20 maggio 2012

Linea d'ombra-Festival Culture Giovani 2012: 4/5 Passaggi d'Europa


Nel commentare i lungometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.

A moi seule (Frédéric Videau, 2011)

Una ragazza siede nella sala d’attesa di una stazione degli autobus in mezzo al nulla. In mano ha la foto di una bambina scomparsa. E’ lei. Otto anni prima, infatti, Gaëlle era stata rapita e tenuta isolata dal mondo. Un’esperienza traumatica con cui dovrà imparare a convivere, mentre cerca di adattarsi a una libertà. Il film riporta lo spettatore indietro nel tempo per farlo partecipare alla lotta per la sopravvivenza della piccola protagonista, chiusa in una cella sotterranea senza finestre, in attesa di vedere il suo rapitore. Con l’uomo che l’ha rapita, lei finisce per stabilire una relazione singolare, di sottomissione e di potere, di paura e di attesa, fino all’epilogo.

Gradevole da seguire e accattivante. Preso nella sua interezza mi è piaciuto, ma analizzato nelle sue sequenze profuma di cliché (ad esempio l’aguzzino in fondo non poi così aguzzino, la ragazza che a tratti sembra innamorarsi del suo carnefice, ecc.)
Voto 3

Un film a prima vista interessante che analizza il rapporto tra la vittima e il suo aguzzino con relativa Sindrome di Stoccolma. Eppure Videau rinuncia ad approfondire i rapporti tra gli esistenti mescolando (tramite l’utilizzo di flashback) il periodo della prigionia con quello dell’acquisita libertà. E se si sofferma a mostrare quanto poco libera sia la ragazza anche dopo la prigionia (le restrizioni della casa di cura), il film non decolla. Lo studio del rapporto tra il rapitore e Gaëlle non riesce a portarci dentro una così smisurata tragedia, limitandosi a presentare un rapitore che vuole essere solo un padre padrone (insegna i compiti alla “figlia” e rinuncia volontariamente a fare sesso con lei) senza che via sia almeno l’abbrivo di un pathos o le motivazioni di un gesto simile. Mentre la ragazza viene abbandonata a se stessa, tra il “ricordo” della prigionia e il nuovo rapporto con madre e  psicologo, rinunciando a conoscere le sue più recondite pulsioni (come estrarre la rabbia di Gaëlle o mostrarci il terrore della ragazza per l’acquisita libertà), l’aguzzino evapora nel plot come una qualsiasi comparsa: purtroppo il personaggio rimane imbrigliato sulla superficie del film. Forse A moi seule ambiva a diventare metafora dell’artista che non riesce a recuperare la propria libertà espressiva neppure dopo una “prigionia” creativa (forse un romanzo o un film girato su commissione?). In effetti recuperare la propria libertà espressiva, liberarsi dai limiti imposti da un’economia che fagocita qualsiasi aspetto della nostra vita rimane un tabù. Ma se sia stato davvero questo l’intento di Videau allora il film risulta ancora meno riuscito, perché Videau non ha avuto il  coraggio di affondare la lama nel riflusso di un mercato che obbliga l’arte a sottomettersi, rinunciando a proporre una visione autentica (ad esempio creare un doppio tra la figura del rapitore e dello psicologo), con il legarla magari a un suo personale punto di vista; per fare un esempio (ma questa affermazione non vuole essere una scelta di campo): prospettare una decrescita economica riferita almeno all’arte.


Future last forever (Özcan Alper, 2011)

Sumaru sta conducendo una ricerca etnomusicale per conto dell’Università di Istanbul. Per raccogliere le canzoni popolari dell’Anatolia si reca a Diyarbakir, città del sud-est della Turchia, abitata prevalentemente da curdi. Nel corso del suo viaggio ascolta anche le storie delle donne curde che hanno perso i loro mariti e i loro figli durante la sanguinaria tirannia ed è costretta a confrontarsi col suo passato. Il suo compagno, partito per un remoto villaggio del Kurdistan, non è mai più tornato. Le persone che incontra nel suo viaggio non riescono a rimarginare la sua profonda ferita. Neanche Ahmet, col quale inizia una breve relazione, riesce a liberarla dal passato. Il giovane non comprende cosa cerchi Sumaru in quel desolato villaggio nella provincia di Hakkari al confine dell’Iraq, cosa del suo passato la conduce proprio lì.

