27 agosto 2012

Vecchi tempi (Harold Pinter, 1970): 1/3 Pinter, la commedia

Avrei voluto assistere alla messa in scena del 1973 di Tanto tempo fa per la regia di Luchino Visconti con Umberto Orsini, Adriana Asti, Valentina Cortese e soprattutto essere presente la sera in cui Harold Pinter si fece vedere per contestare l’adattamento del maestro al suo capolavoro Vecchi tempi. L’esplicitazione, nell’allestimento viscontiano, del mondo fantasmatico creato da Pinter non poteva certo andare a genio al premio nobel inglese nel vedere distorta la sua creatura, anche se bisogna tener conto che la grande vitalità del teatro consiste proprio in questo. Un lavoro, un’opera nasce ogni sera diversa e muore sempre più distante dagli ormeggi a cui l’ha legata l’autore. L’opera teatrale è come un figlio che prima o poi dobbiamo lasciare libero per la sua strada. E forse a Visconti non dispiacque tanto il gesto di Pinter. Per Visconti infatti il teatro deve comprendere la reazione del pubblico, per mostrare la propria vitalità deve accettare anche lo scontro “fisico” con la contestazione e non ridursi a mera enunciazione che strappi applausi a un pubblico magari disinteressato sino a pochi secondi prima della chiusura del sipario. Probabilmente il regista del Gattopardo rimase più disturbato dal fatto che Pinter adì a vie legali obbligandolo a interrompere le rappresentazioni. Pinter forse non capì la forza performativa dell’opera di Visconti, la sua capacità di coinvolgere il pubblico obbligandolo a reagire, a interagire con la propria creatura, mentre Visconti non vide la distanza della sua arte dal mondo borghese pinteriano, dalle situazioni assurde causate dalla labilità del ricordo che trasforma i personaggi in fantasmi e che contiene solo una parvenza di verità, riducendo il passato a un’inesistenza in cui ogni storia si dipana differente per seguire un percorso in continua trasformazione, deformato dall’incertezza del ricordo se non dalla volontà del cercatore del tempo perduto di “accomodare” il passato al fine di modellare una storia. In tal modo ad esempio il rapporto tra le due amiche, Kate e Anna,è molto più sottile di quello che sembra. Le due donne della pièce forse sono state molto più di due amiche o forse no, forse hanno avuto lo stesso amante, Deeley, o forse ognuno ricorda un passato diverso. Poiché il tempo è perduto per sempre, conta l’enunciazione, la ricostruzione di un mondo che i tre interpreti tessono per dare l’illusione di un senso compiuto. Forse più che una storia ricostruita dal ricordo, Vecchi tempi è un storia decostruita, per cui ogni battuta che segue non solo contraddice la precedente ma scuce e ricuce in modo differente l’idea che ci eravamo fatti disorientando ogni tentativo del fruitore di crearsi un mondo organico. Già dall’incipit Deeley e Kate parlano dell’imminente arrivo dell’amica di Kate, Anna, la quale però è già presente sul palco anche se defilata, in piedi presso la finestra. Pertanto il ricordo di Anna da parte di Kate è già “presente” nel qui adesso, anche se metaforicamente. La presenza di Anna in scena (Pinter avrebbe potuto far entrare Anna in un secondo momento) rappresenta già la labilità del ricordo (la donna potrebbe già essere arrivata magari il giorno prima) se non addirittura l’intrusione del ricordo nella materialità dell’evento messo in scena; eppure la vediamo nel quadro ma isolata come in una dissolvenza incrociata di un film (1):

Si distinguono tre figure.
Deeley sprofondato nella poltrona, immobile.
Kate accoccolata su un divano, immobile.
Anna in piedi presso la finestra, guarda fuori.
Silenzio.
Luci su Deeley e Kate, che fumano entrambi.
La figura di Anna resta immobile nella penombra, accanto alla finestra.


KATE (riflessivamente) Bruna.
Pausa
DEELEY Grassa o magra?
KATE Più piena di me. Mi pare.
Pausa.
DEELEY Lo era allora?
KATE Mi pare di sì.
DEELEY Può non esserlo più. (Pausa) Era la tua migliore amica?
KATE Che vuoi dire?
DEELEY Cosa?
KATE La parola, amica…quando pensi… dopo tanto tempo.
[…]
DEELEY Sapevo che eri vissuta con qualcuno per un certo tempo… (Pausa). Ma non sapevo fosse lei.
KATE Certo che era lei.
Pausa.
DEELEY Comunque, tutto questo non importa.
Anna si volta, parlando, lascia la finestra e si dirige verso di loro, alla fine siede sul secondo divano.
ANNA A far la coda tutta la notte, sotto la pioggia, ti ricordi? Mio Dio, l’Albert Hall, il Convent Garden, senza mangiare, ma ci pensi? Passavamo metà della notte a fare le cose che più ci piacevano, beh certo eravamo giovani allora, ma che resistenza, e la mattina in ufficio, e poi un concerto, o un’opera, o un balletto quella sera stessa, lo hai dimenticato? […] ad ascoltare ascoltare tutte quelle parole, in quei caffè tutta quella gente, senza dubbio geniale,mi chiedo, tutto questo esiste ancora? Voi ne sapete qualcosa? Potete dirmelo?

