29 agosto 2012

Proust. Una sceneggiatura (Harold Pinter, 1977): 2/3 Pinter, la sceneggiatura

Vecchi tempi è già la sceneggiatura di un film e non c’è da meravigliarsi perché Pinter è stato anche un grande sceneggiatore e molti screenplay portano la sua firma (il servo, L’incidente, Messaggio d’amore, La donna del tenente francese, Sleuth –  Gli insospettabili). Ho trovato molto interessante rileggere nello stesso giorno  Vecchi tempi e la sceneggiatura sulla Recherche scritta da Pinter per un film di Joseph Losey mai realizzato. Quel passato “riformato” dal ricordo (o addirittura inventato o accomodato per giungere a un’epifania che illumini tutta la massa informe di dati) lega a modo con la capacità del cinema di comunicare un senso compiuto da una giustapposizione parcellizzata di sequenze e quadri di per sé informi, incoerenti. Così come il ricordo serve a dare un senso al passato (senza la ricostruzione della memoria sarebbe un mondo vuoto), il cinema si adopra per conferire l’illusione di un organismo unitario dalla giustapposizione di dati incompleti e pieni di buchi (ellissi, campi e piani).  La falsità dell’evento è palese, eppure l’arte (il cinema) agisce profondamente come la memoria involontaria, deve cogliere quel movimento “intermittente” diretto “verso la rivelazione” da veder crescere “verso un punto in cui il tempo perduto è ritrovato per sempre nell’arte” (1). Questo movimento intermittente deve contrastare con un altro principio primario, un “movimento, essenzialmente narrativo, verso la disillusione” (2). Questi i propositi di Pinter per ridurre quella mole infinita di descrizioni, storie, riflessioni, illuminazioni qual è “La Recherche” (3). Confesso di aver compreso meglio il senso di Vecchi tempi dopo aver letto la riduzione scritta per il lungometraggio di Losey. Se si legge Vecchi tempi come una sceneggiatura risulta chiaro il motivo per cui Pinter abbia contestato con tutte le sue forze l’operazione portata avanti da Visconti nel 1976. Il lavoro del drammaturgo inglese si compone e ricompone andando a formare un plot uniforme solo se si accetta l’ incertezza dei dati, l’impalpabile leggerezza degli eventi che non devono essere recepiti come dati dominanti (non sono interessato alle gambe di Anna che si baciano sul divano oppure a “rivedere” la biancheria intima di Kate indossata anche da Anna), ma presi come componenti del mondo, tali e quali a dati sibillini che l’arte recupera per fissare come testo simbolo al fine di definire nuove reminiscenze (il lettore che si immedesima e/o ricostruisce tutto un suo mondo più o meno reale, più o meno immaginario). Questa passione cara a Pinter non poteva che animarlo e indurlo a leggere tutta la Recherche per ridurre l’opera di Proust in una sceneggiatura di poche pagine, un lavoro immane durato un anno, tanto appassionante da indurlo a scrivere: “L’anno in cui ho lavorato Alla ricerca del tempo perduto è stato il miglior anno di lavoro della mia vita” (4). Leggendo  Proust. Una sceneggiatura si rimane affascinati dai continui salti temporali che vanno dall’infanzia di Marcel al 1921, quando il narratore della Recherche è ormai più che quarantenne. Questo modo di procedere che ci mostra Marcel bambino, poi adulto, poi adolescente, e così via, era forse il modo migliore per affrontare un’opera immensa e sicuramente molto complessa da trasformare in un film. La sceneggiatura è molto frammentata e di non facile comprensione per chi non conosca la Recherche, ma al tempo stesso originale base di lancio per un film che avrebbe dovuto portare il peso scomodo di rappresentare un’opera di tali proporzioni. Ritengo che Pinter abbia deciso di “affidare” un ruolo preponderante alle continue e numerose analessi e prolessi, trasportando il lettore in un viaggio che definirei ipertestuale. La fabula (inquadrature viste in ordine logico e cronologico) non è ordinata cronologicamente (mi si scusi la tautologia)  ma è senz’altro organizzata con coerenza dal punto di vista della “disillusione”; la tensione drammatica raggiunge la punta massima via via che il cammino di conoscenza di Marcel diventa pressante e non importa se questo avviene nell’adolescenza o in piena maturità. Ciò che importa è che il “ricordo” (il soggetto dell’opera insieme al Tempo) segua il suo percorso di accrescimento evidenziando la sensazione di un vuoto totale per cui il tempo perduto per sempre e irrecuperabile non viene comunque smarrito ma rivelato. Ebbene, come afferma Pinter, è l’intermittenza di questo movimento ad approdare alla rivelazione, alla conoscenza del tempo perduto “ritrovato e fissato per sempre nell’arte”. Sarebbe stato interessante notare gli sviluppi di questa idea nelle immagini in movimento, se fosse stato possibile realizzare il film. Certamente poi Losey avrebbe imposto il suo ruolo di regista individuando nella sceneggiatura pinteriana le riprese da effettuare, le inquadrature, i campi ecc, ossia costruendo il suo découpage. Ma comunque, anche se l’opera non è stata realizzata, rimane questo lavoro che lascia ammirati per la chiarezza e la semplicità con cui è stata ridotta la saga dei vari Guermantes, Swann e Verdurin. Questa “uscita dal tempo” (il profumo delle madeleine, il pavimento irregolare, il rumore causato da un cucchiaio posato sul piatto), questa sensazione di tempo ritrovato e fissato dall’arte per sempre accomuna i due lavori di Pinter: emerge pertanto l’idea che il ricordo frammentario restituisca in un’epifania improvvisa il sapore di un tempo passato ritrovato nel presente, formando una sorta di limbo extratemporale. A questo proposito risulta illuminante la sequenza della morte di Albertine. Nel romanzo Marcel, tornato a Parigi con Albertine per aver saputo dei rapporti omosessuali della sua amata con la signorina Vinteuil (Sodoma e Gomorra), diventa preda della gelosia e accusa la ragazza di avere avuto relazioni omosessuali impedendole di uscire di casa. Albertine, non sopportando più la reclusione, abbandona Marcel (La prigioniera), ma fuggendo muore in un incidente a cavallo (La fuggitiva). Ecco una sintesi di come Pinter ha trascritto l’evento nella sua sceneggiatura:

290. Interno. Scale.
Marcel Sale le scale con i fiori. Alza lo sguardo. Andrée esce dalla porta dell’appartamento.
Marcel Come, già di ritorno?
Andrée Siamo appena arrivate. Albertine voleva scrivere una lettera, e così l’ho lasciata sola.
Marcel Una lettera? A chi?
Andrée A sua zia
Marcel Peccato che abbiate chiuso la porta. Ho dimenticato la mia chiave. Françoise è in casa?
André È andata a fare la spesa. È lillà, vero?
Marcel Sì.
Andrée Albertine detesta il lillà. Per via del profumo. Troppo forte.
Marcel Davvero? Non lo sapevo.
Andrée Il profumo è opprimente. Beh, arrivederci.
Scende le scale
Marcel suona il campanello.
La porta è aperta immediatamente, da Albertine.
L’ingresso è buio.
Albertine Lillà! Oh! (Fugge nell’ingresso).
Marcel Li porterò in cucina
[…]
292. Interno. Camera da letto di Marcel
Albertine è sdraiata sul letto.
Marcel Scusami. Non sapevo che detestassi i lillà.
Albertine È il profumo, nient’altro. È troppo forte. Probabilmente ti è rimasto addosso. Non avvicinarti troppo, finché non è svanito.
[…]
294. Interno. Camera di Albertine. Notte.
Albertine sta dormendo, mormorando.
Marcel, accanto a lei, cerca di captare le sue parole.
Albertine Oh, cara!
Marcel si acciglia.
[…]
301. Interno. Il corridoio. Notte
Il corridoio è buio.
La porta di Marcel si apre. Egli esce e risale il corridoio dirigendosi verso la porta della camera di Albertine. Rimane immobile, in ascolto.
Silenzio
304. Interno. Stanza di Marcel. Sera.
Marcel Andrée.
Voce di Andrée Oh! Salve.
Marcel Tu e Albertine dovete andare dai Verdurin domani pomeriggio?
Andrée Esatto.
Marcel Perché?
Andrée Perché?
Marcel Perché Albertine ci vuole andare?
Andrée La signora Verdurin ci ha invitate per il tè. Nient’altro. Una cosa assolutamente innocente.
Marcel Sei sicura che…
[…]
Andrée Pronto?
Marcel Sì… sì… scusami… (Françoise esce). Sei sicura che non ci sia qualcuno che desidera incontrare?
Andrée Non saprei davvero chi.
Marcel Potrei venire con voi.
Pausa
Andrée Ah.
[…]
338 Interno. Salottino. Notte.
[…]
Marcel Sapevi che questo pomeriggio dai Verdurin doveva esserci anche la signorina Vinteuil, vero?
Albertine Oh, quante domande! (Alza le spalle) Sì, lo sapevo.
Marcel Puoi giurarmi che non volevi andarci per rinnovare la tua relazione con lei?
Albertine Non ho mai avuto nessuna relazione con lei.
Marcel Puoi giurarmi che il piacere di rivederla non aveva niente a che fare col tuo desiderio di andarci?
Albertine No, questo non posso giurarlo. Mi avrebbe fatto molto piacere rivederla.
[…]
Marcel Sciocchezze. Io ho denaro. Se vuoi, puoi dare una festa in onore dei Verdurin, per esempio, in qualunque momento tu lo desideri.
Albertine Oh Dio! Grazie tante. Una festa per quelle barbe! (Mormora rapidamente) Preferirei che mi lasciassi in pace per una volta tanto, in modo da poter andarmene a farmi… (Si ferma di colpo).
Marcel Che cosa hai detto?
Albertine Niente… I Verdurin… la festa.
Marcel No. Stavi dicendo qualcos’altro. Ti sei fermata. Perché ti sei fermata?
[…]
Marcel Non ho capito cosa stavi dicendo. Non ho afferrato esattamente le tue parole. Volevi farti…
Albertine Oh, lasciami stare, ti prego!
[…]
341 Interno. Camera da letto di Albertine.
Si sta specchiando.
Entra Marcel.
Marcel Albertine, credo che dovremmo separarci. Voglio che te ne vada, domattina presto.
Albertine Domattina?
Marcel Siamo stati felici. Ora non lo siamo più. È semplicissimo.
Albertine Io non sono infelice.
Marcel Non cercarmi più. È meglio.
Albertine Tu sei l’unico che mi stia a cuore.
Marcel Ho sempre desiderato andare a Venezia. Ora ci andrò. Da solo. (Silenzio). Quante volte mi hai mentito?
[…]
Marcel Dove andrai?
Albertine Non lo so. Ci devo pensare. Tornerò da mia zia. Suppongo.
Marcel Vuoi che… tentiamo ancora… per qualche settimana?
Albertine Sì.
Marcel Qualche altra settimana.
Albertine Sì credo che dovremmo.