 Interessante e gradevole perché (come è stato già detto) sembra un documentario innestato in un film più tradizionale. Sono rimasto affascinato dai suoi campi lunghi.
Voto 4

Elegia di un popolo ferito da guerra ed eccidi resa mirabilmente tramite interviste ai veri abitanti di un villaggio turco del Kurdistan al confine dell’Irak. Nonostante le premesse il film non scade mai in facili messaggi politici o nell’esasperazione del dramma, in quanto lo “sfondo” di un popolo sofferente, le sue cicatrici mai rimarginate, diventano la degna cornice di un viaggio alla ricerca della propria anima come dell’anima del mondo. Il paesaggio stesso diviene (soprattutto quei campi lunghissimi sulle pianure e sulla costa dell’Anatolia) un personaggio. Citando Béla Balázs (per il quale vi è una corrispondenza tra volto umano e paesaggio per cui un primo piano può racchiudere un intero mondo) direi che la sofferenza dei volti degli uomini intervistati assume la straordinaria fotogenia dei colori e delle forme del paesaggio anatolico. Stessa cosa accade per il volto di Sumaru, la bellissima studentessa che intraprende il suo viaggio per raccogliere le canzoni popolari dell’Anatolia, obbligata a fare  i conti con il suo passato legato appunto a quegli stessi luoghi. Un insieme perfetto di bellezza (i luoghi, il volto della donna), sofferenza (gli intervistati, le fotografie sul muro), relazioni (amore, amicizia) che concorrono a creare il pathos di questo film, la sua elegia.


L. (Babis Makridis, 2012)

Il protagonista, un uomo di quarant’anni, è molto più che un autista personale. Il suo lavoro è letteralmente la sua vita e la sua macchina è molto di più che un semplice mezzo di trasporto, ci vive dentro e lì riceve, a scadenze fisse, la sua famiglia. Il suo datore di lavoro è un ricco narcolettico che, ovviamente, non può guidare. L’autista, che noi conosciamo come l’uomo, gli procura del miele speciale, ma quando arriva un altro ancora più rapido di lui, perde il lavoro e decide di cercarsi un altro mezzo di trasporto. Il nostro eroe procede inconsapevole verso il disastro. Siamo a una metafora della Grecia attuale?

 Ottimo film con il suo linguaggio per me innovativo da tenere in considerazione. Spero davvero che questo regista riesca a sviluppare un modo di girare film capace ogni volta di sorprenderci.
Voto 4

Metafora della vita, metafora del mondo, metafora delle aspettative e dei sentimenti di un uomo, L. raccoglie e dispone luoghi deputati rivoltandoli e rovesciandoli. L’auto-casa, il lavoro per un narcolettico, il suo licenziamento perché surclassato in abilità da un antagonista più rapido a consegnare il miele, l’amico ucciso per errore, la sua famiglia che incontra nei parcheggi, il miele stesso come combustibile-cibo speciale, l’abbandono dell’auto e il suo sodalizio con un gruppo di motociclisti, rappresentano il montaggio stesso, la capacità di decostruire il filmico e disporlo lungo una nuova linea di luoghi deputati che non rappresentano ognuno la propria realtà (auto, miele, orso, famiglia, ecc.) ma la possibilità di ricomporre in nuove immagini la conoscenza. In questo “paesaggio” decostruito si muovono le azioni umane, i loro reciproci rapporti che si formano e deformano in continuazione impedendo al cinema di fissarli indelebilmente. Ad esempio l’auto non è solo un mezzo di trasporto, ma una casa, un lavoro, un’ostrica che protegge e permette di sopravvivere. Il suo abbandono per la moto costituisce un cambiamento, una trasformazione, regola il plot ma anche un nuovo tipo di messaggio:  la storia della vita attraversa le forme plasmandosi a sua volta.

6 maggio 2012

Linea d'ombra-Festival Culture Giovani 2012: 3/5 CortoEuropa


Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.

