14 gennaio 2012

Wrapped Reichstag (Christo Javašev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon, 1971-1995)

La visione (purtroppo solo tramite filmati e foto) di quest’opera mortale scaturita dal pensiero, creata dall’idea, sviluppata nell’assenza dell’oggetto e nella presenza reiterata del ricordo, opera fantasma, sia nell’aspetto che nell’evanescenza di un attimo (il Reichstag rimase “impacchettato” per soli 14 giorni), mi disturba, mi infastidisce, mi informa del rapporto tra un Multiverso infinito e il mio corpo, provocandomi una sensazione di spostamento tangibile rispetto allo spazio fisico limitrofo (quello che riesco a percepire al momento), ossia vertigini. È questo il senso ultimo e profondo dell’arte: spostare la mia mente rispetto al mio corpo, “straniandomi” dal portale spazio-temporale che mi circonda, trascinandomi in un’anticatarsi, non quindi in un guscio estetico di purificazione in cui si staglia la consapevolezza di provare emozioni legate alla fiction, ma dentro un disturbo, un’insofferenza che mi distacca, mi divide dal continuum spazio-temporale, separandomi dal mondo, per un attimo, e proiettandomi nell’idea stessa di un progetto. Dov’è il prodotto finale, il manufatto? Il Reichstag impacchettato non è un monumento (qual è il Reichstag stesso) né un oggetto (nulla rimarrà se non alcune foto dell’evento), ma il realizzarsi evanescente di un’idea, una struttura dell’anima che incide sulla visione e sulla mente di un pubblico. L’evento è temporaneo. I wrapped sono destinati a svanire, come i pacchetti che ospitano un regalo, carta colorata, dorata o argentata chiusa da un nastro e decorata da un fiocco che simboleggia un evento, come se il pacco stesso affermasse il dovere di scomparire dopo aver svolto il proprio compito di presentare il cadeau. Il Wrapped al contrario mostra se stesso. Sappiamo che sotto c’è il Reichstag, ma adesso il paesaggio cambia. La Land Art nutre altre prospettive, fa scivolare cautamente l’idea sul volto dei vedenti trasformandoli in voyeur, è un sogno che si realizza, che trascina nel fantasma di un’altra realtà. La piazza, le strade limitrofe, il tessuto urbano, il monumento, lasciano il posto ad altre prospettive: spazi che si scollano e ci trascinano in una separazione: sappiamo di essere dove siamo ma sappiamo anche che mentre il nostro corpo si trova magari in Scheidemannstraße
Indicazioni stradali, ,
, la mente percorre altri luoghi, altri sfondi. Il Wrapped Reichstag può sembrare un’immagine metafisica, forse disturbante con i drappeggi flessuosi del polipropilene e dell’alluminio che ricordano l’abito da sera di una dama d’altri tempi alla prima di un’opera; può provocare un senso di fastidio perché è come vedere un mondo trasformarsi in un attimo, come osservare l’essenza, l’eleganza dell’arte emergere dal suo stesso manufatto: un’ombra, un’impronta delebile che sarà cancellata dalla “nuova onda”  in arrivo. Non è un vessillo, un’icona del mondo in cui il Nulla fagocita spazi e cultura, i non-luoghi (aeroporti, centri commerciali, autostrade, ecc.) invadono la vecchia cultura dei luoghi (campagna, paese, bosco), ma è come essere al cinema, nell’evanescenza di immagini proiettate su una tela  in cui l’Altro è mortale, nel senso che l’happening avrà vita breve e poi ci desteremo ritornando nello spazio ordinario aggredito dal Nulla. Ma l’impronta delebile ha ormai formato il ricordo, l’artista non crea plasma scolpisce produce oggetti, ma forgia idee, quelle stesse idee che devo afferrare (anche se per un attimo), assorbire, intravedere tra una sequenza e l’altra per ricomporre, produrre, creare il mio personale film, vivere la mia personale emozione per affermare un differente tipo di catarsi che si realizza nel flusso interminabile di progettazione e realizzazione, costruzione e decostruzione, senso del labile e del tempo che sopravvive in me.