Una serie di sequenze molto frammentate in cui crescono in Marcel la gelosia e il sospetto di essere tradito da Albertine con una donna, in particolare con la signorina Vinteuil. Poi il momento più drammatico con climax: un frammento che s’incastona agli altri frammenti dipingendo un quadro unitario di sensazioni e sapori, la fuga di Albertine…

342. Interno. Camera da letto di Marcel
Marcel solo nella sua camera, seduto immobile.
Improvvisamente dalla stanza di Albertine il rumore di una finestra aperta violentemente.
Egli riguarda attorno, rapidamente.
343. Interno. Corridoio. Notte.
(Stessa inquadratura del n. 301)
Corridoio buio. La porta di Marcel si apre. Egli avanza nel corridoio. Si ferma fuori dalla stanza di Albertine, e ascolta.
Silenzio.
344.Interno.camera da letto di Marcel. Mattino.
Marcel a letto. Entra Françoise.
Françoise Non sapevo cosa fare . la signorina Albertine mi ha chiesto i suoi bauli – stamattina alle sette. Lei dormiva. Non volevo svegliarla. Lei dice che non devo mai svegliarla. Ha fatto i bauli. Se n’è andata.
Marcel la guarda.
Marcel Hai fatto bene a non svegliarmi.
345. Occhi di Marcel.
346. Gli occhi di Gilberte a Tansonville
347. Gli occhi della Duchessa di Guermantes, per la strada.
348. Gli occhi di Odette nel viale delle Acacie.
349. Gli occhi della Madre nella camera da letto a Combray.
350. Gli occhi di Marcel nel gabinetto a Combray.
351. Gli occhi di Marcel.

… e la sua morte…

352. Interno. Camera da letto di Marcel. Parigi 1902.
Françoise gli porge un telegramma
Marce lo apre, legge.
Lo lascia cadere.
Françoise lo raccoglie, lo legge.
Ha un sussulto, si porta la mano alla bocca.
Guarda Marcel.
Posa il telegramma sul tavolo e lentamente esce dalla stanza.
La macchina da presa indugia su Marcel che rimane immobile, col volto assente.
353. Esterno. Campagna. Giorno.
Un cavallo senza cavaliere si allontana al galoppo dalla macchina da presa.
La macchina da presa retrocede lentamente fino a suggerire l’idea di un corpo inerte di ragazza.
354. Interno. Appartamento di Marcel. L’ingresso. Giorno.
L’ingresso vuoto.
355. Interno. La sala da pranzo. Sera.
La sala da pranzo. Vuota.
356. Interno. Camera di Marcel. Notte.
Marcel seduto, col volto assente.
357. Interno, l’ingresso. Notte.
La porta della camera di Albertine. Socchiusa.
L’ingresso è vuoto.
Silenzio.
358. Interno. Camera di Marcel. Giorno.
Marcel seduto, col volto assente.
359. Primo piano. Andrée.
Voce di Marcel, fuori campo.
Marcel (voce fuori campo) Adesso che è morta… posso chiedertelo francamente… A te piacciono le donne, vero?
Andrée (Sorride) Sì. È vero.
360. Interno. Camera di Marcel. Due inquadrature. Giorno. 1902.
Marcel Conoscevi la signorina Vinteuil… bene, vero?
Andrée No, non lei, per la verità. La sua amica.
Pausa.
Marcel Sapevo da anni, ovviamente, le cose che facevi con Albertine.
Andrée Non ho mai fatto niente con Albertine.