Posledny autobus (di Martin Snopek, Ivana Laučíková, Slovacchia 2011)

Cortometraggio sugli animali della foresta in fuga prima dell’inizio della stagione di caccia. Gli animali della foresta, a bordo di un piccolo autobus, stanno fuggendo verso la salvezza, quando i cacciatori fermano il bus nel cuore della notte…

 Interessante la tecnica usata, storia struggente che mostra bassi istinti tutti umani con conseguente incapacità di ribellarsi all'ingiustizia . Gli animali, i poveri animali della foresta, possono invece evidenziare solo la propria innocenza. Questo aspetto forse è stato poco approfondito.
Voto 3

Nonostante il voto basso credo che questo sia un cortometraggio molto interessante, nel senso che contiene in sé una potenza espressiva di altissimo livello. Peccato perché sarebbe stato sufficiente qualche minuto in più per indebolire la metafora degli animali-sudditi e cacciatori-potere al fine di evidenziare l’innocenza degli animali e la disperata violenza degli umani (cacciatori). Gli animali (che nel corto sono presentati come impauriti, deboli ma anche privi di solidarietà), personificano esseri umani che vivono alla giornata incapaci di ribellarsi al potere. Poiché nell’ultima sequenza il pullman si avvia verso un bastimento in attesa, percorrendo un pontile sul mare che collega il bosco alla nave, ritengo che alla fine le “bestie” siano riuscite a raggiungere la loro arca; ma a quale prezzo. In effetti, ripensandoci, sono pentito del 3, forse avrei dovuto assegnare almeno un 4, purtroppo certi film crescono dentro di me dopo giorni di maturazione.


Small circle of attention (di Josef Tuka, Repubblica Ceca 2011)

Premek è un vecchio e rispettato attore di teatro. Egli si innamora di una giovane collega, anche se sposato da molti anni. Sua moglie è malata di diabete, Premek si sente in dovere di aiutarla e cerca di ignorare il nuovo amore e ricordare i momenti di felicità passati con lei. Infine, Premek riesce a liberarsi dei suoi sentimenti per la collega.

Ottimo. Grande prova degli attori e tematiche che centrano in pieno la crisi della coppia (società) moderna. Un piccolo capolavoro.
Voto 5

Un film sull’altruismo di facciata sotto cui traspare l’egoismo. Un uomo di potere che non ama più la moglie ma che potrebbe dimostrare il contrario riuscendo a respingere le avances di un’altra donna, senza rendersi conto che il suo comportamento è legato alle apparenze. Infatti  quando la moglie gli rivela di averlo tradito risponde dicendo di essersi innamorato di una collega a Teatro ma di avere resistito a differenza della moglie stessa e adesso si sente un totale idiota. Apoteosi dell’egoismo e dell’assenza di amore. Grande cinema.


Sonic Birth (di Jérôme Blanquet, Francia 2011)

Dopo un incidente d’auto, Serge è in coma. Un gruppo di ricerca cerca, con successo, di stimolare la sua memoria. Serge dovrà scegliere se vivere o morire.

In effetti eccede in troppe sequenze lynchiane, ma vi sono altre parti costruite in modo originale: un viaggio nella mente, nella premorte o chissà dove? Lo sguardo è imploso nella mente. Qualche piccola correzione e sarebbe stato un corto sui generis. Lo so: è molto complesso evitare di essere influenzati dai grandi maestri.

Voto 5

Questo corto è piaciuto a pochi per via di una serie di immagini che definirei sperimentali e in parte lynchiane. Per me al contrario si tratta di un interessante viaggio nella mente di un uomo in coma prima di rientrare nella vita o di varcare la soglia del mistero. Immagini che, se depurate dai reflussi lynchiani, potrebbero essere presupposto per una ricerca di un modo alternativo di costruire storie (non solo riguardanti situazioni di pre-morte).


The First cut (di Tallulah Hazekamp Schwab, Olanda 2011)

Un cortometraggio incentrato su un momento decisivo nella vita e nella carriera di un giovane chirurgo donna. La sala operatoria è pronta. Il chirurgo esita. Questo momento riporta alla mente gli eventi cruciali dell’infanzia, la scelta della sua professione e la riluttanza a tagliare la pelle dei pazienti.

