-doppio, analizzare il rapporto di questa doppia-coppia. Un altro aspetto è relativo all’amore di Cooper per Amelia che sinceramente non mi sembra molto pregnante nel film, anche perché non è possibile vedere (come accade in molto cinema di genere) un uomo e una donna attraenti, ogni volta innamorarsi e magari fare anche sesso. Purtroppo però sentiamo ogni volta il bisogno di un simile epilogo. Quando un bell’attore bravo e buono incontra una bella attrice brava e bella preghiamo che Dio (il regista, l’autore) decida di farli almeno fidanzare, almeno farli rifinire in un letto. Interstellar per fortuna non è un film banale. E l’amore tra i due è un altro pezzo di poesia, si sviluppa quando non sembra ancora germogliato, in quella navetta penetrata nel  wormhole dall’ingresso sferico, nel momento in cui la mano di un Cooper di un futuro anteriore prende/prenderà la mano di Amelia. Stiamo assistendo allo sbocciare di un sentimento già fiorito, anzi già consumato. Tra l’altro questo Cooper di un futuro anteriore precede (almeno nello script) quel Cooper dell’epilogo in procinto di raggiungere una giovane Amelia tutta sola sul pianeta di Edmunds in compagnia, come detto sopra, di CASE. Siamo ben oltre l’area di Panum, qui i rapporti diventano compositi in quanto assistiamo al tentativo di innestare con semplicità, utilizzando un programma narrativo collaudato, un momento romantico (immaginare Cooper e Amelia che potrebbero incontrarsi – ma il film fortunatamente non mostra niente del genere – con i due robot sul pianeta, mi riporta a tanti incontri in Central Park di coppie a passeggio con i loro cagnolini). Un film articolato, bello come un abito con molte trame e sottotrame, colori e forme, e perfettamente allineato al corpo, da indossare, guardare, toccare, odorare, meravigliandosi di come possa adattarsi ad altri corpi. Non è possibile esaurire in un post la complessità dei rapporti attanziali, la peculiarità del discorso, la forza e i rapporti tra immagini e récit. Ci sono anche punti deboli e incongruenze (ma la poesia deve avere una sua coerenza logica?). Tra questi ad esempio l’assenza di una Murphy vecchia vista (anch’essa magari inserita nel montaggio alternato) dal tesseratto. Sarebbe stato stupefacente vedere un Cooper al capezzale di una figlia-madre, guardare  una sequenza non ancora mostrata; un simile montaggio avrebbe tolto forza al colpo di scena finale (sapere che sua figlia è ancora viva in questo lontano futuro): probabilmente un debito da saldare con la produzione sempre attenta ai dati del botteghino.


1  Solitamente  l’immagine viene percepita come unica grazie a un procedimento che permette di avere una visione binoculare singola qualunque sia la direzione dello sguardo, le due prospettive percepite (una per ogni occhio) diventano una sola tramite il processo della fusione. Si forma (ogni volta che fissiamo un punto) una curva (oroptero) composta da tutti i punti dello spazio dove c’è stata la fusione. Si ha la fusione anche in una ristretta zona che si trova davanti e dietro l’oroptero, chiamata area di Panum. Non è mia intenzione scrivere un post sulla stereoscopia ma semplicemente prendere spunto da questa caratteristica della visione binoculare tridimensionale per comprendere meglio alcuni aspetti del film che mi hanno incuriosito.

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