Dall’inquadratura n. 345 alla n. 351 mi immagino un passato che affiora nel ricordo di un attimo. Una sensazione vivida che cristallizza nel presente assumendone l’aspetto, vestendosi di esso; un brivido che rievoca tutti gli abbandoni, tutte le fughe, le passioni, i litigi, i pianti e i rimpianti. Così la sofferenza che cresce nel vuoto di una stanza (da inquadratura 353 a 358) fino ad assumere proporzioni insopportabili con l’inquadratura della porta socchiusa della camera di Albertine. E mentre apprendiamo dalle didascalie che l’ingresso è vuoto, la sala da pranzo è vuota (vedo già le puntuali riprese di Losey) non ci è permesso di vedere la camera da letto (vuota) di Albertine, come se Albertine sia appena uscita o sia ancora in camera, un’Albertine dei tempi andati che abbiamo già visto e che adesso una sensazione forte, quasi amara, fa riemergere dal tempo ritrovato in un pensiero, in un oggetto, qui in una porta socchiusa.
Poi il ricordo, il racconto del passato, contraddittorio, quel passato della memoria volontaria con le situazioni ambigue, impalpabili, la disillusione; racconto che ricorda tanto alcuni passi di Vecchi tempi:

361. Interno. Stanza di Marcel notte.
Marcel e Andrée siedono in punti diversi della stanza. Andrée indossa un abito diverso.
Marcel Provo una grande attrazione per te. Forse per via delle cose che hai fatto con Albertine. Voglio quello che ha avuto lei.
Andrée. È impossibile. Tu sei un uomo (Pausa). Era così passionale. Ricordi quel giorno che perdesti la chiave, quando portasti a casa i lillà? Ci avevi quasi sorprese. Era molto pericoloso, sapevamo che potevi rientrare da un momento all’altro, ma lei ne aveva bisogno, a tutti i costi. Ricordi, feci finta che lei non sopportasse il profumo dei lillà. Lei era dietro la porta. Disse la stessa cosa per tenerti lontano da lei, perché tu non potessi avvertire il mio odore su di lei.

Il rispetto degli eventi descritti da Proust limita in parte l’enucleazione della poetica pinteriana così come in Vecchi tempi (5), ove l’ambiguità del passato è ancora più eclatante e il tempo ritrovato, fissato nella scrittura, restituisce il senso profondo di una vita sempre più liquida:

ATTO I
[…]
Deeley Non sapevo che tu avessi così pochi amici.
Kate Nessuno. Neppure uno. Tranne lei.
Deeley. Perché lei?
Kate Non lo so (Pausa). Era una ladra. Aveva l’abitudine di rubare.
Deeley A chi?
Kate A me.
Deeley Che cosa rubava?
Kate Un po’ di tutto. Biancheria intima.
[…]
ATTO II
[..]
Anna Mi ero messa della sua biancheria intima, per andare ad una festa. Più tardi quella notte glielo confessai. Era stato sconveniente da parte mia. Lei sgranò gli occhi su di me, sconcertata, è la parola. Ma aggiunsi che ero stata punita del mio peccato perché un uomo alla festa non aveva fatto altro che guardarmi sotto la gonna tutta la sera.
[…]
Deeley Guardava sotto la sua gonna, nella biancheria intima di lei. Mmmnn.
Anna Ma da quella notte ogni tanto insisteva perché usassi la sua biancheria – lei ne aveva molta più di me e tanto più varia – ed ogni volta che me lo proponeva arrossiva, ma continuava a propormelo, nonostante tutto.


(1) Harold Pinter “Proust. Una sceneggiatura. Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi, Torino, 2005 P.185 (tutti i brani riportati sono stati ripresi dal sopra citato volume)
(2) Ibid.
(3) Riporto la frase ripresa pari pari dal testo di Pinter: “Decidemmo che l’architettura del film dovesse basarsi su due principi primari e contrastanti: uno,un movimento,essenzialmente narrativo, verso la disillusione, e l’altro, più intermittente,verso la rivelazione,che crescesse verso un punto in cui il tempo perduto è ritrovato e fissato per sempre nell’arte”. Ibid.
(4) Ivi, p. 186
(5) Tutte le citazioni sono tratte da: Harold Pinter, Vecchi tempi, Einaudi, Torino 1976(3)

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