Coinciso, essenziale, ben girato. Una storia che emoziona. Uno di quei film che rivedrei volentieri tra qualche mese, perché, sono sicuro, riuscirebbe a farmi provare le stesse emozioni provate oggi.

Voto 4
Un chirurgo colto durante un’operazione rivive la sua prima volta quando operò un coniglio. Allora era una bambina e il tentativo, fallito, di salvare l’animale ha condizionato la sua intera vita. Tagliare la carne, operare è come un continuo esorcismo, ritornare a quel giorno e cambiare tutto. Ma non è possibile cambiare il passato che irrompe continuamente nella mente. Un bellissimo corto che, appunto, mi piacerebbe rivedere.


Tomatl: cronique de la fin d’un monde (di Luis Briceno, Francia 2011)

Il pomodoro è stato scoperto dagli Europei nello stesso momento in cui è stato scoperto il nuovo mondo. Gli Aztechi hanno piantato questa pianta, che ora ricopre un terzo delle aree coltivabili del mondo.

Pieno di spunti interessanti ma alcune parti andrebbero curate di più.

Voto 3

Questo lavoro in effetti è molto interessante, una sorta di mockumentary sull’importanza del pomodoro sin dalle sue origini quando veniva coltivato dagli Atzechi. Eppure il cortometraggio non funziona del tutto. Le parti sembrano slegate, l’animazione non aiuta a rendere fluido l’oggetto, ma contribuisce a spezzettarlo. Pur considerando l’idea molto valida, credo che il regista avrebbe dovuto progettare diversamente la propria regia.


Tuba Atlantic (di Hallvar Witzø, Norvegia 2010)

Tutti moriranno un giorno. Oskar, 70 anni, che fra sei giorni morirà, è pronto a perdonare il fratello per uno screzio accaduto alcuni anni prima. Egli è convinto che il fratello viva dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Riuscirà a raggiungere suo fratello prima che sia troppo tardi?

Sono d'accordo, uno dei corti più belli, con le sue allegorie e l'atteggiamento verso la morte affrontato come conoscenza e analisi di uno stato d'animo, mai come luogo comune fine a se stesso.

Voto 5

Forse il cortometraggio più conosciuto del festival che analizza tutte le fasi dell’elaborazione della morte di un malato terminale, dal rifiuto all’accettazione della propria fine. Un’analisi cruda e allo stesso tempo mitica degli ultimi giorni di vita di un vecchio che segue l’iter classico di chi è condannato da una diagnosi nefasta prima di giungere a morte, riuscendo persino a “istruire” un’apprendista Angelo della Morte al suo terzo tentativo di accompagnare nell’altro mondo un predestinato. Ma la bellezza del corto non è caratterizzata soltanto dal rapporto tra l’angelo della morte incarnato da una biondina poco più che adolescente o dal rapporto conflittuale con la natura (lo sterminio dei gabbiani). C’è molto di più in questo corto, c’è innanzitutto un vento che non vuole mai cambiare direzione e una gigantesca tuba che deve sostituire un telefono inutilizzabile (Oskar non conosce il numero del fratello che vive in America). L’urlo angosciante della tuba, trascinato finalmente da un vento che all’ultimo minuto cambia direzione, arrivando dall’altra parte dell’Oceano, collega ogni pezzo del puzzle: la morte, l’angelo, il vecchio, i gabbiani; definisce il montaggio come logica e bisogno, allo scopo di concludere e trascinare una storia nella struttura filmica. La tuba non è solo l’urlo di un bisogno (ultimo messaggio per affermare la propria esistenza) ma anche una sorta di regia che conforma tutte le difformità immaginabili (il ghiaccio, i gabbiani, la ragazzina-angelo) in un unico definitivo messaggio: conoscenza.
Dizionario
negazione
rifiuto
diniego
smentita


Two hearts (di Darren Thornton, Irlanda 2011)

Lorna ha faticato tanto per raggiungere la retta via. Ma quando un uomo del suo passato viene rilasciato dalla prigione, ritorna ad una vita e un amore che aveva dimenticato.

Duro e allo stesso tempo delicato. Lascia senza parole e provoca intense emozioni. Ottimo.

