29 ottobre 2012

Prometheus (Ridley Scott, 2012)

Dal liquido bevuto nell’incipit da un Ingegnere genetico simile al virus del vampiro che scorre nelle vene di Bella in Breaking Dawn 1, al cliché della donna intellettuale (l’archeologa Elizabeth Shaw) capace anche di trasformarsi in una guerrigliera super addestrata; dal “mostro” partorito da Elizabeth, che ricorda uno dei tanti calamari giganti visti in un secolo di cinema del terrore, fino alle solite consuete esplosioni, lacerazioni, ustioni, ecc., il film ci conduce in un labirinto di luoghi comuni che potrebbero sfociare in un generico appagamento. Infatti, poiché il titolo intende volutamente ricordare il mito di Prometeo (amico di un genere umano forgiato dal fango) forse Ridley Scott avrebbe dovuto estendere lo spazio dedicato agli ingegneri, i “titani” in un primo momento “amici” degli uomini (come Prometeo) poi (nel film) loro acerrimi nemici. Da questo raffazzonato e forse stanco modo di procedere si organizza una forma artefatta, troppo debole per sorreggere e giocare con le origini dell’Universo, quella Genesi che meriterebbe (credente o non credente) una maggiore eleganza. Dalla sempre eterna domanda sulla creazione (da dove veniamo), allo scopo ultimo della nostra esistenza (dove dobbiamo arrivare) mi sarei atteso una risposta più approfondita, magari anche una non-risposta. Senza scomodare il monolite di 2001 Odissea nello spazio, avrei preferito almeno un’assenza alla impressionante presenza di alieni (od ologrammi) che vagano in una astronave immersa nella roccia. Un’assenza che avrebbe dato maggior peso al film. Neppure è possibile giustificare l’operazione col pretesto di offrire un prequel allo splendido Alien, ossia mostrando quella sorta di ponte, quel tenero Xenomorfo che esce dal corpo dell’ingegnere appena fecondato e che dovrebbe spaventare in quanto capostipite dei mostri di acciaio che crescono nelle viscere di una futura umanità. Se metafora deve essere – i nostri ingegneri creatori ci odiano, ossia la Natura (oppure Dio) è una madre stanca di un’umanità che non riesce a trovare un equilibrio per un’impronta ecologica sempre più debordante – allora che la neo-vetero-formazione di “brodo primordiale” giunga sulla terra e riveli il vero volto di questa post-umanità. Invece il film galleggia tra cliché e deja vu, propinandoci immagini “grandiose” di una carta olografica dell’Universo commutata da Google Earth, guerrieri olografici che sembrano più sottoprodotti dell’immagine proiettata del viceré Nute Gunray della Federazione dei Mercanti in Star Wars – La minaccia fantasma, nonché esplosioni, urti e crolli ormai ripetutamente propinatici da certo logoro cinema. Peccato perché un prequel di Alien (senza pretendere di raggiungerne la qualità) avrebbe potuto stimolare suggestioni, suggerire propositi, indicare un modo diverso di approcciarsi alla sci-fi. La grandiosità dell’operazione (Genesi, origini dell’umanità) avrebbe meritato maggiore cura e minori certezze. Senza voler affrontare temi che riguardano la religione forse sarebbe stato più interessante mostrare una meteorite pregna di aminoacidi che cade sulla Terra oppure ricordare che Prometeo amava talmente l’umanità da inimicarsi Zeus, vero nemico degli uomini poiché ne temeva l’intelligenza e la loro capacità di apprendimento.