23 marzo 2012

Pierrot le fou di Jean-Luc Godard(*): Citazione e testo seriale 1/5


1. CITAZIONE E TESTO SERIALE

In Pierrot le fou di Jean-Luc Godard la storia degli ultimi due eroi romantici è ancora intatta, il sapere è un problema da risolvere in maniera classica. L’immagine non è ancora saltata, ma c’è un tentativo di scardinare il focolaio ottico, il pensiero come interiorità, la metafora come soluzione indiretta, il monologo interiore. La citazione diventa un relais, un ponte tra ciò che era (la narratività) e ciò che dovrebbe essere (l’interstizio, la differenza, l’irriducibilità del mondo alla storia). La citazione tenta di dare un valore al divenire, all’impossibilità di determinare il testo, la sua metamorfosi; costruisce un labirinto aperto, che si allarga all’infinito, sopra orizzonti sempre più ampi ed insostenibili per lo sguardo abituato a storie rassicuranti, apparentemente concluse. Come dice Antoine Compagnon, il testo seriale (fatto di citazioni stratificate) «[…] appiattisce, schiaccia tutti livelli del discorso, tutti i metalinguaggi, su una medesima superficie di proiezione. Con ciò abolisce l’opposizione fondamentale  della citazione e dell’uso, sopprime la differenza tra ciò di cui parla, il linguaggio-oggetto, e ciò con cui parla, il metalinguaggio. […Il testo seriale] diventa una superficie dove i livelli di discorso premono uno sull’altro e si fondono, invece di proiettarvisi uno alla volta: si sovrappongono, si attraversano, si avviluppano. […] Ci si deve introdurre fra gli strati del testo, si deve farli emergere, perché il livellamento non annulla del tutto i gradi del discorso. Al contrario, questi, sovrapponendosi più strettamente, proliferano all’infinito: slittano gli uni sugli altri, configurandosi come una geologia di faglie dove tutti gli strati di terreno si urtano tra di loro»(1). La visione moderna della realtà pertanto  non si accontenta del sapere prodotto dalla diegesi, ma vuole trovare nella metamorfosi, nella trasformazione, nel regime delle possibilità, nella “geologia di faglie”, quella chimera (cosa irreale fatta di pezzi reali) essenziale per la ricerca della conoscenza.
E così il soggetto di Pierrot le fou è il senso colto nel suo divenire, che si forma momentaneamente per certi accostamenti, grazie a certi collages di citazioni o di colori o di suoni, oppure si spezza e si ricompone casualmente per via di certi frammenti che vagano espulsi dai lori universi, ma con le loro ricchezze, le loro differenze. Questo rapporto non è ancora ben definito. È solo l’inizio. La citazione è uno dei tanti mezzi utilizzabili per destabilizzare il sistema, per renderlo prioritario, per far vedere che un sistema c’è ed è quello che va tirato fuori, messo in mostra, ma è sfuggente, tende a ripiegarsi su se stesso per ricostruire la trasparenza, l’illusione della non esistenza. Qui domina ancora il romanzesco, perché Pierrot è pur sempre un film di viaggi e di sognatori, che contiene ancora una storia; e il sapere oscilla tra questi due tempi: da una parte potrebbe espandersi fuori (e a tratti lo fa), ma viene sempre in un certo modo recuperato nel flusso della storia, fugge ma ritorna. Eppure Pierrot le fou rimane fondamentale proprio per questo motivo. Il film è la fine di un periodo  e  l’inizio  di uno nuovo  dove  il romanzesco  tenderà a  scomparire, la “storia” ad eclissarsi.

(1) Ho ripreso questa citazione di Antoine Compagnon da: S.Liandrat-Guigues-J.L.Leutrat, Godard. Alla ricerca dell’arte perduta, Genova, Le Mani, 1998, pp. 43-44.

(*) Luciano Orlandini, Pierrot le fou di Jean-Luc Godard, in Annali del Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo, Università Firenze, Anno II, 2001, pp. 141-150.

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