Voto 4

Intenso, forte, potente. Un lavoro che mostra la durezza, la sofferenza della vita per una donna che tenta faticosamente di condurre una vita normale. Ma il mondo oppone la sua crudele verità, la sua forza prorompente e il passato presenta sempre il suo conto. Un ottimo lavoro. Vorrei rivedere anche questo perché anche in questo caso sono stato molto indeciso se assegnare o meno un 5.


Washed up love (di Dylan Cotter, Irlanda 2011)
Moira cerca l’amore. L’amore non sa neanche che manca.
Debole ed evanescente. Alcune immagini gradevoli e divertenti ma niente di più.

Voto 3

Un uomo trovato  privo di sensi sulla spiaggia e tenuto da due donne in un casa di pescatori. Un ragazzo che le donne vorrebbero tenersi per se ma che alla fine deve essere restituito. Probabilmente non ho afferrato bene la vis comica a causa della lingua, ma questo corto mi è sembrato troppo debole, leggero. Potrebbe essere un episodio di una soap.

3 maggio 2012

Linea d'ombra-Festival Culture Giovani 2012: 2/5 CortoEuropa


Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.


Gianni Schicchi (di Francesco Visco, Italia 2011)


Una giovane coppia sta prendendo il sole in spiaggia quando arriva l’amico Gianni Schicchi. Gianni Schicchi è bello, Gianni Schicchi è simpatico, Gianni Schicchi sa fare  all’amore! Gianni Schicchi mi ha stancato.

Un musical nato male e finito peggio (eppure sono ben disposto nei confronti del musical - è una mia debolezza). Senza idee, struttura debole, camera che "gira a caso". Avrei da ridire anche sulla "martellata" data a Gianni.

Voto 2

Senza fare paragoni con l’opera di Puccini (né credo l’autore volesse cimentarsi o prendere spunto dal lavoro del grande maestro), nonostante il cortometraggio sia cantato, credo che questo lavoro dovrebbe essere girato nuovamente facendo attenzione a non evidenziare troppo certe scene stile commedia italiana anni ottanta che consociamo benissimo, pieno zeppo di luoghi comuni e tirato via. Purtroppo gli attori non convincono, la mdp (come è  stato acutamente evidenziato in alcuni commenti al cortometraggio) si sofferma troppo sulle curve di lei e la martellata in testa assestata dal ragazzo al “perfetto” Gianni Schicchi rende il lavoro un’opera grottesca.



Il giorno che vuoi che sia (di Alessio De Nicola, Italia 2011)

Nicoletta e Gabriele trascorrono un romantico pomeriggio al parco, mentre Ciccio, fratello della ragazza, passa il tempo in giro, aspettando che la sorella dica “addio” al suo amato. C’è solo un modo per non lasciarsi e i due innamorati lo mettono in pratica… ancora una volta.

Si rimane sempre sulla superficie in attesa che finalmente si faccia sul serio. La circolarità temporale poi è appena accennata e non approfondita.

Voto 3

Alcuni spunti sono interessanti come il picnic sul prato e la circolarità del tempo (l’epilogo è identico all’incipit) ma queste idee non sono realizzate con precisione. La recita di Nicoletta è troppo scolastica, gli altri personaggi (a parte Gabriele) in questo contesto sembrano inutili o per lo meno non si capisce quale sia l’utilità del loro intervento (forse rappresentano la routine e/o il tempo che scorre che ti rapisce nel vortice di concludere, correre e vivere in fretta?). A ogni modo secondo me era possibile produrre un buon lavoro lavorando di più sui due personaggi, scavando nella profondità del loro animo.



Jam Today (di Simon Ellis, Gran Bretagna 2011)

Impaziente di crescere e diventare un uomo, a undici anni, Robert è bloccato per una vacanza in barca solo con i suoi genitori e la sua curiosità per la compagnia.

Ben confezionato, regia di alta qualità così come la recitazione. Molte idee originali (un bambino che fa culturismo utilizzando un secchio d'acqua, ad esempio). Un corto di ottima fattura.