Anche i rapporti tra i tre personaggi sono evanescenti, impalpabili; il rapporto tra Deeley e Kate che sembra concreto, solido, sicuro, con Anna relegata “nel passato”, si inverte quando Anna comincia a interloquire con i coniugi, quindi, iniziando un dialogo con Deeley, parla di Kate al passato come se la donna non sia presente sulla scena.

ANNA Sono così felice di essere qui.
DEELEY So che a Katey fa piacere rivederla. Non ha molti amici.
ANNA Ha lei.
DEELEY Non si è fatta molti amici, sebbene abbia avuto tutte le opportunità per farsene.
ANNA Forse ha tutto ciò che vuole.
DEELEY Manca di curiosità.
ANNA Forse è felice così.
Pausa
KATE State parlando di me?
DEELEY Sì.
ANNA È sempre stata una sognatrice.
DEELEY Le piacciono le lunghe passeggiate. Tutte quelle cose. Mi spiego? Impermeabile addosso. Mani in tasca, giù per il sentiero. Tutte quel genere di cose.

Questo modo di procedere (anche Deeley viene poi “relegato” ai margini quando si entra nel cuore della commedia, ossia quando le due donne cominciano a rievocare i ricordi comuni della loro vita londinese, nei giorni in cui frequentavano i salotti letterari o andavano al cinema) disorienta lo spettatore, ma soprattutto induce il lettore, costatata l’inaffidabilità della memoria, a ricostruire un passato più o meno coerente. A questo punto sembra che Deeley tenti di recuperare un ruolo nel dialogo ma soprattutto nel “passato” delle due amiche ricordando lo stesso film visto dalle donne (Il fuggiasco di Carol Reed, 1946), e soprattutto affermando di avere conosciuto Anna durante una festa mentre era seduta su un divano e di averle guardato insistentemente le gambe. Questa perlustrazione del passato da parte di Deelay, nel rammentare eventi che almeno in un primo momento Anna sembra non ricordare, questa sua intrusione nella vita “a due” di Anna e Kate, dei loro giorni spensierati, di quando frequentavano salotti e caffè, tende a immergersi in un mondo proustiano. Infatti anche in Vecchi tempi la “memoria volontaria” cede il passo a sensazioni che sanciscono il passaggio in un evanescente mondo in cui il ricordo emerge quasi smarrito, ricordo labile ma dal profumo intenso nel recuperare episodi come dimenticati da Anna o mai avvenuti:

ANNA Lei sta dicendo che ci siamo conosciuti?
DEELEY Certo che ci siamo già conosciuti. (Pausa). Ci siamo già parlati. In quel locale, per esempio. Nell’angolo. A Luke la cosa non piaceva, ma noi l’ignoravamo. Più tardi andammo tutti ad una festa. In casa di qualcuno, dalle parti di West Bourne Grove. Lei era seduta su un divano molto basso, io le sedevo di fronte e guardavo fisso sotto la sua gonna. Le sue calze nere erano nerissime, perché le cosce erano così bianche. Questa è roba passata, naturalmente, non è vero? Non ha più senso, ma allora ne aveva. Ne valeva la pena. Quella notte ne valse la pena. Io me ne stavo semplicemente lì, sorseggiando la mia birra bionda e guardavo… guardavo fisso sotto la sua gonna. Lei non si opponeva. Trovava il mio sguardo perfettamente accettabile.
ANNA Vuol dire che ero consapevole del suo sguardo?
DEELEY C’era una gran discussione […] ma soltanto io avevo una vista di cosce che si baciavano, soltanto lei aveva cosce che si baciavano. E adesso lei è qui. La stessa donna. Le stesse cosce. (Pausa). Sì. Poi arrivò una sua amica, una ragazza, amica sua. Si sedette sul divano accanto a lei, e vi metteste a chiacchierare e a ridere […] ed io mi sistemai più in basso per guardarvi a tutte e due, le cosce ad entrambe […] lei consapevole, l’altra ignara […]
ANNA Sono veramente mortificata.
DEELEY Mi pare giusto. (Pausa). Non l’ho più rivista. Scomparve dalla circolazione. Forse cambiò casa.
ANNA No. Restai dov’ero.

È un tempo perduto ritrovato e “fissato” nell’eternità dall’arte. Ma Pinter deve fissare la “verità” nell’essenza stessa dell’arte per cui il ricordo non è una ricostruzione logica di eventi passati (la memoria volontaria di Proust), e pur essendo una reminiscenza (la memoria involontaria con il classico esempio del profumo della madeleine sempre in Proust), diventa attività creatrice dell’artista, l’atto stesso di restituire l’eternità di un evento alla memoria vero o falso che sia:

ANNA. Io non ho mai conosciuto Robert Newton, ma credo di sapere ciò che lei vuol dire. Ci sono cose che si ricordano anche se possono non essere mai accadute. Io ricordo cose che possono non essere mai accadute ma, poiché le ricordo, sono accadute.

(1) Tutte le citazioni sono tratte da: Harold Pinter, Vecchi tempi, Einaudi, Torino 1976(3)

Nella foto. Dorothy Tutin, Colin Bateman e Vivien Merchant alla prima di Vecchi tempi, Aldwych Theatre 1 giugno 1971. Fotografia di Donald Cooper

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