Voto 4

Corto affascinante e ben confezionato. Il giovane attore recita benissimo la parte di un ragazzo che sente il suo corpo crescere e vorrebbe crescere ancora più in fretta cercando di aumentare la propria massa muscolare usando un secchio pieno d’acqua. Le occhiate di Robert alle donne, la foto della pin up, ma soprattutto la sequenza in cui si avvicina ad una barca ancorata nella darsena dove una coppia sta facendo l’amore, restituiscono benissimo le pulsioni naturali del piccolo che sente il suo desiderio crescere ma che rimangono confinate in corpo di bambino soggetto ancora alla tutela dei genitori… e della natura.



L’attaque du mostre Géant seceur de cerveax de l’espace (di Guillaume Rieu, Francia 2010)

In un bel musical colorato degli anni ‘60, arriva all’improvviso un orribile mostro, proveniente da un vecchio film in bianco e nero di Hollywood. Il mostro attacca gli abitanti di una piccola città disintegrandoli o genere del film, al fine di distruggere il mostro e di salvare le loro vite, la loro città, il mondo!

Esperimento interessante tra fusione di b/n e colore visto come reciproca invasione con trasformazione di "innocui" innamorati in combattenti decisi a eliminare il mostro, tra fusione di musical e horror come generi di uno stesso film costretto a trasformarsi "in fieri" per salvarsi. Idee valide che applicherei in un lungometraggio.

Voto 5

Uno dei migliori del festival. Non a tutti è piaciuto, ma ritengo che con un pizzico di coraggio in più saremmo stati di fronte a un piccolo gioiello. Far scontrare due generi cinematografici (un musical a colori anni cinquanta che ricorda tanto Les Parapluies de Cherbourg e un film fanta-horror in bianco e nero tipico di tanta fantascienza sempre anni cinquanta) è un’idea geniale. Nelle sequenze a colori del musical protagonisti e altri personaggi cantano e vivono una vita serena e felice, mentre dallo spazio arriva il pericoloso mostro alieno che, portandosi appresso il suo film horror ,trasforma i canterini in zoombies fagocitando l’altro genere. Alcuni critici molto acutamente hanno fatto osservare che il film sarebbe stato migliore se anche gli zoombies avessero cantato. Credo però che il regista si sia soffermato sullo scontro tra generi e nel fanta-horror nessuno canta. Magari sarebbe stato fantastico se fosse stato il Musical a “occupare” il  fanta-horror obbligando tutti quanti a cantare sancendo così la fine del mondo per inedia senza  reagire alla nuova avvilente realtà. Come dire: siamo già tutti zoombies.



L’estate che non viene (di Pasquale Marino, Italia 2011)

In un pomeriggio di maggio Nicholas, Daniel e Lollo possono ancora fare qualcosa per salvare la loro amicizia: lottare contro un destino che vuole dividerli.

Rettifico il precedente commento postato per errore. Comunque anche questo un corto di buona qualità anche se la sequenza dell'epilogo rimane come sospesa in un limbo, come la fine di un episodio in attesa del prossimo della serie.

Voto 4

Confesso di avere dato il mio 4 quasi per sbaglio. Per la bramosia di vedere velocemente il film (purtroppo non dispongo di molto tempo) e dare il voto ho confuso il corto in oggetto con “Nostos”. Avrei comunque dato un 3 perché il film risulta girato bene e le atmosfere pasoliniane (come è stato scritto in un commento con grande arguzia) sono ben rese. Però il finale mi sembra troppo evanescente come quelli di molte serie tv, epiloghi sospesi in attesa di un nuovo episodio.



La France qui se lève tôt (di Hugo Chesnard, Francia 2011)

È un musical sulla deportazione di un immigrato clandestino. Gli attori cantano, ballano e parlano in versi.
Un musical di grande qualità che riesce a "trascinarci" nel dramma di un immigrato clandestino.

Voto 5

Probabilmente il mio giudizio è offuscato dal fatto che amo il musical in quanto genere dotato di una certa opacità che lascia allo spettatore un margine di autodifesa (sensazione di essere al cinema e non dentro la storia). Ma non per questo il musical annulla l’evento drammatico (ci sono esempi di grandi film drammatici che trasmettono sensazioni forti pur utilizzando il musical: The Dancer inThe Dark e Sweeney Todd, ad esempio). È la storia di Souleymane che si è fatto una famiglia in Francia ma che sarà ugualmente espulso. Accompagnato sull’aereo sarà almeno compreso da alcuni passeggeri che si oppongono alla sua espulsione.  Legare un evento tanto drammatico al musical stabilisce una sorta di scossa per cui lo spettatore è libero di riflettere non solo sulla tragicità e l’ingiustizia capitate a un immigrato che vuole solo vivere e lavorare con la propria famiglia, ingiustizia poi accaduta in un paese cosiddetto civile e democratico, ma anche di sospendere il coinvolgimento al fine di stabilire un corto circuito tra la storia raccontata e la quotidianità dello spettatore.



Music for one Christmas and six drummers (di Johannes Starne Nilsson, Ola Simonsson, Svezia 2011)

Sei batteristi vestiti con costumi tradizionali della processione di Santa Lucia si recano in una casa di riposo per anziani. Qui creano una composizione musicale utilizzando una macchina da cucire e vari addobbi natalizi.

Un corto debole che non funziona. Avrei preferito una performance della "banda" musicale magari estrapolata dal contesto natalizio, un documentario girato in una casa di riposo di malati abbandonati nel "caos" dei suoni. Ma così...

Voto 2

Non sono proprio riuscito a capire questo corto. In questo senso condivido in pieno il commento di Barbara Nazzari di Cinema Errante (“ha un suo senso se pensato come videoclip musicale). Ecco, davvero, se fosse stato un videoclip forse sarebbe stato più interesante… uhmmm.


Nostos (di Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis, Italia 2011)

Il viaggio di un moderno Ulisse verso la conquista di una propria rinascita come essere umano, individuo e parte di una comunità disgregata dalla guerra.

Un buon lavoro. Regia fotografia recitazione. E pieno di spunti interessanti, flash, personaggi che sembrano usciti dal cinema "di una volta". Anche per me l'epilogo appanna leggermente questo corto. Bellissima la sequenza nella vasca da bagno con dissolvenza nel bianco accecante e quella nella nebbia: come per dire: questa è storia del nostro cinema.

Voto 4

Un buon lavoro, girato bene. Bravi i personaggi incontrati lungo il percorso dal disertore Michele. Film pieno di simboli che sintetizzano il percorso di crescita di un uomo addentratosi in un limbo di angoscia ma anche di amore e piacere: al riguardo bellissima la sequenza della vasca da bagno che Michele trova incredibilmente già pronta per il suo bagno accessoriata di acqua pulita e posta in un casolare abbandonato, con dissolvenza nel bianco accecante che ricorda vagamente la palpebra bianca bunueliana capace di far saltare l’universo.  Tanti sono le allegorie e i simboli (il cane, l’attrice-cantante-ballerina vestita in rosso, la bambina con i panni da lavare, una vittoria alata con spada?,  la vasca preparata per il bagno, la nebbia nel bosco che nasconde i soldati morti) e il film in effetti si perde troppo nello spiegare che i personaggi incontrati sono immagini, foto, ritagli di giornale custoditi in un quaderno del suo zaino (l’attrice, la bambina è una reclame, il cane dei nazisti, ecc.).



Oz (di Adrián López, Spagna 2011)
Nicolas incontra Leo di nuovo. I tristi adolescenti, soffrono della stessa strana malattia: la loro pelle è estremamente delicata, come quella delle ali di una farfalla.

Piacevole da vedere, storia avvincente e struggente anche se le piaghe sono così delicatamente composte sulla fragile pelle, mai troppo insanguinate e senza deturpare i bei corpi dei due ragazzi.

Voto 5

La storia di amore di due adolescenti, Nicolas e Leo, che si amano nonostante la loro grave malattia è resa con naturalezza senza cercare facili strade per accattivare il gusto dello spettatore. La pelle dei due ragazzi è fragilissima ma è evidente che questa fragilità porta all’esterno la delicatezza e la debolezza di questi giovani ragazzi che devono confrontarsi col mondo. Nonostante ciò, nonostante sia sufficiente toccarsi per farsi del male, i ragazzi faranno ugualmente all’amore insanguinando le lenzuola come perdita ininterrotta della loro verginità. Ecco, secondo me questa metafora è di una bellezza disarmante: il sangue che sgorga dai loro corpi non è una stimmate o una malattia, ma una purezza che perdono e riacquistano continuamente.